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Umanità Nova, numero 4 del 6 febbraio 2005, Anno 85

Orizzonti di filo spinato
Palestina: presidente l'uomo di Oslo



L'unica seria sfida che le recenti elezioni palestinesi pongono al suo avversario storico consiste nel fatto che Israele non può fregiarsi del titolo simbolico di essere l'unico regime democratico in Medio oriente. Per il resto, sul campo cioè, credo che la situazione della popolazione palestinese avvertirà pochi effetti dell'aver raggiunto Israele quanto a standard democratici, mancandole totalmente tutto ciò che dovrebbe stare al fondo di una democrazia, ossia la libertà tout court, nonché le singole libertà applicate (di spostamento, per citarne una).

Abu Mazen e gli Accordi capestro di Oslo
Abu Abbas, nome di battesimo di Abu Mazen, è insieme a Yossi Beilin uno degli architetti degli Accordi di Oslo, sottoscritti in più riprese tra il 1992 e il 1993, e reiterati a frammenti sino al 2000, quando scoppiò la seconda Intifada, quella armata, proprio perché degli effetti positivi di tali Accordi non si vedevano i benefici. Oslo disegna sul terreno una condiscendenza pragmatica dell'elite palestinese a quella israeliana: scegliendo di non affrontare di petto i reali problemi dell'annoso conflitto (profughi, acqua, confini, Gerusalemme capitale, insediamenti ebraici), gli Accordi tracciavano un graduale passaggio di consegna tra il padrone del territorio palestinese, l'occupante Israele, e il suo affittuario altrettanto storico ma subordinato, l'Autorità Palestinese, che assumeva in carico la piccola economia locale, ristretta territorialmente, l'ordine pubblico, e la gestione (in condominio) degli aiuti internazionali - quelli che hanno fatto arricchire le potenti famiglie arabe che controllano il vertice di Fatah e dell'Olp.
La continuità territoriale, le risorse idriche, l'economia palestinese, la terra, i confini, tutto negli Accordi recepiva una situazione de facto sul campo sfavorevole ai palestinesi, che pur di vedersi riconoscere l'anticamera di un futuro stato palestinese, calavano le braghe in maniera non certo lusinghiera. Non è un caso che da nessuna parte sta scritto una Autorità Nazionale Palestinese: l'aggettivo nazionale rivelerebbe un paese unito territorialmente, con una capitale politica e simbolica (non certo Ramallah o il sobborgo di Gerusalemme, Abu Dis, la collina quasi del tutto "murificata" dietro il Monte degli Ulivi alle spalle della città vecchia).
Abu Mazen ha condotto quelle trattative e da lì vorrebbe riprendere oggi la strada, solo che un decennio è passato e le cose sono cambiate. In campo palestinese, la forza e il peso politico dei fondamentalisti islamici è cresciuto notevolmente, anche per via del malcontento popolare alla corruzione dell'elite al potere; Hamas e la Jihad hanno in parte dirottato gli aiuti della Ummah panaraba e dei loro sponsor esteri (Arabia e Iran, rispettivamente) anche per alimentare un welfare di base che ha preso il posto del vuoto lasciato dall'elite laica dell'Olp, tutta intenta a costruirsi sontuose ville in riva al mare di Gaza, pure sorvegliato dalle vedette con la stella di David. Il boicottaggio delle elezioni presidenziali si è fatto pesare sui numeri dell'elezione di Abu Mazen (hanno votato il 62% degli aventi diritto al voto, e di questi poco più del 60% ha votato per lui), mentre a Gaza ormai Hamas ha la leadership locale, specie dopo gli assassini illegali dello sceicco Yassin e del leader Rantisi dello scorso anno).

Il sostegno Usa
Gli Usa hanno espresso e esprimono la guida politica ancora più vicina ad Israele sin dai tempi di Truman, e le persone che dirigono gli affari internazionali, Condoleeza Rice in testa, non solo hanno meno conoscenza dei dossier mediorientali di quanto ne avessero i loro predecessori (suppliscono con gli esperti e i consulenti a libro paga della comunità ebraica americana, anche qui con il sistema delle sliding doors, le porte girevoli così efficaci tra politica e sistema industriale: quando la politica non chiama, si viene ingaggiati da lobby potenti che influenzano dall'esterno il governo e il Congresso), ma anche rivelano una attitudine supina nei confronti di Sharon (ai tempi della prima Intifada, 1988, regno di Bush I negli States, non si esitò di tagliare i fondi al governo Begin pur di ottenere che Israele seguisse la politica americana, e non viceversa).

Sharon molla Gaza per garantirsi le colonie in Cisgiordania
Sharon, infine ha sepolto Oslo, non da solo, scegliendo di ripescare dai cassetti delle opzioni israeliane per legittimare una annessione de facto, lo sganciamento da Gaza, futuro stato palestinese residuo sulla mappa: seppellendo persino la Road Map di Bush II, l'elezione di Abu Mazen diviene per lui una opportunità storica di fare il bel gesto di mollare la presa su una striscia con oltre un milione di palestinesi a fronte di 8550 coloni (sugli oltre centomila sparsi per la West Bank occupata dal 1967, mai riconosciuta a livello internazionale), risparmiando soldi e vite umane (dei propri), facendo della polizia palestinese i secondini che veglieranno sull'immensa prigione a cielo aperto che diverrà Gaza una volta evacuata. Il beau geste servirà all'élite israeliana ad annettersi terre arabe in Cisgiordania legittimando gli insediamenti coloniali degli estremisti riottosi, che ancora aspirano a signoreggiare i territori dal Mediterraneo al Giordano, dal Tigri al mar Rosso. A loro confronto, Sharon è un abile moderato, consapevole che il sogno di Eretz Israel è appunto un sogno, ma tale consapevolezza passerà anche sulla montagna di cadaveri di una intera storia umana, quella dei palestinesi, abbandonati da tutti, arabi inclusi, perché la loro laicità confusa e corrotta, nei loro rappresentanti istituzionali beninteso, non soddisfaceva e non soddisfa il cliché politico degli arabi sottomessi, dispotici e clericali, risultato ottenuto nella metamorfosi di una popolazione costretta a rifugiarsi nell'estremismo religioso islamico, con annessi devastanti quali i sacrifici umani, come ultimo spazio di sopravvivenza e di speranza per una vita autonoma e indipendente che, alle soglie del nuovo millennio, non sta certo avvicinandosi, e meno che mai in termini reali e non fittizi sotto la nuova presidenza di Abu Mazen.

Salvo Vaccaro



































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