Umanità Nova, numero 5 del 13 febbraio 2005, Anno 85
Ho incontrato Giuliana Sgrena alcuni mesi, quando, di ritorno momentamente dall'Iraq, raccontava la sua esperienza e mi aveva colpito la semplicità con cui lo faceva. Non dava l'immagine dell'eroina o della donna speciale, ma di chi, con cuore ed intelligenza portava la voce di chi voce non ha, e narrava la vita di chi non ha posto sui titoloni dei giornali.
Il suo rapimento rientra nella logica perversa della guerra che colpisce sempre più chi la guerra non la vuole e non la fa, piuttosto che coloro che la vogliono e la combattono. Una logica nella quale centinaia di persone sono stritolate ogni giorno. Una logica che questa donna coraggiosa combatteva raccontando e fotografando la vita in Algeria, in Somalia, in Afganistan, in Iraq, sempre con una attenzione particolare alla vita delle donne di quei paesi.
Giuliana non era tornata a casa, denunciava la militarizzazione dei territori e dell'informazione, non si nascondeva, non era difficile metterla al centro del mirino. Di quale integralismo oggi sia vittima non lo sappiamo: sappiamo che stava indagando su quanto era successo a Falluja e questo dà fastidio, sappiamo che era dalla parte delle donne e questo dà ancora più fastidio, sappiamo che denunciava ogni integralismo e questo è intollerabile. Anche per questo le parole di alcuni giornali o uomini politici all'indomani del suo rapimento appaiono vergognosamente indegni.
La sua libertà ci è a cuore come lo è quella di qualsiasi essere umano a cui è stata negata, ma con l'affetto in più che si prova per una persona che si sente amica.
R.P.