Umanità Nova, numero 2 del 23 gennaio 2005, Anno 85
Il punto d'incontro tra le culture non può essere
né la mia casa, né quella del mio vicino: esso si trova
all'incrocio delle strade, fuori dalle mura, laddove potremmo
eventualmente decidere di piantare una tenda per il nostro presente.
(Raimond Panikkar)
Come confermano le recenti strumentali polemiche sull'adesione della
Turchia all'Unione Europea e le disquisizioni sull'identità
culturale e religiosa europea minacciata, la comunicazione politica
autoritaria continua a fondarsi su dei precisi paradigmi e la
riproposizione di invariati stereotipi, messi a nudo in particolare
dalle manifestazioni leghiste e fasciste di fine anno.
Innanzitutto viene sempre data per scontata la corrispondenza tra popolo-nazione-governo, ma anche veicolata la banalità storica e sociale che possano esistere popoli buoni e cattivi, civili e da civilizzare, liberi e oscurantisti, reazionari o rivoluzionari.
In realtà la categoria "popolo" significa tutto e niente; parola contesa sia da destra sia da sinistra che può divenire ambiguo sinonimo di gente, proletariato o moltitudine.
Ogni popolo infatti comprende individui diversi, classi diverse, generi diversi, culture diverse, ma è anche la risultanza di conflitti interni ad esso e, comunque, appare come il risultato di processi sociali tutt'altro che lineari e univoci.
Basterebbe riflettere su questo per rendersi conto di quanto sia insensato parlare di "scontro tra civiltà" e dell'assurdità di semplificazioni, davvero da barzelletta, quali termini come "gli italiani", "i turchi", "i cinesi", "gli americani", "i cubani", "gli arabi", "gli ebrei"…
Eppure su queste definizioni caricaturali, da secoli, si fondano tutte le teorie discriminatorie di stampo razzista e/o nazionalista, così come i discorsi dei seminatori professionali d'odio quale è, ad esempio, Oriana Fallaci.
E, poiché non esistono né popoli d'eroi né tanto meno senza macchia, il passato di ogni popolo si presta fin troppo agevolmente a criminalizzare non soltanto la sua storia ma persino, anacronisticamente, le persone che oggi, volenti o nolenti, ne fanno parte.
Ovviamente, in questo caso, diventa fondamentale l'equazione popolo-governo, passando sopra gli antagonismi da sempre esistenti tra chi ha potere e chi no, tra chi è privilegiato e chi è sfruttato.
Così, in simile gioco al massacro, nessuno può sottrarsi: gli spagnoli hanno sterminato le civiltà pre-colombiane, i tedeschi hanno partorito il nazismo, gli americani hanno annientato gli indiani, i kurdi hanno collaborato con lo Stato turco nel genocidio armeno, gli italiani hanno fatto strage di libici, somali ed abissini durante le imprese coloniali tricolori…
Poco importa sapere, in queste semplificazioni manichee, se in ogni
tempo e ad ogni latitudine ci sono state donne, uomini, gruppi,
minoranze, classi sociali, che non si sono riconosciute nel potere
dominante affermando la loro identità fuori da ogni confine
nazionale.
D'altra parte, in questi ultimi decenni, per resistere alle dinamiche
della cosiddetta globalizzazione, anche a "sinistra" sono state
acriticamente rivalutate radici culturali, tradizioni, localismi che
tendono comunque a differenziare le persone e le collettività,
trasformando le cosiddette identità in assiomi chiusi e
immutabili che rendono i membri di un gruppo estranei a coloro che non
ne fanno parte.
Al contrario la "nostra" identità ossia, riprendendo le parole di Fernand Savater, "quell'insieme di riti e di mitologie idolatrato dai gestori della routine, archiviato dai burocrati essenzialisti e omaggiato a suon di cannonate dai padri della patria", può avere un senso solo se viene messa in gioco con le altre identità, senza cercare omologazioni né supremazie ma misurandosi con le questioni reali invece che con astrattezze antistoriche.
Se esiste un'identità culturale europea, ad esempio, questa non è altro che il risultato e la memoria di rapporti sociali molteplici, saperi diversificati, filosofie contrastanti, influenze religiose plurali: ad essa appartengono al contempo l'impero romano e quello bizantino, le culture nordiche e quelle mediterranee, la rivoluzione francese e la chiesa cattolica, l'islam e l'eresia, il pensiero liberale e il marxismo, l'anarchia e i fascismi.
Eppure questa tutt'altro che monolitica identità, nelle
campagne xenofobe delle destre e dai cosiddetti organi d'informazione,
viene presentata come un'indifesa cittadella di volta in volta
assediata da orde fameliche di africani, albanesi, slavi, musulmani,
turchi, cinesi…
Intanto noi (civili, democratici, europei, occidentali, cattolici…),
dopo aver saturato la nostra società, invadiamo davvero le vite
altrui con la "nostra" ideologia, le "nostre" merci, la "nostra"
morale, le "nostre" armi, mentre il passato radioso della
civiltà europea è ancora testimoniato dai milioni di
croci dei cimiteri di guerra in cui il suolo europeo è impastato
col sangue di intere generazioni assassinate dai nazionalismi.
Sandra K.