Umanità Nova, numero 1 del 16 gennaio 2005, Anno 85
Sono anni che ripeto agli studenti che lo Tsunami può essere
uno degli effetti di un sisma quando l'epicentro è localizzato
sul fondale marino ma, mentre sottolineo che il terremoto è un
evento improvviso, nei confronti del quale poco c'è da fare nel
momento in cui l'energia accumulata si sprigiona, rispetto ai possibili
effetti catastrofici di un maremoto, ribadisco che la perdita di vite
umane può essere ridotta al minimo. Naturalmente la distanza
dell'epicentro dalle coste deve essere sufficiente a garantire il tempo
necessario all'evacuazione delle popolazioni potenzialmente coinvolte.
Il preavviso è possibile grazie ad un sistema di monitoraggio
costituito da una serie di boe, dislocate nelle zone a rischio sismico,
che sono in grado di rilevare movimenti anomali delle masse d'acqua
oceaniche e di trasmettere tali dati ai centri di sorveglianza da cui
viene lanciato l'allarme.
Non posso che ammettere la mia ingenua ignoranza, dal momento che ho
sempre dato per scontato che la comunità internazionale, se non
ogni singolo stato, avesse predisposto tale sistema d'emergenza in
tutte le zone a rischio; convinzione ampiamente smentita dagli eventi
conseguenti al terremoto che, il 26 dicembre, ha interessato una faglia
del fondale dell'oceano indiano in prossimità dell'isola
indonesiana di Sumatra.
Non rimane che prendere atto che anche le boe anti Tsunami sono un privilegio riservato alle società ricche!
Infatti, da una veloce verifica, si può rilevare che nel
Nord-America esistono due centri, il Pacific Tsunami Warning Center
nelle Hawaii e l'Alaska Tsunami Warning Center in Alaska, che in
sostanza sono dei punti di monitoraggio sui fenomeni sismici nel
Pacifico. Se si riscontra una situazione di pericolo le popolazioni
locali vengono avvisate con mezzi molto semplici. Le coste sono
attrezzate con sirene, l'allarme è diffuso anche da radio e
televisioni locali, le auto della polizia circolano per le strade con
altoparlanti per informare la popolazione.
Si calcola che l'analisi del sisma si possa fare in 15 minuti e che
l'avviso di pericolo possa essere trasmesso in altri 15 minuti.
Teoricamente le autorità dello Sri Lanka avrebbero avuto due ore
per avvisare la popolazione, quelle dell'India meridionale avrebbero
avuto poco meno di tre ore, tempi ridotti, ma certamente sufficienti a
mettere in salvo decine di migliaia di persone.
Cresce un moto d'indignazione poiché non uno stato tra quelli
che hanno perfettamente sotto controllo la contabilità dei
debiti con i paesi in via di sviluppo, non uno stato di quelli che
spendono cifre da capogiro per i propri armamenti, non uno stato di
quelli in cui operano le imprese che promuovono il "turismo coloniale",
non uno stato di quelli che oggi si prodigano nella gara della raccolta
fondi per l'emergenza, aveva fino ad oggi pensato di finanziare un
progetto per dotare di un sistema d'allarme anche quei paesi che non
dispongono dei denari o delle tecnologie necessarie.
Suona quindi come una presa in giro la raccomandazione dell'organismo
di promozione per l'allestimento di sistemi di preavviso PPEW (Platform
for the Promotion of Early Warning), dell'ONU, che il 29 dicembre
auspicava investimenti in programmi di educazione e di
sensibilizzazione, destinati alle popolazioni residenti soprattutto
nelle zone costiere perché sappiano come prepararsi e come
limitare i danni nell'eventualità di grandi calamità.
"La comunità internazionale - ha spiegato Reid Basher, del PPEW
- deve andare avanti ed allestire sistemi globali che possano evitare
il ripetersi di quanto accaduto questa settimana in Asia".
Sono consapevole di usare i toni e gli argomenti del "senno di poi",
che può sembrare di cattivo gusto davanti alle cifre che contano
a centinaia di migliaia i morti di questa catastrofe, ma non vorrei ci
si dimenticasse delle contraddizioni di chi pretende di determinare le
nostre vite, gli equilibri politici ed economici del pianeta
utilizzando, senza alcuna remora, la forza degli eserciti piuttosto che
la pressione del mercato sempre alla ricerca delle migliori condizioni
di sfruttamento dell'uomo e dell'ambiente.
Solo i militari Usa si sono salvati
La mia sarà "rabbia ideologica" ma non riesco a frenarla
leggendo che uno "tsunamometro" costa 250 mila dollari, mentre un
bombardiere di nuova generazione costa 250 milioni di dollari, e che
per la guerra in Iraq l'Amministrazione USA spende 4,5 miliardi di
dollari al mese.
L'unico luogo sicuro? Una base militare statunitense.
Non sono affetto da anti-americanismo congenito ma mi ribolle il
sangue, quando apprendo che la NOAA (National Oceanic Atmosphere
Administration) avrebbe avvertito immediatamente del maremoto la base
americana dell'atollo Diego Garcia, a sud delle isole Maldive, ma non
avrebbe fatto niente di serio per mettere in guardia anche i paesi
rivieraschi, in particolare Sri Lanka, India e Maldive, dove l'onda
è giunta dopo circa due e più ore dal catastrofico
terremoto (la denuncia riportata da Adnkronos arriva dall'International
Action Center, un'organizzazione fondata da Ramsey Clark, ex segretario
di Stato americano).
Nell'isola Diego Garcia (la cui storia varrebbe la pena di
approfondire), che ha un'altezza media compresa tra 1 e 6 metri sul
livello dell'oceano, non vi sono state vittime.
Risultano ridicole le giustificazioni degli scienziati statunitensi che
hanno "tentato invano" di avvertire i colleghi dell'Asia meridionale
del pericolo imminente, come si deduce dalle dichiarazioni del
direttore del Centro allerta maremoti per la regione del Pacifico,
Charles McCreery, che ha raccontato: "Abbiamo fatto il possibile ma non
avevamo riferimenti nella nostra agenda per quell'area del mondo".
Ci sono satelliti che ci spiano e controllano 24 ore al giorno e ci
vengono a dire che non hanno neppure i numeri di telefono per lanciare
un allarme così importante!
Non ci voleva poi molto se è vero che una singola telefonata ha
permesso ad un intero paese di sfollare ed evitare così di
essere colpito all'improvviso dall'ondata. Mr. Vijayakumar è un
cittadino indiano che da anni vive a Singapore. Quando ha saputo che il
maremoto avrebbe colpito la costa dell'India a Nallavadu, nello stato
del Tamil Nadu, nell'area dell'India più colpita dallo Tsunami,
ha subito pensato che il villaggio dove è nato sarebbe potuto
andare completamente distrutto. Ha perciò immediatamente
contattato per telefono le autorità del villaggio, abitato
soprattutto da pescatori che vivono in capanne in riva al mare. Gli
abitanti sono così riusciti a evacuare le coste e nessuna vita
è andata persa.
Paradiso e inferno
Nonostante la spinta emotiva alla solidarietà che ha pervaso la
nostra società, diversi sono poi i punti di vista su come sia
meglio affrontare la situazione. Riporto, quasi integralmente, un paio
di messaggi, postati da persone comuni, che ho trovato su uno dei forum
nati in seguito al disastro e che mi paiono in qualche modo
significativi.
Tornare alle Maldive
"Sono d'accordo che andare nei posti dove vi è grossa tragedia e
desolazione sia sbagliato. Ma per quanto riguarda le Maldive poco
colpite dal maremoto e le altre zone della Tailandia e dell'India fuori
dal disastro, anche se può sembrare in questo momento poco
delicato, il flusso di turisti aiuterà ad uscire prima dalla
crisi. Ed allora io, che sono stato a giugno alle Maldive in viaggio di
nozze e che ho notizie che tutti i lavoranti nei resort rischierebbero
di perdere la loro fonte di reddito, che tutti i pescatori non
avrebbero più commesse di pesca dai resort e che quindi tutti
loro avrebbero difficoltà a risolvere i problemi familiari e di
casa che lo Tsunami ha portato, dico: "andate e, dove potete, come
suggerisce qualcuno, siate più generosi con le mance". Mentre
non credo servano molti abiti se non cose leggere, lì ci sono
sempre 25-30 gradi e si cammina quasi scalzi essendo gli atolli fatti
principalmente di sabbia". Gasp (la firma l'ho aggiunta io).
Turisti ed economia locale
"Gentili Signori, per esperienza diretta, posso garantire che la
maggior parte dei turisti, che trascorrono le loro vacanze nei
cosiddetti "paradisi tropicali", non incrementano affatto gli introiti
dei Paesi, ove tali "paradisi" si trovano. Solitamente, per tutta la
durata delle loro vacanze questi turisti rimangono letteralmente
blindati all'interno delle strutture alberghiere che li ospitano e che
appartengono per lo più a multinazionali occidentali. Nei
cataloghi della Thomas Cook e della TUI - due fra i più grandi
tour operator tedeschi - viene addirittura ribadito di non dimenticare
la mancia per il personale di servizio, il cui stipendio mensile
giustifica l'espressione nuova schiavitù". Cordialmente F. A.
Freiburg Germania.
Come evidenziato da quest'ultimo commento, ogni paradiso turistico
è circondato ovviamente dal corrispondente inferno, quello in
cui, quotidianamente, i locali tentano di raccogliere qualche briciola
di ricchezza che esce dalle tasche del turista di turno.
Rimango comunque sorpreso dalla gara tra i governi del nord del mondo,
una specie di asta a chi offre più soldi e mi domando,
retoricamente, se avremmo avuto la stessa risposta in assenza dei
turisti occidentali, senza le immagini sulle TV o in un contesto
storico diverso.
Non voglio esagerare con la diffidenza che s'insinua nei miei pensieri
al cospetto delle "iniziative umanitarie" di chi detiene il potere, di
certo però, qualcuno ha colto l'occasione per garantirsi un
restyling sul palcoscenico internazionale. Così, ad esempio, il
presidente Bush ha corretto, nel giro di pochi giorni il tiro e, nel
discorso per il nuovo anno, ha annunciato che gli stanziamenti
statunitensi per l'emergenza tsunami, passavano da 35 a 350 milioni di
dollari.
Comunque sia, questi soldi non sono sufficienti a cancellare le
immagini drammatiche, le scene di disperazione che hanno, addirittura,
determinato la sospensione di alcune delle operazioni di aiuto: "Alcuni
elicotteri hanno tentato di atterrare nei villaggi costieri alla
periferia di Banda Aceh, ma la folla che si accalcava tra urla e
implorazioni per avere cibo ha impedito l'operazione", racconta un
responsabile del World Food Programme dell'ONU. Confezioni di cibo e
sacchetti d'acqua sono stati così lanciati dal cielo.
Dinesh cerca lavoro
In conclusione un ultimo messaggio recuperato in internet.
Buongiorno a tutti, Dinesh è un ragazzo cingalese di 28 anni che
vive vicino a Colombo con la sua famiglia. Lo Tsunami si è
portato via il suo lavoro e i suoi risparmi ed ora che sta per
diventare padre la situazione si complica ancora di più.
Vorrebbe venire in Italia a lavorare per qualche mese forse un anno,
almeno per mantenere suo figlio da un paese meno violentato da disastri
naturali ed umani. Qualsiasi lavoro dignitoso sarà per lui un
onore pertanto se qualcuno vuole offrirgli una possibilità di
lavoro può contattarmi direttamente. Grazie. A.M.
Chissà se nei 70 milioni di Euro, che il ministro degli esteri
Fini ha individuato come possibile quota di partecipazione del governo
italiano all'emergenza maremoto, è prevista anche una voce di
spesa per ampliare i CPT necessari ad "accogliere" le migliaia di
Dinesh che cercano miglior fortuna emigrando nel mondo ricco.
MarTa