Umanità Nova, numero 3 del 30 gennaio 2005, Anno 85
Lo scorso 18 gennaio il ministro Moratti ha reso nota la bozza del decreto attuativo della riforma della scuola secondaria superiore. Dopo la scuola elementare e la media, si avvia quindi a completamento il quadro della famigerata legge 53 sul riordino dei cicli. Ha inizio dunque l'iter parlamentare dello schema di decreto, che dovrà concludersi entro i termini utili previsti per l'applicazione della riforma, che andrà in vigore, nelle secondarie superiori, dal settembre 2006.
Il decreto, in attuazione della legge di riforma, istituisce un
sistema scolastico duale: da una parte l'ambito dell'istruzione , che
ospita i licei di nuova e di vecchia istituzione, dall'altra l'ambito
della la formazione professionale, che comprende gli istituti
professionali. Natura, durata e finalità dei due sistemi come si
legge puntualmente nel testo, sono completamente diversi; i licei
mantengono una durata quinquennale e sono propedeutici alla
prosecuzione universitaria. I professionali hanno durata quadriennale,
non consentono la prosecuzione universitaria, ma, previo espletamento
di un anno integrativo, consentono l'accesso alla formazione tecnica
postdiploma (IFTS e simili). La martellante propaganda morattiana sulla
possibile mobilità tra i due sistemi è di fatto priva di
ogni fondamento; se già fino ad oggi il transito era piuttosto
limitato e avveniva prevalentemente a senso unico "discendente", dai
licei agli istituti tecnici e professionali, è chiaro che una
situazione di marcata e istituzionalizzata separazione renderà
impossibile qualsiasi circolazione fra i due sistemi. Se a ciò
aggiungiamo il fatto che la scelta della scuola secondaria viene
anticipata a 13 anni, possiamo cogliere inequivocabilmente la valenza
peggiorativa e classista di una riforma che canalizza precocemente i
ragazzi determinando il loro futuro e che rompe nettamente con alcune
acquisizioni civili degli ultimi decenni, come il libero accesso
all'università, ora di fatto sbarrata.
La sparizione degli istituti tecnici
Il sistema dei licei prevede, oltre a quelli già esistenti,
la licealizzazione degli istituti tecnici, che scompaiono come tali e
assumono la configurazione di licei tecnologici.Il curricolo prevede un
abbattimento notevole dell'orario, che scende a 27 ore settimanali, e
la collocazione delle materie di laboratorio nelle ore opzionali. Una
dequalificazione che ha sollevato, sino dalla scorsa primavera, persino
le proteste di Confindustria, preoccupata per la deriva del settore
scolastico a cui tiene maggiormente. Abbattimento di orario che si
realizza comunque anche nei licei tradizionali, dove il curricolo
scende a 27 ore dalle precedenti 30. Il tempo scuola previsto dalla
riforma infatti si articola in una quota curricolare uguale per tutti,
in una quota di ore per attività opzionali obbligatorie ed in
una quota per attività opzionali facoltative.
Inevitabili le conseguenze derivanti dalla rottura
dell'omogeneità dei gruppi e dall'impoverimento delle discipline
fondamentali; ridicola la compensazione realizzata dall'area opzionale,
che niente ha a che fare con la considerazione degli interessi
soggettivi e molto si avvicina ad una logica frammentaria e
superficiale che evoca il consumo, in linea con la nozione di cultura
come merce.
L'orario base si riduce ulteriormente nell'ultimo anno, che costituisce
un segmento a sé stante dove, perdendosi il valore di
completamento della formazione, cresce la quota opzionale per
consentire attività di orientamento universitario.
L'ora di religione
Una considerazione a parte merita l'ora di religione. Logica
vorrebbe che, in una configurazione articolata come quella prevista
dalla riforma, una materia facoltativa come appunto la religione
cattolica si collocasse nella quota opzionale. Invece no; pur essendo
facoltativo, l'insegnamento figura nel currricolo d'obbligo, andando ad
assorbire una delle preziose 27 ore, che di fatto sono dunque 26.
Apprendistato gratuito
Passando alla formazione professionale la situazione appare
devastante. La riforma infatti ridefinisce gli istituti professionali
sul modello dei centri di formazione professionale già
esistenti, gestiti da enti locali e d imprese, incentrati
sull'addestramento lavorativo e sul minimum culturale.
E infatti il decreto prevede un abbattimento secco dell'orario
curricolare (che scende a 30 ore) e l'obbligo di svolgere almeno il 25%
di questa già risicata quota in un luogo di lavoro. È
stato calcolato che, se si volesse conservare il minimo della frequenza
scolastica obbligatoria per convalidare l'anno scolastico, destinando
il resto del tempo alla permanenza in azienda, si potrebbe,
legittimamente, frequentare la scuola per non più di 15 ore
settimanali. Ci spieghino gli esperti della Moratti come uno studente
che scegliesse questo modulo potrebbe tranquillamente passare ad un
liceo. Si chiama ufficialmente alternanza scuola lavoro; si tratta,
concretamente di un apprendistato gratuito, di cui viene definito il
minimo ma non il massimo, che potrà essere individuato tramite
accordi tra le scuole e le aziende; queste ultime avranno non solo
fornitura di lavoro da non retribuire, ma saranno anche incentivate per
la loro disponibilità ad entrare nel sistema. Gli obiettivi
formativi ( L.E.P.-Livelli essenziali delle prestazioni) saranno
definiti dalle Regioni, che di fatto gestiranno il sistema, in una
visione di assoluto subordine della scuola alle esigenze dell'impresa e
del mercato. Si avrà quindi una consistente diversificazione
territoriale dell'offerta formativa e, conseguentemente, dei titoli
conseguiti e delle relative possibilità occupazionali. Le
regioni gestiranno anche il personale destinato alla formazione
attingendo indifferentemente tra docenti abilitati e tra personale
esperto non meglio identificato.
Riduzione drastica dei lavoratori della scuola
Quello dell'organico è del un punto critico fondamentale
della riforma. È innegabile infatti che oltre ad una deleteria
impostazione del sistema scolastico, più funzionale alle
esigenze del mercato e di una società classista, la riforma si
ponga anche l'obiettivo potente del taglio di migliaia di posti di
lavoro. Vanno in questa direzione l'abbattimento generalizzato
dell'orario dei curricoli, la sparizione totale di alcune discipline
(ad es. diritto), l'abbattimento secco di altre (es. 50% di educazione
fisica, ma non solo); per non parlare della precarietà delle
materie opzionali, che prevedono, laddove manchino le competenze
richieste dallo studente- cliente, l'assunzione di esperti con
contratti di collaborazione.
La situazione è evidentemente molto critica. Purtroppo molte
delle direttive de decreto erano già presenti nel testo generale
della legge di riforma, approvata nel marzo del 2003; tuttavia, a
differenza della scuola elementare, la secondaria superiore non ha dato
segnali di vivacità significativi. Urge recuperare
immediatamente questo ritardo, contrastando l'iter del decreto,
sfuggendo alle trappole dell'opposizione di facciata dei sindacati di
stato, contigui agli interessi delle Regioni e delle imprese,
rafforzando le lotte portate avanti con continuità dal
sindacalismo di base, saldandosi alle mobilitazioni degli altri ordini
di scuola, collegando le esigenze dei lavoratori con quelle degli
studenti.
Patrizia Nesti