Umanità Nova, numero 1 del 16 gennaio 2005, Anno 85
Crevalcore, 7 gennaio, si scontrano frontalmente due treni, un merci ed un viaggiatori; due giorni dopo il conto dei deceduti è fermo a 17, con circa un centinaio di feriti. È l'incidente più pesante degli ultimi anni, anni in cui non sono certo mancati episodi luttuosi, che ogni volta hanno fatto gridare quasi allo scandalo perché il luogo comune sulle ferrovie italiane tra le più sicure del mondo, era evidentemente molto radicato.
Si sta ancora discutendo del ritardo nella ristrutturazione della rete italiana, sistema nel quale, accanto a linee ad alta tecnologia, sussistono linee a binario unico il sui sviluppo tecnologico è ancora fermo agli anni sessanta. La linea Verona-Bologna rientra tra queste, nonostante l'importanza della stessa per le città che collega e le persone e le merci che movimenta giornalmente. Giustamente è sembrato un paradosso che nella ricca Padania del Sud-Est, scendendo verso la grassa Emilia Romagna, esistano ancora tratti di ferrovia così antiquati. Sulla tratta in questione, infatti, gli stanziamenti per il raddoppio sono stati fatti da anni, e i lavori vanno avanti con estrema lentezza.
Ma per una Verona-Bologna le cui condizioni indignano, si pensi a quante tratte simili, se non in stato peggiore, esistono nel resto della rete, e specie nel Sud. In Sicilia, ad esempio, è a binario unico quasi tutta la rete ferroviaria, e neanche i frequenti incidenti, come quello alla stazione di Rometta sulla Messina-Palermo, o il recentissimo sulla Palermo-Orlèans, che ogni tanto fanno assurgere alla cronaca nazionale questi binari dimenticati, hanno aiutato a sbloccare una situazione consolidata.
Se la causa diretta di incidenti gravissimi come quello di Crevalcore è da ricercarsi nell'arretratezza di gran parte (oltre la metà) della rete ferroviaria, la causa-madre, l'origine, va fatta risalire alle scelte che negli ultimi venti anni hanno radicalmente mutato la politica dei vertici ferroviari e dello Stato proprietario, avviando prima la riforma e poi la privatizzazione. I processi di liberalizzazione hanno, infatti, veicolato ingenti sforzi economici e non solo, verso la ristrutturazione di poche tratte per l'alta velocità, con gravi danni per l'ambiente e forte diminuzione dei finanziamenti verso il resto della rete, ed hanno, altresì, modificato l'assetto strutturale delle FS, con la chiusura di impianti e il taglio di oltre il 50% del personale; l'ideologia dominante è quella dell'economicità e del profitto, unita ad un accanimento sull'immagine; soggetti nuovi ed esterni sono subentrati nella gestione di vasti settori ferroviari, e personale con contratti anomali convive quasi ovunque con i ferrovieri. In un quadro del genere, aspetti strategicamente fondamentali, quale la sicurezza, non potevano che subire un calo di attenzione, per cui oggi non ci si deve più meravigliare degli incidenti che accadono, ma del fatto che non ne avvengano di più gravi e più spesso.
La precarietà che oggi caratterizza l'organizzazione interna delle ferrovie, e che si fa fortemente sentire nelle zone periferiche e abbandonate, è entrata a far parte della vita quotidiana dei lavoratori, ed è stata sancita dal recente contratto siglato da tutti i sindacati, eccetto i pochi di base rimasti. Ecco perché appaiono aria fritta le dichiarazioni di certi sindacalisti che oggi lamentano la mancanza di investimenti sulle tratte a binario unico.
Le ferrovie inglesi, da questo punto di vista sono state da esempio per tutti: hanno azzerato i livelli di sicurezza e condotto nello scompiglio il sistema di trasporto, al punto che lo Stato inglese ha sentito il bisogno di riavviare il recupero pubblico dell'infrastruttura, che aveva prima svenduto come uno spezzatino a svariate società.
Oggi, mentre ancora il dolore per i ferrovieri e per i viaggiatori periti e per quelli feriti, ci toglie la serenità nel lavoro e ci provoca una rabbia incontenibile, sappiamo che non saranno i morti e le parole di circostanza a trasformare questo servizio ferroviario in qualcosa di sicuro ed efficiente, con l'eliminazione di tutte le cause grandi e piccole di incidenti e infortuni. Siamo coscienti che il percorso da fare verso l'obiettivo di un servizio pubblico gestito da una unica società, è tutto in salita, e che le prime difficoltà si incontrano tra gli stessi ferrovieri, divisi e demoralizzati, come le recenti elezioni per il rinnovo delle RSU ci dimostrano. La forza di Cgil, Cisl, Uil, e dei loro satelliti è stata in gran parte confermata, fornendo a queste organizzazioni un consenso insperato alla loro politica di fiancheggiamento delle politiche liberiste.
Un primo concetto che deve passare è quello che la questione ferroviaria non può essere lasciata ai soli ferrovieri, ma va assunta dal più generale movimento antiliberista, sindacale e sociale. Andare in controtendenza oggi non è semplice, ma nelle ferrovie esistono ancora dei riferimenti sindacali non del tutto o affatto domati: i macchinisti in lotta contro il vacma, sistema di falsa sicurezza che porta all'eliminazione del secondo agente in macchina; strutture di base attive sul territorio per garantire la sicurezza; comitati locali contro l'alta velocità o per il potenziamento delle tratte abbandonate, o ancora contro la liberalizzazione del traghettamento; reti di gruppi di pendolari che si oppongono al taglio di treni; organismi collegati contro la politica sempre più repressiva delle varie direzioni, che affronta le questioni poste dai lavoratori (quasi sempre la sicurezza è al primo posto) con licenziamenti e sospensioni. Queste realtà possono rappresentare la testa di ponte di un fronte di lotta che rivendica i servizi pubblici a chi ne fa uso, ed ai lavoratori che vi operano. Oggi più che mai lo slogan "La ferrovia ai ferrovieri", che fu degli anarchici Vito Mercadante e Augusto Castrucci, di dimostra attuale e realistico.
Pippo Gurrieri