Umanità Nova, numero 2 del 23 gennaio 2005, Anno 85
"Pinelli è infine un simbolo che va al di là del suo tremendo destino. È la prova che la giustizia non è eguale per tutti: da una parte lo stato coi suoi baluardi da difendere, dall'altra un cittadino senza diritti, ed è proprio per questo che, per la prima volta nel dopoguerra, il suo caso ha mosso in modo così massiccio una così larga schiera di opinione pubblica democratica. I baluardi dello stato non si toccano, la magistratura non si discute (ed è per questo che viene messa in crisi la sua parte migliore), la polizia è al di sopra di ogni sospetto, va coperta, va giustificata. (...) Ristabilire la verità sulla sua morte è un dovere politico e morale; è indispensabile per aiutare a far sì che la giustizia in Italia non sia soltanto quella statua melensa ritta nel cortile di un tribunale che si è rivelato incapace di assolvere i suoi compiti." Così scriveva Camilla Cederna nel suo "Pinelli, una finestra sulla strage" (stampato nell'ottobre del 1971 da Feltrinelli e ora meritevolmente riproposto dalla NET), un libro fatto di interviste, documenti, resoconti di udienze del processo "Calabresi-Lotta Continua", battaglie verbali e carta bollata. Un libro che riporta con disciplina, pazienza e persino un sottile filo di umorismo, il clima di allora: poliziotti bugiardi, magistrati frettolosi ed insabbiatori, avvocati rissosi e le vittime predestinate per dare corso al progetto iniziale della Strage di stato: l'involuzione sempre più autoritaria dell'apparato di potere. Un libro importante, fondamentale, che insieme agli articoli pubblicati dalla stessa Cederna sull'Espresso, ha contribuito in maniera determinante a smascherare le menzogne di stato. Cosa questa che non le è mai stata perdonata. L'ultima sentenza, la 559 della terza sezione civile della corte di cassazione, persevera in questa direzione. Per chi non l'avesse seguita sulla stampa ne ricordiamo gli estremi..
Nel 1991, mentre montava "Mani Pulite", Vittorio Sgarbi dalle reti Mediaset, nel prendersela con la sinistra per il suo "giustizialismo" ai danni dei potenti/corrotti di allora (Craxi e compagnia) accusava Camilla Cederna (ed il suo libro) di essere la "quasi mandante morale" dell'assassinio del commissario Calabresi. Cederna querelava Sgarbi ottenendo dal tribunale di Monza nel 1996 un risarcimento di cento milioni di lire. In secondo grado la corte d'appello di Milano assolveva Sgarbi per aver semplicemente esercitato "il diritto di critica". La sentenza 559 del 13 gennaio '05 ha detto l'ultima parola a riguardo, dando ragione al "liberal" Sgarbi, un "liberal" così "liberal" da aggredire chi ha osato mettere in dubbio le versioni menzognere e contrastanti della questura, le palesi e pesanti irregolarità del fermo e dell'interrogatorio di Pinelli, la violenza vigliacca che ne ha provocato la morte, l'arroganza senza limiti del potere; insomma l'essenza dello stato.
Camilla Cederna è morta il 5 novembre del 1997, il Comune di Milano si è sempre rifiutato di conferirle un riconoscimento alla memoria (come quell'Ambrogino che viene dato annualmente ai cittadini "illustri") ed arriva a vietare, come ha fatto il 13 dicembre 2002, la rappresentazione teatrale di una pièce tratta dalla biografia raccontata di Licia Pinelli in un centro sociale comunale. La magistratura da ragione a Sgarbi. Il potere politico mantiene in prigione, contro ogni logica, altri mandanti morali come Adriano Sofri ed Ovidio Bompressi, addossando loro anche quella materiale.
Il commissario Calabresi si avvia alla beatificazione: nessuno deve disturbare il manovratore.
M. V.