Umanità Nova, numero 5 del 13 febbraio 2005, Anno 85
Il ministro degli esteri Fini ha affermato di sperare che il successo di affluenza alle urne nelle elezioni irachene possa avere un effetto di contagio in tutta l'area arabo- islamica. Per il momento però l'unico contagio che si è verificato è quello della malafede. Infatti la vera domanda oggi è perché Prodi e D'Alema abbiano accettato di avallare la propaganda americana sulle "libere elezioni" in Iraq. Ci si chiede cosa gliene venga a dichiararsi soddisfatti e speranzosi a riguardo, quando risulta evidente ad ognuno che queste elezioni irachene non sono altro che la celebrazione del momentaneo accordo tra una potenza occupante (gli USA) ed uno dei gruppi etnico-religiosi locali (sciiti) contro l'altro gruppo etnico-religioso (i sunniti, che infatti hanno disertato il voto). È un accordo tra nemici, ma non è certo la prima volta nella Storia. Nel 1939 Hitler occupò la Polonia previo un patto di spartizione con Stalin, allo stesso modo in cui l'occupazione americana dell'Iraq sottintendeva un accordo con l'Iran, lo Stato tutore degli sciiti iracheni.
La strategia storica del colonialismo è stata sempre quella
di fomentare odi e conflitti etnici per utilizzarli a fini di dominio.
Altrimenti non si spiegherebbe come mai poco più di duecentomila
inglesi abbiano potuto dominare per più di un secolo su oltre
cento milioni di indiani: ciò è stato possibile
sfruttando i conflitti fra indù, mussulmani e sikh, utilizzando
alcuni come mercenari contro gli altri.
Ma il punto è proprio qui: riconoscere il carattere
colonialistico della politica americana significherebbe demistificare
non solo la propaganda americana, ma anche l'intera immagine che
l'Occidente (Europa compresa) vorrebbe dare di sé. In altri
termini: smascherare il colonialismo americano comporterebbe
l'ammettere l'esistenza anche di un colonialismo europeo.
Il contagio della malafede serve quindi a prevenire un possibile contagio della verità, da cui troppi hanno da temere. Per lo stesso motivo nessuno ha messo in evidenza l'assurdità delle dichiarazioni ammazzasettistiche del primo ministro israeliano Sharon in occasione della giornata della memoria del genocidio ebraico. Quando Sharon identifica l'antisionismo con l'antisemitismo, e proclama inoltre che alla propria sicurezza gli ebrei d'ora in poi provvederanno da soli, non sta neppure bluffando, poiché nessuno può davvero prenderlo sul serio. Sono noti i dati dell'assoluta dipendenza finanziaria e militare di Israele dagli USA, per cui il sionismo ha fallito proprio nel suo obiettivo essenziale, cioè creare uno stato ebraico indipendente, che oggi infatti non esiste.
D'altra parte è tipico delle potenze coloniali presentarsi come pacificatrici e mediatrici tra etnie locali in conflitto, perciò bisogna continuare a fingere che Israele costituisca un soggetto autonomo, invece che un semplice fantoccio degli Stati Uniti.
Come i ministri degli esteri di Stalin e Hitler, Molotov e Von Ribbentrop, si accordarono per spartirsi la Polonia, così anche dei nemici o degli avversari possono convenire di occultare una verità evidente ma scomoda per troppi.
La mistificazione propagandistica si fonda su delle costanti, su dei
temi sempre ricorrenti, perciò non deve sorprendere che la
disinformazione sull'Iraq abbia delle analogie con quella su Scampia.
I mass media ritraggono infatti Scampia come una sorta di terra
straniera in preda a guerre tribali, nella quale una pattuglia di
soldati bianchi in missione di pace cerca di riportare l'ordine.
Insomma: Scampia come l'Iraq o come il Kossovo o come l'Afganistan.
Il problema è che i soldati saranno anche bianchi, ma non sono poi così puliti. Infatti non è serio sostenere che delle bande criminali possano tenere il territorio in quel modo, senza avere i loro solidi agganci con i corpi di polizia e con gli altri apparati dello Stato. Insomma, dei bravi soldati bianchi oggi promuovono la coltivazione del papavero da oppio in Afganistan, mentre dei bravi poliziotti bianchi, nello stesso tempo, aiutano a smerciare a Scampia l'eroina derivata da quei papaveri.
Comidad