Umanità Nova, numero 1 del 16 gennaio 2005, Anno 85
Il 4 dicembre scorso, la Cassazione, che doveva verificare le firme raccolte per i referendum abrogativi della Legge 40 (Procreazione medicalmente assistita) e valutare la correttezza formale dei quesiti, ha dato parere favorevole.
Ora la parola passa alla Corte Costituzionale che si riunirà il 20 gennaio e dovrà, entro il 10 febbraio, dichiarare se i quesiti siano ammissibili. Se il giudizio della corte Costituzionale sarà affermativo i referendum dovranno svolgersi tra il 15 aprile ed il 15 giugno.
Questa la situazione.
Chi ha seguito questa legge sa già quanto lesiva sia nei confronti della salute delle donne e quanto riaffermi una loro posizione subalterna. Una legge, lo abbiamo già detto, che non riconosce il primato femminile sulla nascita, che riafferma la priorità della famiglia (la certezza del pater familias come unico possibile fecondante), che sottopone le donne a cure ormonali fortissime (limitando il numero degli embrioni che si possono produrre e vietando la loro crioconservazione per un futuro nuovo impianto). Soprattutto una legge che riconosce, per la prima volta, l'embrione come soggetto a sé, indipendentemente dal corpo della madre. Un embrione che potrebbe avere interessi contrapposti al corpo che lo accoglie e che pertanto deve essere tutelato dalla legge contro gli interessi della madre. Ormai è pensare comune che questa legge non sia stata fatta, come affermano i legislatori, per delimitare il "far west" delle cliniche in cui si praticava la fecondazione assistita ma per costruire uno strumento per iniziare ad abbattere o modificare la 194 (la legge sull'aborto).
Che le leggi siano fatte per "metter ordine" è risaputo: che poi questo ordine sia desiderato da coloro cui viene imposto o sia per esse positivo o opprimente è un fattore secondario, o meglio inesistente. Perché poi oggi gli stia così antipatico il far west, da sempre, da loro, mitizzato nei film di indiani e cow boy, ancora non lo capiamo…
Entrando un po' più nel merito, se analizziamo i 5 quesiti referendari si hanno non poche sorprese.
I referendum proposti sono 5. Uno, presentato dai radicali, chiede l'abrogazione dell'intera legge (Il timore dei radicali stessi è che non venga dichiarato ammissibile perché chiedendo l'abrogazione dell'intera legge si richiede l'abrogazione di materie non omogenee tra di loro, per esempio fecondazione e ricerca).
Gli altri 4 richiedono l'abrogazione solo di alcune parti della legge.
Quello che più colpisce è che i primi tre non chiedono l'abrogazione del riconoscimento dell'embrione come soggetto di diritto, la parte più lesiva dei diritti della donna. Il primo chiede l'abrogazione di alcune norme che comportano rischi per la salute delle donne, il secondo le norme che vietano la fecondazione eterologa, il terzo le norme che impediscono la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Nessuno di questi tre referendum intacca l'impianto complessivo della legge, cioè la subalternità del desiderio di maternità di una donna al marito /compagno, la subalternità della salute del suo corpo all'embrione e la subalternità della donna alla legge. Questi tre referendum non ritengono necessario che siano i singoli a poter decidere; saranno solo le coppie "normali" a poter accedere alla p.m.a.: niente single, o omosessuali.
Solo il quarto referendum, presentato da 12 donne (parlamentari e sindacaliste), chiede l'abrogazione dei diritti del concepito.
Il quadro non è certo confortante.
La raccolta delle firme per i referendum è stata accompagnata da toni apocalittici. Dal ministro Giovanardi che faceva affiggere un manifesto in cui Hitler ed un manipolo di SS erano accompagnati dallo slogan "anche loro avrebbero firmato", a Prodi che dichiarava il referendum uno "scontro tra cattolici e laici che avrebbe dilaniato il paese", a Fini che, nel caso di firme sufficienti, avrebbe valutato eventuali modifiche legislative (non prima, naturalmente).
Del resto quasi tutti i/le parlamentari si dichiarano disponibili ad un cambiamento della legge.
Noi crediamo che non ci sia stata nelle persone la comprensione reale della portata di questa legge.
Da molti è stata ritenuta una legge "tecnica". Una legge che non riguarda tutte ma solo i pochi in qualche modo "non fertili". Se la campagna per il divorzio e l'aborto hanno visto una adesione grandissima e la discussione si era estesa a tutti, perché ognuno sentiva il problema come suo, non altrettanto è accaduto per la legge sulla procreazione.
Non si è capito che l'argomento procreazione era solo un
pretesto per rimettere in discussione altro: il ruolo ed i diritti
acquisiti della donna.
Una legge tecnica che però tecnica non lo è affatto, ma è etica.
La tecnologia è ormai arrivata a livelli di complessità talmente alti che molte persone pensano di non poter far nulla, di non essere all'altezza di capire, che sia meglio lasciare agire i "tecnici". Se la scienza se ne occupa si può star certi che il ritorno sarà positivo. Ed invece non è così: se la sapienza materna sulla riproduzione passa dalla mani della donna a quella della scienza avremo solo disastri.
E così ci ritroviamo con una legge che detta una morale di stato, che vuole riaffidare agli uomini un controllo sulla sessualità femminile e sulla procreazione che gli era sfuggito.
Se la legge sull'aborto, continuamente attaccata negli ultimi anni, fosse stata sottoposta a modifica, ci sarebbe stata una forte opposizione. Attraverso la legge sulla procreazione invece è stato possibile darle una prima forte martellata. Se le donne non hanno più il primato sulla maternità perché dovrebbero averlo sulla "non" maternità? Se l'embrione è soggetto di diritto, perché la donna può decidere di non farlo nascere? Se il marito/compagno ha la stessa autorevolezza in materia di nascita, perché non potrà poi decidere lui se la donna debba abortire o meno?
Questo non significa, naturalmente, come invece qualche stupido che ha risposto su Inymedia in occasione di un precedente articolo pensa, che si ritenga necessaria una legge che regoli questa materia.
In nessun modo una legge deve avere la possibilità di regolare un desiderio, o la relazione che si stabilisce tra una donna e suo figlio: una relazione che la legge vuole trasformare in conflitto.
Ci piace terminare riportando una frase di un documento di un gruppo di giuriste sulla legge 40: "l'esperienza degli anni in cui l'aborto era reato dimostra che se la regola imposta dallo stato non corrisponde alla speciale competenza femminile, quella regola sarà disattesa".
Collettivo Libertario Novatese