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Umanità Nova, numero 5 del 13 febbraio 2005, Anno 85

Scenari da incubo
Iraq: Baghdad come Sarajevo? 



L'affluenza alle urne delle elezioni in Iraq è stata salutata dagli Stati Uniti e dalle amministrazioni dei paesi più coinvolti nella guerra (Italia in testa) come la controprova della giustezza della guerra e come il segnale di apprezzamento dell'occupazione militare occidentale da parte della maggioranza della popolazione. I primi dati diffusi dalla Commissione Elettorale, composta da dipendenti del primo Ministro l'ex agente della CIA Allawi, sembravano autorizzare una lettura tutto sommato soddisfacente degli eventi da parte degli USA e dei loro alleati. La cifra stimata era del 70% degli iscritti ai registri elettorali. In realtà a molti commentatori era volutamente sfuggito il fatto che, su quattordici milioni di aventi diritto, il numero degli iscritti effettivi alle liste non sia mai stato rivelato e, quindi, il numero reale dei votanti sarebbe comunque destinato a restare incerto. I giorni successivi, comunque, hanno fatto giustizia di questa mistificazione dal momento che giovedì sera la stessa commissione ha dovuto fare una relativa marcia indietro ammettendo che il numero dei votanti non aveva superato il 57% (di chi? Della popolazione o degli iscritti alle liste?) e che solo nella zona curda e nelle città sante sciite la percentuale viaggiava tra il 70 e l'80 per cento degli elettori. Già a Basra le percentuali viaggiavano sul 35% mentre a Baghdad il numero dei votanti non raggiungeva il 30% e nel triangolo sunnita non venivano fornite indicazioni. Dopo aver dato queste percentuali la commissione si è chiusa in un assoluto silenzio rotto soltanto dalle cifre fornite da un sito vicino ai servizi segreti israeliani. Questi ultimi sono sicuramente credibili dal momento che sono di casa in Iraq fin dagli anni settanta quando iniziarono ad addestrare militarmente i peshmerga dell'Alleanza Patriottica e del partito Democratico, fratelli-coltelli dell'indipendentismo tribale curdo-iracheno. Questo sito ha pubblicato una stima che calcola in un range tra il 40 ed il 45% il numero dei votanti senza specificare ulteriormente tra elettori potenziali ed iscritti alle liste. Una quota assolutamente credibile di elettori che disegnerebbe una sconfitta secca dell'ipotesi propagandista dell'amministrazione Bush. La ripartizione del voto ci dice, infatti, quattro cose:

- in primo luogo il voto è stato plebiscitario solo tra i curdi che eleggevano anche la loro assemblea regionale autonoma destinata con il tempo ad ottenere sempre più potere ed a diventare il nucleo del futuro stato curdo più o meno federato con l'Iraq americano.

- in secondo luogo il voto è stato alto nelle città sante e nelle campagne della zona sciita ed ha premiato la lista dei partiti religiosi Sciri ed Al Dawa nonché quella del Partito Comunista Iracheno che è un partito sciita per radicamento e diffusione. La lista del premier Allawi, uomo scelto dagli americani per fare da contrappeso laico ai religiosi tra la popolazione sciita è stata trionfalmente trombata. Gli sciiti si dividono tra i sostenitori dei settori religiosi, peraltro quietisti, e quelli del Partito Comunista. L'eccezione è stata Basra dove il voto è stato boicottato dalle tribù vicine al leader radicale Moqtada al-Sadr e la popolazione non si è presentata alle urne anche per protestare contro il pessimo governo locale gestito dallo Sciri e da al-Dawa. Come si vede le contraddizioni non mancano anche in campo sciita.

- in terzo luogo il voto a Baghdad è stato assolutamente inferiore alle attese sia nei quartieri sciiti che in quelli sunniti. La capitale non ha votato o ha votato meno di quanto non pensassero gli strateghi del Pentagono. La legittimazione dell'occupazione da parte della capitale non c'è stata. Questo dato è stato finora assolutamente nascosto.

- La zona sunnita non ha votato in modo massiccio. A Falluja i seggi non sono neppure stati aperti mentre a Ramadi ed in altre località si è registrato un afflusso tra il 7 e l'8%. I sunniti, clan dominanti sotto il regime di Saddam Hussein e prima sotto quello Hascemita sono stati cancellati dalla rappresentanza e ormai non possono puntare su altre carte che sull'appoggio alla resistenza per cercare di riprendere il posto perduto nell'Iraq contemporaneo.

Verso la balcanizzazione del paese

In conclusione il risultato di queste elezioni rafforza la componente maggioritaria del paese ma non in modo tale da permetterle di esercitare un controllo assoluto sul paese, rafforza gli elementi laici riuniti attorno al Partito Comunista, sancisce sia la virtuale indipendenza del Kurdistan iracheno che l'assoluta mancanza di controllo del governo centrale sull'area sunnita. In altre parole pone le basi per la balcanizzazione dl paese come desiderato dal Pentagono e da Israele nonostante l'opposizione di una parte consistente della stessa amministrazione Bush e della CIA che teme un Iraq teatro di una lunga guerra di guerriglia che potrebbe essere il luogo di reclutamento e rafforzamento del nazionalismo islamista rappresentato da Al Qaeda.
Il progetto che l'Amministrazione Bush ha invece deciso di realizzare è proprio quello della balcanizzazione del paese e della spinta verso una guerra civile che legittimerebbe la continuità dell'occupazione e metterebbe in ginocchio il paese per i prossimi decenni assicurando a Washington un tranquillo protettorato al centro della geopolitica del petrolio. Inoltre un paese di tal fatta consentirebbe al fedele alleato israeliano di operare per la conquista dell'egemonia regionale e per la riduzione dei regimi arabi a fornitori di gas e petrolio ed a mercati privilegiati per l'asfittica economia dello stato ebraico.

Gli USA potrebbero giocare il successo dei "moderati" di al-Sistani in funzione antiiraniana

Non si deve poi dimenticare che il successo dell'ayatollah al-Sistani e del suo partito potrà essere giocato dagli USA contro l'attuale leadership iraniana in quello che si annuncia come il conflitto dell'amministrazione Bush II. I religiosi sciiti iracheni sono, infatti, quietisti e non sono sostenitori del velayat-i-faqih, ossia la superiorità della guida religiosa su quella politica. Tale ideologia fu coniata all'interno della scuola sciita iraniana di Qom e fu il riferimento per il golpe con il quale l'ayatollah Ruollah Khomeini e il clero sciita dell'antica Persia presero il potere nel paese e chiusero la vicenda della Rivoluzione del 1979 che aveva cacciato lo Shah e stava liberando l'Iran da quarant'anni di dominio totalitario esercitato dalla famiglia Pahlavi e dalle multinazionali petrolifere. Khomeini fece di tale ideologia la base per la formazione della repubblica islamica in Iran ma in generale nel mondo sciita essa non fu ben accolta in quanto alterava la divisione tra politica e religione che il mondo sciita ha sempre praticato in modo deciso. Hezbollah in Libano e i partiti sciiti in Iraq, nonostante gli stretti rapporti con Teheran, sono sempre restati fedeli ad un modello fondato sulla divisione dei ruoli tra politica e religione, modello che lo stesso clero sciita iracheno nonostante il ruolo di guida spirituale assunto nei confronti della comunità durante il periodo di repressione di questi eretici dell'islamismo, operata prima dagli hascemiti e in seguito dalla dittatura baathista, ha confermato come riferimento ideologico per l'operare dei partiti direttamente controllati. L'esistenza di partiti e leader sciiti, da giocare in contrapposizione all'attuale leadership iraniana fortemente orientata alla conferma del potere dei religiosi ed al blocco dell'evoluzione democratica della società, è un antico progetto americano allo scopo di costruire una copertura ideologica alla destabilizzazione di Teheran. Probabilmente lo Sciri e al-Dawa sono funzionali a questo progetto che potrebbe vedere tra quattro anni Iran ed Iraq guidati da una leadership sciita filoamericana e disposta a contrattare il protettorato USA sui propri paesi, il Kurdistan di fatto indipendente e la popolazione sunnita esclusa da ogni potere e ridotta a fare da retrovia per una guerriglia che a quel punto assumerebbe il ruolo di giustificazione per la costruzione di sempre nuove basi di occupazione del territorio da parte degli USA e dei loro alleati. Naturalmente questo scenario da incubo non è per gli USA di facile realizzazione perché la guerriglia ha dimostrato di mordere più di quanto non si supponesse e all'interno della stessa leadership sciita esistono settori come quello rappresentato da Moqtada al-Sadr esplicitamente contrari a tale prospettiva. Non si deve però sottovalutare la capacità americana di mandare avanti uno scenario di guerra di lunga durata alla propria popolazione dal momento che nemmeno i più di mille morti tra le truppe americane hanno svegliato una seria opposizione negli Stati Uniti all'avventura bellica e che il progetto di costituzione di un grande protettorato in tutto il Medio Oriente e nell'Asia Centrale è oggi ritenuto dalla maggioranza delle classi dominanti USA come l'unica via di uscita al progressivo declino nel quale gli Stati Uniti sono immersi da più di vent'anni.

Giacomo Catrame




































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