Umanità Nova, numero 8 del 6 marzo 2005, Anno 85
L'assassinio dell'ex Primo Ministro libanese Rafiq Hariri, ucciso da una spettacolare autobomba davanti all'hotel St. Gorge di Beirut, un tempo simbolo della dolce vita mediorientale e oggi in via di ricostruzione dopo essere stato a lungo bersaglio delle varie milizie che si sono combattute per il controllo della capitale durante la lunga guerra civile, ha accelerato la ripresa dell'intervento occidentale nel paese dei cedri e la messa fuori gioco della Siria, paese che si ritiene protettore e padrone del Libano e che dal 1990 lo controlla con il beneplacito di USA e Francia. Oggi il governo libanese è controllato da Damasco e dipende dai siriani per la propria sicurezza e stabilità tanto che il Presidente maronita Emile Lahoud ha potuto ottenere il rinnovo del proprio mandato triennale contro il dettato costituzionale solo grazie al pesante intervento della Siria a suo favore. Questo ultimo intervento ha avuto finora l'effetto di un boomerang per le fortune di Damasco in Libano: l'opposizione anti siriana finora frantumata in mille rivoli si è unita mettendo insieme i drusi socialisti di Jumblatt, i sunniti conservatori dello stesso Hariri e i falangisti maroniti (cristiani e di destra) guidati dal patriarca della Chiesa locale e americani e francesi hanno avuto il destro per far approvare all'ONU la risoluzione 1559 che intima ai siriani di abbandonare il paese con i propri 15.00 uomini.
Da allora è iniziato un braccio di ferro che vede all'interno del paese una precisa contrapposizione tra le fazioni anti siriane e il governo protetto dai siriani, mentre all'esterno si rafforzano le pressioni euroamericane contro Damasco finalizzate alla capitolazione della Siria. Quest'ultima è tuttora dominata dal clan degli Assad, veri e propri padroni della sezione siriana del partito Baath (la cui sezione irachena era caduta in mano a Saddam Hussein, per intenderci), laici e nemici del fondamentalismo islamico ma amici di Hamas e Jihad islamica palestinese in odio alla leadership nazionalista dell'OLP il cui difetto era l'indipendenza da Damasco; in Libano iniziarono ad interferire fin dallo scoppio della guerra civile nel 1975 favorendo le milizie cristiano maronite nel loro scontro contro i profughi palestinesi e l'OLP durante il quale la locale sinistra islamica si era schierata a favore di questi ultimi rompendo il patto tra cristiani e sunniti imposto da i francesi nel 1945 e che aveva dominato il paese per trent'anni. A seguito dell'invasione israeliana del Libano nel 1982 che aveva visto gli ex protetti di Damasco schierati a favore di Tel Aviv i siriani iniziarono a finanziare gli sciiti di Hizbollah in condominio con la repubblica islamica iraniana, permettendo a questi di condurre in porto vittoriosamente la guerra di logoramento contro l'occupazione israeliana del sud del paese. Questo avveniva nel corso degli anni Ottanta quando Damasco si era schierata con Mosca nel gioco delle alleanze della guerra fredda. Non erano certo affinità ideologiche a portare la Siria a gravitare nell'orbita dell'URSS quanto l'interventismo USA in Medio Oriente in funzione di appoggio alla politica espansionista di Israele. All'inizio degli anni Novanta il salto della quaglia di Damasco fu quanto mai agile quando il vecchio leone (soprannome di Assad padre) di Damasco sposò la crociata americana contro Saddam Hussein contribuendo con due divisioni all'invasione del paese vicino, ideologicamente affine ma geopoliticamente rivale, e alla restaurazione degli al-Sabah sul trono di Kuwait City. In cambio di questo appoggio Assad ottenne il beneplacito di Washington alla trasformazione del Libano in un protettorato siriano con 15.000 uomini stanziati all'interno dei confini del paese e il governo in mano ad uomini di Damasco o comunque convinti della necessità di una politica di accordo con la Siria per permettere la rinascita di Beirut.
Rafiq Hariri è stato il principale esponente di questa corrente. Miliardario, legato all'Arabia Saudita e alla Francia (del cui presidente Chirac era intimo amico), aveva assunto il ruolo di capo del governo nel periodo della ricostruzione tra il 1990 e il 1998 per riprendere tale carica dopo un biennio e abbandonarla di nuovo nel 2002. In entrambi i casi il motivo dell'abbandono della carica era stato la condizione di servaggio alla quale il governo di Beirut doveva sottostare rispetto a Damasco. In entrambi i casi, però, l'opposizione mostrata da Hariri nei confronti dei siriani si era rivelata ben più moderata di quella mossa dai drusi di Jumblatt o dai maroniti antisiriani guidati dal Patriarca di Beirut. Hariri è stato sempre l'uomo del dialogo tra le fazioni filoccidentali e la Siria, temuto e rispettato nel suo campo al punto da potersi permettere comportamenti moderati nei confronti dei siriani, e abbastanza stimato da parte di questi ultimi al punto da essere chiamato per due volte da loro a gestire il governo di Beirut.
Negli ultimi anni era riuscito a costruirsi un seguito politico di massa soprattutto tra i giovani del ceto medio sunnita, esclusi dal potere e umiliati dalla presenza siriana. Il giorno del suo funerale almeno 30000 giovani sono sfilati dietro la sua bara inquadrati in modo militare scandendo slogan contro la Siria e in sua memoria.
Questo nonostante l'ultima fatica politica del vecchio e navigato uomo di stato fosse quella di evitare lo scontro diretto con la Siria e il pericolo di una nuova guerra civile sulla quale USA, Francia ed Israele stanno pesantemente scommettendo fin dalla presa di Baghdad. Segnali di riavvicinamento erano recentemente arrivati anche da Damasco che aveva accettato di riprendere la discussione con l'opposizione libanese riguardo alla presidenza Lahoud e aveva addirittura accettato di acquistare da Israele alcune tonnellate di frutta prodotta sulle alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele fin dal 1967.
In questo quadro attribuire con sicurezza l'omicidio Hariri alla
Siria come hanno subito fatto l'opposizione libanese, Israele, la
Francia e gli USA suona pericolosamente sospetto, anche perché
Damasco sembra essere il giocatore che ha più da perdere dalla
scomparsa dell'unico mediatore possibile tra essa e l'occidente. Dietro
a questo omicidio si possono intravedere molte altre forze interessate
alla morte del principale punto di equilibrio nella vita politica
libanese: Israele interessata a non riaprire i contatti con la Siria
allo scopo di non perdere il Golan, Francia ed USA interessati a
distruggere il regime degli Assad a Damasco per sostituirlo con un
altro costituito da dirigenti filoccidentali, l'opposizione libanese
interessata ad ottenere l'appoggio franco-americano per cacciare i
siriani dal paese, i gruppi islamici fondamentalisti che cercano il
pretesto per aprire un nuovo fronte nello scontro contro gli USA e in
senso lato contro l'occidente.
In questo quadro la Siria il cui gruppo dirigente sta correndo su di un
filo di lana dalla presa di Baghdad in poi era l'ultimo paese ad avere
interesse alla morte dell'unico nemico interno al paese occupato con i
quale rimanessero in piedi canali di comunicazione che, per
proprietà transitiva, riuscivano a mantenere rapporti tra
Damasco, l'Arabia Saudita e l'Occidente.
La situazione che si è venuta a creare vede oggi un'opposizione interna ringalluzzita guidata dai drusi di Jumblatt e dai maroniti del patriarca locale e forte dell'organizzazione paramilitare creata dallo stesso Hariri, Francia ed USA decisi a giocare fino in fondo il ruolo di pressione sul regime siriano con l'obiettivo finale di destabilizzarlo e sostituirlo con un altro di tipo filoccidentale così come fatto in Iraq. Allo stesso tempo Parigi e Washington hanno avviato un'operazione di appoggio alla mobilitazione della popolazione curda del nord est della Siria per prendere Damasco tra due fuochi.
La Siria come l'Iran è nel mirino di Washington e dell'alleato ritrovato Parigi; l'abbattimento degli ultimi due regimi nazionalisti dell'area permetterebbe agli USA e più in generale all'occidente di controllare completamente l'area e l'offerta energetica complessiva dalla quale dipendono europei ed asiatici. In questo quadro deve anche essere letto il ritorno di fiamma tra Parigi e gli USA. La Francia, infatti, è uscita sconfitta dallo scontro sulla guerra in Iraq e ha trovato con il Libano il grimaldello che può permetterle di ritornare a essere presente all'interno di un Medio Oriente controllato dagli americani con il beneplacito di questi ultimi.
Così come gli attuali colloqui tra europei ed americani sulla sorte dell'Iran decideranno molto da cosa accadrà nel grande paese asiatico nei prossimi mesi, i caminetti di Bruxelles che martedì 22 febbraio hanno visto l'incontro tra Chirac e Bush hanno anche probabilmente assistito all'inizio della fine per il regime degli Assad e per l'indipendenza della Siria.
Giacomo Catrame