Umanità Nova, numero 2 del 23 gennaio 2005, Anno 85
Tutto come nel più banale, squallido e noioso dei copioni: il capro espiatorio, l'esecutore degli ordini brutto, cattivo quanto occorre e soprattutto non pentito, che si becca la condanna, l'opinione pubblica rassicurata nel vedere il "trionfo della giustizia", i veri responsabili che rimangono nell'ombra anche se chiamati in causa, non solo perché, potenti come sono, hanno il diritto di evitare qualsiasi condanna, ma soprattutto perché così potranno continuare a fare, e a ordinare, le porcherie di prima per il bene della nazione.
Si è concluso con una condanna a dieci anni di carcere e la radiazione dall'esercito il processo intentato dalla Corte marziale al caporale Charles Graner, quello diventato famoso perché amava farsi fotografare, assieme alla fidanzata Lyndie, mentre torturava col sorrisetto sulle labbra i detenuti del carcere iracheno di Abu Ghraib. E si prevede che i prossimi processi ai suoi colleghi si concluderanno allo stesso modo, con l'inflessibile giustizia statunitense che dimostra, davanti agli occhi del mondo intero, di saper punire anche i suoi eroici figli, se questi sbagliano e soprattutto se sono gli ultimi della catena.
Tutto bene, dunque? Possiamo dormire sonni tranquilli, sapendo che le aberrazioni di Abu Ghraib verranno punite e non si ripeteranno? Possiamo confidare nello spirito democratico e compassionevole dei boss del Pentagono e della Casa Bianca? Beh, anche se ci dicono ingenui e sognatori, non siamo proprio così dei coglioni.
Che l'uso sistematico della tortura sia ormai una prassi consolidata nella cosiddetta lotta al terrorismo che gli Stati Uniti hanno dichiarato al mondo intero, è cosa che nemmeno il pasdaran Giuliano Ferrara potrebbe negare. Gli esempi e le dimostrazioni, del resto, non mancano, e non sarà male provare a ricapitolarle. Innanzitutto Guantanamo, la famigerata prigione nell'isola di Cuba dove, dichiaratamente e senza ipocriti infingimenti, il governo americano detiene cittadini di varie nazionalità, senza accuse formali, senza prove, senza il minimo rispetto di uno qualsiasi dei mille diritti internazionali a cui, in altre occasioni, così sfacciatamente ci si richiama. E questo comportamento, teorizzato dai consiglieri e dagli uomini del presidente (e conoscendoli, fin qui tutto secondo logica), è addirittura rivendicato dallo stesso Congresso, che pochi mesi or sono, dopo l'emozione degli scandali di Abu Ghraib, ha comunque ritenuto di non vietare alle proprie forze armate l'uso di metodi "estremi" negli interrogatori dei sospetti terroristi. Cosa significhi "metodi estremi" non ci vuole molta intelligenza per capirlo.
Poi, per chi se ne fosse dimenticato, anche in Afganistan esiste una prigione, quella di Baghran, dove periodicamente vengono alla luce episodi di torture e vessazioni forse ancora più gravi di quelle commesse in Iraq. Evidentemente la lontananza dell'Afganistan, ormai, dagli occhi e dal cuore delle varie opinioni pubbliche mondiali, spiega il fatto che in questo caso non si imbastiscano nemmeno processi farsa né si mostri di voler porre riparo. Del resto, basti pensare alla prassi, non solo non occultata, ma addirittura rivendicata da parte della Cia, di rapire cittadini nei vari paesi europei e non, e quindi anche in Italia, per condurli segretamente in certe carceri di paesi arabi amici dove poter esercitare, con tranquillità e senza il fiato sul collo di intraprendenti giornalisti od organizzazioni umanitarie, quei metodi "estremi" di cui parlavamo poc'anzi. È altrettanto noto che il trasporto dei rapiti in queste carceri segrete avvenga tramite alcuni famigerati aerei, sempre della Cia, sui quali vengono minacciate, e non osiamo pensare anche attuate, quelle pratiche criminali che resero famose, negli anni settanta, le dittature cilena ed argentina.
A questo punto non resta che chiedersi se questo uso sistematico della tortura sia solo un incidente di percorso, anche se troppo frequente, oppure uno dei tanti fra gli strumenti di lavoro di cui si è dotata la superpotenza americana per affermare il proprio dominio. E ancora una volta non serve eccessiva intelligenza per trovare la risposta giusta.
Allora! Per cominciare, Donald Rumsfeld, il potentissimo ministro della difesa che è stato il primo a teorizzare, e quindi a ordinare, giustificare e minimizzare i metodi "estremi" e i "trattamenti inumani" poi approvati dal Congresso. Sicuro del fatto suo, non si è mai preoccupato di smentire l'autorizzazione alla tortura, anzi! A seguire Condoleeza Rice (il cui strano nome, non dimentichiamolo, è una storpiatura dell'italiano con dolcezza!), prossimo venturo onnipotente segretario di stato, che ha avuto modo di ribadire che il divieto di torturare e l'obbligo per la Cia e il Pentagono di riferire al riguardo al Congresso avrebbero "garantito a prigionieri stranieri una protezione legale cui non hanno diritto nell'ambito della legge applicabile". Frase che un deputato democratico ha tradotto con "l'amministrazione vuole preservarsi la possibilità di usare la tortura". Per finire con il prossimo ministro della giustizia, l'ispanico Alberto Gonzales, che si è conquistato l'ambitissimo posto definendo, a suo tempo, antiquata e obsoleta l'innocentissima Convenzione di Ginevra, e azzeccagarbugliando fra tortura, da condannare, santo cielo!, e stimoli da usare negli interrogatori, qualunque essi siano, ma comunque più che legittimi. Non c'è che dire, davvero belle performance per gli eredi di quelli che negli anni della guerra fredda si presentavano come i combattenti del "bene" contro l'impero del male sovietico, impartendo spocchiose lezioni di democrazia al mondo intero!
Appare a questo punto ovvio che tali teorizzazioni abbiano trovato un logico riscontro nella decisione dei giudici che hanno condannato il capro Graner, i quali non hanno voluto farlo deporre sotto giuramento, perché ciò avrebbe comportato un imprevedibile interrogatorio al posto delle dichiarazioni spontanee (ed evidentemente concordate) che ha reso. E quegli stessi giudici, non a caso, hanno poi rifiutato di citare in giudizio anche i superiori diretti chiamati in causa dall'imputato, superiori che pertanto non dovranno subire alcun processo. Non si sa mai che una chiamata di correo tiri l'altra e che, alla fine della piramide, non quella oscenamente ritratta nelle fotografie che hanno fatto il giro del mondo, ma quella ancora più oscena che porta ai vertici dell'impero americano, dovessero comparire in giudizio il compassionevole Bush e tutti i suoi compassionevoli uomini, a cominciare dalla compassionevole e dolce Condooleza.
Massimo Ortalli