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Umanità Nova, numero 7 del 27 febbraio 2005, Anno 85

Le elezioni irachene
L'urna nel ranch di Bush, tra affari e polvere da sparo



Gli anarchici, è noto ormai anche ai sassi, sono generalmente convinti astensionisti in ogni elezione politica (centrale o periferica) in quanto credono fermamente nell'autogoverno della società la quale, pertanto, non ha alcuna necessità di delegare ad una sua sfera scissa e rappresentativa - la politica e la sua élite - il timone dei destini delle popolazioni. Tuttavia, a fini meramente indicativi, anche gli anarchici votano mozioni congressuali, esprimono adesioni a questa piuttosto che a quella visione politica, si schierano con una piuttosto che un'altra posizione. Generalmente, il voto viene alla fine di una riflessione pubblica, in cui ciascuno può esprimere le proprie idee, raccogliendo consensi e dissensi in uno spazio pubblico e aperto alla partecipazione di ognuno che lo desideri, dove attenzione e ascolto si pongono al medesimo rilievo della libertà di espressione e di coagulazione di posizioni, da sottoporre infine, ed eventualmente, ad una votazione indicativa del gradimento.

Una legge elettorale scritta dagli occupanti statunitensi

Il pensiero liberale adotta alcuni capisaldi, tanto in dottrina, quanto in pratica, attraverso cui ritenere idonee le condizioni per tenere una elezione che sia segno di libero consenso, di efficacia rappresentativa, insomma di democrazia in cammino. I media dappertutto hanno osannato le recenti elezioni irachene, sottacendo alcuni aspetti non di dettaglio che minano i capisaldi liberali, e che sicuramente verrebbero invocati se tempi e modalità elettorali del tipo di quelli iracheni fossero stati effettuati, tanto per fare un esempio, nel Regno Unito, patria del liberalismo.

Infatti, la legge elettorale grazie alla quale hanno votato il 60% degli oltre 14 milioni di iracheni (inclusi i 280mila iracheni esuli all'estero, su un totale di circa 1 milione e 200mila) iscritti alle liste elettorali (ma potenzialmente si poteva arrivare a 18 milioni) è una legge dettata dall'Autorità provvisoria statunitense, e implementata da una Commissione elettorale ugualmente nominata dall'occupante e i cui componenti sono rimasti ignoti ai più, sempre ai sensi della Transitional Administrative Law n. 92 del 31 maggio 2004 che scandisce inoltre funzioni e tempi del Parlamento appena eletto, che dovrà eleggere con una maggioranza dei due-terzi un Consiglio di Presidenza composto da un capo di stato e due vice capi di stato, i quali nomineranno all'unanimità un primo ministro e un governo, fiduciato dalla maggioranza semplice del Parlamento, che nel frattempo dovrà preparare una Costituzione, entro il 15 agosto 2005, da sottoporre a referendum nazionale entro il 15 ottobre 2005.

Il potere, di fatto, resterà saldamente nelle mani USA

Nelle more, le norme transitorie volute dalla CPA di Bremer e perseguite dall'ambasciatore Negroponte, ora inquietante zar di tutte le spie a stelle e strisce, continuano a rimanere in vigore, sovrastando ogni legge voluta dal parlamento appena eletto: infatti, per i prossimi cinque anni, nella nomenklatura attuale del regime iracheno, al di là degli indigeni, continuano a comandare i 40mila "consigliori" civili e militari di stanza nei gabinetti governativi e ministeriali, a suggerire, istigare, dettare legge, occupare posizioni chiave per i processi di democratizzazione politica del futuro Iraq libero e liberale, tra cui i presidenti di commissioni cruciali quali l'Ispettorato generale, la Commissione di Pubblica Integrità, la Commissione Comunicazioni e Media, ed altre importanti in vista dei processi di ulteriore privatizzazione, annunciati in tema di risorse petrolifere, ad esempio dal Ministro delle finanze, Abdel Mahdi, candidato papabile alla funzione di premier, alla vigilia dello scorso Natale, a New York, annunciando uno scambio politico implicito tra la prevista vittoria della componente sciita, favorevole all'introduzione della sharia quale legge di stato vincolante per tutti - cosa ne penseranno le 83 donne elette al Parlamento? e che ne penseranno i neocons vicini a Bush che vedono erroneamente gli sciiti iracheni come emanazione di Teheran? - e il loro sostegno all'ingresso delle imprese petrolifere alleate nei boards iracheni come investitori di maggioranza, e quindi percettori di profitti in maggioranza.

Un voto al buio tra il fuoco della guerra e il tallone USA

Anche senza ricorrere alla Convenzione dell'Aja del 1907, pure sottoscritta dagli Usa, che espressamente vieta a potenze occupanti militarmente un territorio di alterare o stravolgere in modo permanente gli assetti politici della nazione occupata - per intenderci, ciò che rendeva illegale il governo Quisling filo-nazista in Norvegia ai tempi della II guerra mondiale - secondo la quale pertanto le elezioni patrocinate da una potenza ostile sarebbero illegali nei termini del diritto internazionale, esattamente come una guerra di aggressione ad uno stato componente le Nazioni Unite quale era l'Iraq sotto il dittatore Saddam Hussein, le condizioni reali sotto cui si è proceduto alle elezioni verrebbero indicate come anomale se adottate a casa nostra. Secondo la Fondazione Carter, non passibile di antiamericanismo, i criteri sono: possibilità di voto in ambiente libero e sicuro; una commissione elettorale indipendente e liberamente scelta; libertà di movimento e di espressione per i candidati; esercizio del voto libero e segreto senza paura e intimidazione.

Invece, la campagna elettorale non si è potuta svolgere liberamente, sia da parte dei candidati che da parte degli elettori, in quanto l'occupazione militare, la resistenza, la chiusura delle frontiere e di alcune aree urbane, addirittura il coprifuoco nei tre giorni precedenti il voto nonché gli immancabili quotidiani attentati della guerriglia non hanno facilitato la conoscenza di persone e programmi in quelle tipiche assisi pubbliche che sono i raduni di massa, i comizi, le assemblee, gli incontri, facili bersagli di intimidazione collettiva; addirittura molti nominativi di candidati non sono stati inseriti nelle liste per timore di rappresaglie, e quindi sono stati eletti al di là delle preferenze ricevute; a differenza che in Palestina o in Afganistan, la situazione bollente ha sconsigliato l'invio di osservatori elettorali a garanzia di una corretta procedura di voto e di conteggio (alcuni hanno monitorato standosene ad Amman…); pur essendosi presentati 111 liste per un totale di 15.820 candidati per 1.134 posti parlamentari (nazionali, provinciali e per il parlamento del Kurdistan), i mezzi della campagna elettorale hanno risentito di una strozzatura informativa in fatto di giornali e televisioni presenti, poiché è difficile improvvisare nei ferrei tempi dettati dagli occupanti la formazione di quei corpi intermedi tra società e potere, ossia partiti, sindacati, associazioni e media in senso lato, che fungono da cuscinetto di elaborazione di una opinione pubblica informata e avvertita con coscienza tale da poter poi votare liberamente con cognizione di causa.
Per non parlare poi del boicottaggio propugnato dai chierici sunniti (la componente sunnita, non tutta religiosa e comunque non una totalità monolitica, ammonta tra il 15 e il 20% della popolazione irachena, minoranza favorita ai tempi di Saddam che teme di perdere i privilegi dell'epoca, ma che non si fida della maggioranza sciita della popolazione per rivalità di clan familistici nonché di fede religiosa astiosa e annosa); per non parlare del terrore propagandistico dei fondamentalisti; per non parlare dell'iscrizione nelle liste dell'elettorato attivo formate sulla base delle tessere alimentari distribuite nei vari distretti dal governo ad interim, che penalizzava dissidenti noti e ignoti, nonché i profughi interni dalle zone ad alta intensità di guerra, come ad esempio i 300mila abitanti scappati da Falluja.

Le elezioni, per gli USA, sono legittime o illegittime a seconda della convenienza

Pur tuttavia, i media hanno parlato di fatto trionfale per la vita irachena e per l'esemplarità verso il mondo arabo e musulmano, poco abituato ai riti elettorali. Se i religiosi sunniti hanno invocato il Corano per bandire le elezioni e addirittura il comportamento elettorale in sé, ossia andare a votare, di contro la seconda massima carica religiosa sciita, il grande Ayatollah Muhammad al-Ya'qoubi, ha emanato una fatwa che equipara il voto ai due più significativi precetti islamici, ossia la preghiera e il digiuno. Al-Sistani ha poi aggiunto che l'astensione "è un tradimento della nazione".

Indubbiamente gli iracheni sono andati a votare, non tutti, chi ha potuto farlo senza rischi, chi intimidito dalla forza persuasiva della religione, chi incuriosito, chi speranzoso, chi fiducioso che così si accorci il tempo dell'occupazione, chi perché così riceveva una tessera annonaria alimentare, chi convinto dalle promesse elettorali del partito vincente, nel cui programma la fine dell'occupazione occupava un posto preminente. I media però hanno interpretato originalmente il dato della percentuale dei votanti come un segno di accettazione e di legittimazione dal basso di quanto fatto sino ad ora dall'occupante-liberatore. Come dire che le elezioni farsa organizzate all'indomani del secondo conflitto mondiale in Polonia dalle truppe occupanti dell'Unione sovietica (1947) che hanno registrato un'adesione di massa e la vittoria schiacciante dei comunisti, laddove la Polonia aveva una forte e radicata tradizione cattolica e liberale, erano invece giuste e corrette. Ovviamente allora nessuno credette alla propaganda stalinista, però non si capisce perché bisogna credere a quella liberale occidentale oggi. Anche nel 1967, in piena guerra, gli Usa organizzarono elezioni in Vietnam del sud, con grandi titoloni dei quotidiani americani, elogiativi della svolta, a cui la stampa liberale europea non diede affatto credito, e doppiamente giustamente diremmo col senno di poi (ma anche col senno di ieri, per noi anarchici). Gli Usa condannarono le libere elezioni nicaraguensi del 1984 in cui i sandinisti recenti vittoriosi dell'insurrezione antisomozista risultarono primi eletti, perché asserivano che le condizioni pratiche del rito elettorale non erano idonee secondo i canoni liberali, mentre lo furono due anni prima e due anni dopo, quando si votò in Salvador che pure era sconvolto da una micidiale attività controinsurrezionale - guidata dall'allora plenipotenziario Usa Negroponte… - che fece 800 vittime civili in quel 1982 elettorale tra contadini, religiosi, sindacalisti, dissidenti, politici di sinistra, guerriglieri resistenti al regime filoamericano.

Come sempre, due pesi e due misure, secondo la logica bipartisan del governo statunitense per cui quello che ci conviene è giusto e quello che non ci piace va condannato, arbitrariamente. Sottovalutare ciò che significa adottare una pratica elettorale in un paese militarmente occupato significa chiudersi gli occhi in mala fede sia sulle idee che possono formarsi liberamente in quel tipo di contesto, sia le risorse finanziarie incanalate a senso unico dalla potenza occupante, calcolate nella fattispecie in oltre 16 mld di dollari, risparmiati dalle imprese incaricate della ricostruzione (Bechtel, Halliburton, tanto per capirci), per non aggiungerci i 50 mld di dollari l'anno previsti per i costi dell'occupazione vera e propria, inclusi i "consigliori" nelle stanze dei bottoni.

Gli equilibri del nuovo parlamento a maggioranza sciita

Adesso l'esito registra un equilibrio demografico trasposto sul piano politico-parlamentare. Gli sciiti hanno raggiunto la maggioranza semplice, restando così obbligati non solo a perpetuare l'equilibrio al loro interno tra le varie fazioni - l'Alleanza per un Iraq Unito dell'ayatollah Al Sistani era una lista nazionale di 228 candidati provenienti sia dai principali partiti politici sciiti quali lo Sciri dell'ayatollah Al Hakim, il partito Da'wa del vice presidente ad interim nonché candidato premier Jaafari, formazioni minori di gruppi turcmeni, curdi, cristiani e persino sunniti, nonché una coalizione di ben 38 formazioni, guidata dal noto Ahmad Chalabi, leader controverso del Congresso Nazionale Iracheno, al cui interno figurano elementi della tribù Shammar del presidente ad interim Al Yawar che è il vero sconfitto delle elezioni, caso unico e raro che un leader arabo in carica perda la competizione pur movendo pedine importanti, il che dimostra comunque che non sono contate solo le tradizionali fratture claniche a motivare gli schieramenti e i flussi elettorali.

Per conseguire i due terzi della maggioranza in parlamento, gli sciiti si alleeranno probabilmente con i curdi, che pur essendo il 20% della popolazione hanno ottenuto quasi un quarto dei voti, strappandoli verosimilmente ai sunnisti assenti; l'accordo tra i due leader storici - Barzani del Pdk che reggerà il governo semi-autonomo in Kurdistan e Jalabani dell'Upk che dovrebbe puntare alla presidenza dell'Iraq - dovrebbe facilitare una intesa iniziale, tesa però per i curdi ad ottenere precise e difficili garanzie sul carattere laico della costituzione irachena, specie per la separazione tra politica e religione, scambiabili non si sa fino a che punto con le concessioni costituzionali per l'autonomia del Kurdistan (i tre governatorati di Dahouk, Erbil e Sulaymania), con importanti riflessi geopolitici nell'area turca, ma anche con il controllo di fatto di Kirkuk, enclave arabo-curda, sede di importanti raffinerie e oleodotti, dove serpeggia una sorta di pulizia etnica a favore dei curdi, contrastata per adesso politicamente dagli arabi e dai turcmeni ivi residenti, ma militarmente dai sunniti spodestati dal controllo dell'area. Altri alleati degli sciiti dovrebbero essere i sunniti laici guidati dal presidente ad interim Al Yawar e l'Unione Popolare dei comunisti.

Ma di tali giochi sappiamo ancora troppo poco per poter azzardare, dalle personalità che guideranno il governo fantoccio al posto del premier in carica Allawi (forte di solo 40 parlamentari), come si muoverà l'elite irachena uscita vittoriosa dalle elezioni. L'incognita dell'occupazione e della guerra guerreggiata, con lo strisciante spettro di una estensione civile inter-religiosa (che non riuscì nemmeno ai tempi del conflitto con l'Iran, quando gli sciiti si schierarono con i sunniti di Saddam contro i correligiosi guidati da Khomeyni), mischierà le carte tante volte che non mancherà occasione di ritornarci sopra con qualche ulteriore cognizione di merito. 

Salvo Vaccaro






































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