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Umanità Nova, numero 6 del 20 febbraio 2005, Anno 85

Carceri. Un aspirapolvere sociale



Le prigioni trovano sempre dei guardiani (Jaques Prevert)

In questi giorni i quotidiani e le trasmissioni televisive sono piene delle grida scandalizzate di fascisti e leghisti contro il garantismo dei giudici di Lecco che avrebbero rilasciato a piede libero due malvagissime zingare rapitrici di bambini. Senza entrare nel merito del caso ed al di là di ogni considerazione sulla persistenza delle leggende urbane sui sequestri d'infanti ad opera di Rom e Sinti (è stato tra l'altro il principale capo d'accusa che ha giustificato lo sterminio di oltre un milione di nomadi nei lager nazisti e di altri 600mila nei gulag marxisti), colpisce il fatto che venga rimproverato alla magistratura di Lecco semplicemente di aver applicato il codice penale e quindi di aver concesso alle due supposte sequestratrici i benefici e le riduzioni di pena previste dalla legge. La sentenza di Lecco è stata dunque l'ennesima occasione per riempire i media di regime delle fantasticherie paranoiche di chi è certo di vivere in un mondo in cui i giudici passano il tempo a rilasciare in libertà pericolosissimi criminali assetati di sangue, come d'altra parte assicurano anche migliaia e migliaia di telefilm e film polizieschi in cui i poveri sbirri non fanno altro che dare la caccia a supercattivi in libertà grazie a qualche cavillo legale. Fascisti e leghisti della Casa dei Nemici della Libertà fanno il loro mestiere, diffondere odio, rancore e paura: come hanno rilevato tra gli altri Erich Fromm e Hannah Arendt nei loro studi sul Terzo Reich, il successo dei nazisti dipese direttamente dal loro riuscire ad assecondare le ossessioni patologiche dei propri sostenitori.

Il Club degli Amanti delle Galere non smette di fare nuovi iscritti, ma la realtà è ben diversa da quella descritta dai media. Mentre la criminalità a partire dalla fine degli anni '80 non ha fatto che diminuire, nel frattempo la popolazione carceraria non ha fatto che aumentare. Questa tendenza, che in Italia ha portato allo straripamento delle carceri, è comune un po' a tutte le cosiddette democrazie occidentali. Abbiamo già parlato più volte su queste pagine del caso degli Stati Uniti. In quella che un tempo era The Land Of Freedom, il numero di detenuti tra il 1982 e il 2001 è più che quintuplicato (passando da meno di 400mila reclusi ad oltre due milioni), ma gli arresti sono cresciuti solo dell'11,4% e il numero dei casi discussi in tribunale ha avuto una crescita solo del 7%. Nel giugno 2003, ha fatto scalpore in Francia il fatto che la popolazione carceraria avesse superato la soglia di 60.000 detenuti per 48.000 posti, un record assoluto, mai raggiunto nel dopoguerra. A questo straordinario sviluppo della popolazione carceraria non corrispondeva, però, un aumento della criminalità. Come scriveva Le Monde Diplomatique, "i furti con scasso, i furti di automobili e quelli compiuti sulle automobili in sosta (che rappresentano i tre quarti dei crimini e delitti registrati dalle autorità) regrediscono regolarmente almeno a partire dal 1993; omicidi e aggressioni mortali sono diminuiti dopo il 1995, secondo i dati forniti dalla polizia e dopo il 1984 secondo quelli dell'Institut national de la santé et de la recherche médicale (Inserm); i furti con violenza, che focalizzano l'attenzione dei media, a prescindere dal fatto che si tratta generalmente di "violenze" verbali (insulti, minacce), regrediscono da vent'anni".

In effetti, l'aumento della popolazione carceraria è piuttosto un effetto delle politiche di Tolleranza Zero alimentate a loro volta da un clima di paura e di insicurezza collettiva che la propaganda mediatica indirizza abilmente verso la microcriminalità, l'emigrazione clandestina e la devianza sociale additate al pubblico ludibrio come il Nuovo Nemico, in quella logica della guerra civile permanente che segna tragicamente la nostra epoca. Secondo il sociologo francese Loïc Wacquant "fare della repressione della delinquenza di strada uno spettacolo morale permanente consente di riaffermare simbolicamente l'autorità dello stato nel momento stesso in cui si dimostra impotente sul piano economico e sociale". Il carcere, "come un aspirapolvere sociale per eliminare le scorie delle trasformazioni economiche in atto e cancellare dallo spazio pubblico i rifiuti della società di mercato - piccoli delinquenti occasionali, disoccupati e indigenti, gente senza casa e senza lavoro, tossicodipendenti, handicappati e malati mentali abbandonati per l'allentamento della rete di protezione sanitaria e sociale, giovani di origine popolare che la normalizzazione del lavoro precario condanna a (soprav)vivere arrangiandosi e rubacchiando - è una vera e propria aberrazione".

robertino





































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