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Umanità Nova, numero 5 del 13 febbraio 2005, Anno 85

Una lenta agonia
Futuro fiat: debiti privati e ossigeno pubblico?



La vicenda Fiat-GM

L'informazione economica delle ultime settimane è stata insistentemente dominata dalla vicenda Fiat-GM.
Lo scadere del termine che consente alla Fiat di vendere il settore auto alla casa americana ha scatenato una ridda di voci e di ipotesi sul destino del gruppo, alimento principale di forti movimenti speculativi sul titolo. In cinque sedute di borsa è passato di mano il 22% del capitale Fiat, in una girandola impressionante di scambi e di arbitraggi, spesso proprio tra la coppia dei due titoli coinvolti, cioè Fiat e GM. Alla fine non è successo niente di eclatante, nonostante che, dopo un anno, un mese e una settimana di rinvio, il 2 febbraio, Fiat abbia finalmente maturato il diritto di esercitare la sua opzione di vendita, etichettata da Paolo Fresco, nel 2000, come un "paracadute per gli azionisti" e definita da Gianni Agnelli, nel 2002, come "un diritto che non eserciteremo mai".

Innanzitutto, riassumiamo i termini, poco noti, del contratto e gli scenari che ne possono scaturire:

1) l'esercizio della put non finisce, ma comincia adesso. La sua validità va infatti dal 2 febbraio 2005 al 24 luglio 2010;
2) i due contendenti non trovano alcun accordo e si va ad una causa legale che può durare mesi o anni, con il foro competente del Tribunale di New York;
3) Fiat informa GM che intende esercitare la put. Il gruppo ha 10 giorni di tempo per negoziare sul prezzo di Fiat Auto. Se non si trova l'accordo, 4 banche d'investimento (2 nominate e 2 indipendenti) hanno 20 giorni di tempo per valutare la società e fissare il prezzo;
4) Una volta stabilito il prezzo, Fiat può anche decidere di non esercitare (ad esempio perché trova il prezzo insoddisfacente);
5) Il pagamento del corrispettivo può essere in contanti o in azioni. Se GM paga in azioni, deve pagare tutto subito. Se paga in contanti deve pagare subito almeno il 25% di anticipo. Il pagamento può essere misto (azioni e contanti).

L'accordo possibile

Il trucco c'è e si vede. GM non ha alcuna intenzione di comprarsi Fiat Auto, mentre Fiat ha bisogno di venderne almeno una parte (il 51%) per poterne escludere i debiti dal suo bilancio consolidato. La soluzione ideale per entrambi i contendenti è quindi di trovare un accordo a metà strada, che consente a GM e FIAT di conseguire i rispettivi obiettivi, senza costi troppo onerosi. Vediamo quale può essere questa soluzione. 

Partiamo da GM. Il gruppo ha problemi di vasta portata. Il settore auto vive una fase di fortissima competizione, la guerra dei prezzi è all'ultimo sangue, la redditività del core business vicina allo zero o addirittura negativa. In particolare GM ha forti passivi in Europa, dove la sua controllata Opel perde fette di mercato. Il suo piano europeo prevede il licenziamento di 12.500 persone su 60.000. Inoltre sul gruppo pesano gli oneri dei piani di assistenza sanitaria dei suoi dipendenti americani e del fondo pensione aziendale. Per fare fronte ai suoi impegni nel luglio 2003 GM ha proceduto ad una imponente emissione obbligazionaria, in dollari, sterline ed euro, con titoli a 5/10/30 anni. Il suo debito totale è enorme, è il primo emittente sul mercato Usa, con circa 200 miliardi di $, a fronte di una capitalizzazione di borsa di circa 20,2 miliardi di $ (rapporto 10/1). I suoi utili derivano soltanto (come per quasi tutti i produttori di auto) dalla componente finanziaria del business, cioè dal finanziamento degli acquisti a rate. Nell'ottobre del 2004 S&P ha declassato il debito di GM a BBB-, l'ultimo livello dell'investment grade, prima della derubricazione a titolo spazzatura. Inoltre l'outlook viene definito stabile, ma "sotto osservazione", e quindi vuol dire che non è stabile! Messa così, GM ha le spalle al muro. Se dovesse essere costretta a comprare Fiat Auto, dovrebbe accollarsene gli 8 miliardi di euro di debiti, per comprare una roba che perde 1 miliardo di euro l'anno! L'impatto sul suo standing creditizio sarebbe devastante e rischierebbe di avvitarsi in una spirale senza fine.

Dal punto di vista Fiat, le cose non vanno meglio. La situazione di mercato è critica: a gennaio 2005 le vendite totali di auto in Italia sono scese del 4% ma per Fiat sono scese del 5,6%. La sua quota di mercato è di nuovo precipitata poco oltre il 27%. L'effetto traino dei nuovi modelli si sta già esaurendo. La Stilo non ha mai ingranato, Idea e Musa viaggiano a basso regime; va bene solo la Panda, insieme alla Punto che viene svenduta. La Ipsilon vende, ma su volumi contenuti. L'Alfa è di nuovo in crisi. Nel 2005 usciranno, di nuovi modelli, la Nuova Punto (un restyling) e la Croma (una nicchia piccola piccola). In compenso scadranno prestiti e linee di credito per oltre 6 miliardi di euro, senza contare il prestito convertendo da 3 miliardi che Marchionne ha già preannunciato di non voler rimborsare. La situazione reddituale di Fiat è chiara: l'auto ha perso nei primi 9 mesi del 2004 circa 800 milioni di euro; Iveco e Cnh insieme ne hanno guadagnati 500. Finché non si risolve il nodo dell'auto, l'azienda non potrà essere risanata. Occorre trovare qualcuno su cui smaltire almeno una parte delle perdite Fiat Auto.

Il solito contributo dei poveri ai ricchi?

A questo punto è probabile che sarà la politica a risolvere la partita e in ultima analisi il contribuente italiano. Nonostante i piccati interventi di Maroni, che sostiene che Fiat abbia ricevuto dallo Stato, nel corso del tempo, un volume di contributi a fondo perduto che sarebbero bastati a comprare l'intera GM, restiamo convinti che alla fine il sistema politico, con un approccio rigorosamente "bipartisan", "non possa restare insensibile e passivo" di fronte ai guai della Fiat. Potrebbe essere prevedibile quindi un accantonamento del problema GM, cioè una pace armata in attesa di sviluppi positivi. In fondo la put scade nel 2010, la linea giudiziaria dura sembra sostenibile e fondata, si può provare davvero a portare in pareggio l'auto entro la fine del 2006 e riuscire a venderla a prezzi più alti. La linea giudiziaria di GM è fragile: i due punti di forza sono l'aumento di capitale fatto da Fiat nel 2002 e la vendita della Fidis alle banche. Il primo era però un obbligo di legge dopo l'abbattimento del capitale sociale di oltre 1/3 e la seconda può essere annullata visto che Fiat ha in mano delle opzioni di riacquisto, recentemente prorogate al 2008. La monetizzazione della put, eventualmente, potrebbe portare a casa soldi freschi nel momento più opportuno (si parla di 800 milioni di euro offerti da GM e 1.200 attualmente richiesti da Fiat). Un intervento dello stato in Fiat, limitato al 30%, per un impegno transitorio con tempi di uscita predefiniti, attraverso Sviluppo Italia e le Regioni interessate dalla presenza di stabilimenti Fiat, può essere preso seriamente in considerazione. Un altro 30% potrebbero prenderselo le banche, anche solo esercitando il prestito convertendo in scadenza a settembre 2005. L'Ifil della famiglia Agnelli potrebbe così scendere sotto il 50% di Fiat Auto e deconsolidarne il debito dal proprio bilancio. A quel punto comincerebbe la ripresa vera e propria, con uno standing creditizio meno fragile, costi di finanziamento più bassi, una struttura patrimoniale più equilibrata. In un quadro finanziario più rilassato, si può persino cominciare a chiedere nuovi prestiti ed emettere nuovo debito, per finanziare i massicci programmi di investimento necessari per continuare a competere in un mercato così spinto all'esasperazione come quello dell'auto.

Sarebbe probabilmente possibile, a quel punto, riprendere anche la ricerca di soci industriali più affidabili con cui collaborare. La serie di errori che la Fiat ha fatto, dal dopo Ghidella in avanti, in tema di scelte industriali, ha portato a conseguenze pesanti. La messa a punto nel 1988 del "common rail" in ambito Magneti Marelli avrebbe potuto rappresentare un'occasione innovativa unica, se non fosse stato venduto il brevetto alla Bosch nel 1994, con conseguente messa a disposizione di questa tecnologia a tutti i principali concorrenti. L'elaborazione del "multijet", per affinare ulteriormente il meccanismo di funzionamento dei motori diesel, ha portato negli ultimi anni molti più vantaggi alla GM, che non a Fiat. In contropartita Fiat ha potuto usare il pianale della Opel per le proprie piattaforme produttive, ma si trattava di un prodotto molto più "povero". La collaborazione con GM in Powertrain ha rappresentato un rapporto squilibrato, con un bilancio molto più positivo per il partner americano. La fine dell'alleanza con GM potrebbe aprire la strada a partner industriali meno predatori.

Quello che rappresenta davvero un punto critico del sistema Fiat è la bassa utilizzazione della capacità produttiva. A fronte di concorrenti attestati su un utilizzo della capacità produttiva oltre l'86%, la Fiat sfrutta i suoi impianti al 74%. Depurato dal dato polacco, dove gli impianti della Panda funzionano al 100%, il dato Fiat scende addirittura al 67% per i suoi impianti in Europa occidentale, quando almeno 5 produttori (Bmw, Peugeot, Toyota, Renault, Nissan) viaggiano oltre il 93%. È evidente che questa situazione risulta insostenibile nel lungo periodo. Se le leve commerciali e di marketing non riusciranno a ribaltare lo stato di cose presenti, gli impianti italiani dovranno essere adeguati alla reale capacità di smaltimento del prodotto sui mercati. Se non aumenta il venduto, verrà ridotta la quantità prodotta. In termini nudi e crudi, questo significa chiudere uno stabilimento su tre e licenziare almeno altre 15.000 persone. Necessità che mal si conciliano con l'attuale esigenza Fiat di strappare ai politici un oneroso intervento pubblico per tenere in piedi la baracca per almeno altri 2/3 anni, in attesa di sviluppi sui vari fronti aperti.

Lo scambio "pace sociale" contributi statali

Abbiamo quindi di fronte una situazione abbastanza classica. La Fiat può usare tutto il suo potere di ricatto non già per calmierare i salari, come la Volkswagen in Germania, o per ottenere condizioni lavorative da "prato verde" come 15 anni fa per Melfi, ma semplicemente per garantire una fuoriuscita graduale dalla produzione di auto nel nostro paese. L'accordo recente per una futura produzione della Multipla in Iran indica chiaramente la direzione di marcia. Le produzioni vengono spostate verso Polonia, Brasile, Turchia, Iran, Cina, India, paesi dove le condizioni produttive sono sideralmente distanti dall'universo produttivo europeo. La filiera produttiva di Fiat Auto deve ritornare ad essere competitiva ed appetibile, prima di essere venduta a qualche produttore interessato ad inserirlo dentro le proprie sinergie e complementarietà.

Nel frattempo la Fiat non disdegna di scambiare "pace sociale" con contributi statali. Lo Stato, le Regioni, le banche dovranno continuare a nutrire un "cliente" in stato comatoso per non vederselo crepare in mano, da un momento all'altro. È penoso constatare come la linea sindacale delle confederazioni si riduca a chiedere "garanzie produttive", proprio quelle garanzie che la Fiat non può più dare. La Fiat non può dare garanzie neanche ai suoi padroni, che sono senza dividendi dal 2001 e che hanno dovuto vendere quasi tutte le aziende sane per tenerla a galla. Non può dare garanzie ai suoi manager, che sono stati "esodati" a migliaia negli ultimi 3 anni. Non può dare garanzie neanche ai suoi amministratori delegati, che sono stati ben cinque negli ultimi 4 anni. Tutto questo non ha dato alcun risultato stabile. Ora come ora, il lavoro garantito ce l'hanno soltanto gli avvocati…

Renato Strumia




































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