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Umanità Nova, numero 8 del 6 marzo 2005, Anno 85

Un'energia da morire
Protocollo di Kyoto e business ambientale



Il 16 febbraio 2005 è entrato ufficialmente in vigore il protocollo di Kyoto, città giapponese dove il trattato è stato proposto nell'ormai lontano11 dicembre 1997, l'hanno sottoscritto 141 Paesi, di cui 39 industrializzati. Questi ultimi dovranno abbassare le emissioni dei gas serra entro il 2012, sotto i livelli del 1990, di quote percentuali variabili, in media del 5,2%.

I Paesi non industrializzati sono esentati, per questa prima fase, da obblighi di riduzione, pur potendo partecipare agli altri meccanismi del protocollo.

L'Italia si era impegnata a ridurre il rilascio dei gas serra del 6,5%, oggi, avendo aumentato di altrettanto le sue emissioni, si ritrova a dover tagliare di circa il 13% o, secondo altri calcoli, addirittura del 18%. 

Al di là delle percentuali, siamo di fronte al classico passo in avanti seguito da due all'indietro, cui si aggiunge la recente "tegola piovuta" con la bocciatura del piano nazionale che avrebbe dovuto assegnare un tetto di emissioni a ciascuno dei 1.300 impianti italiani soggetti alla normativa.

I commissari europei hanno ritenuto il piano presentato dal governo del tutto insufficiente e lo hanno rispedito al mittente, uguale sorte è toccata a Grecia, Polonia e Repubblica Ceca.

Il direttore generale del ministero dell'Ambiente, Corrado Clini si è affannato, nel pieno dei festeggiamenti pro Kyoto, a precisare che entro il mese di febbraio: "Completeremo la revisione e, con un ritardo di qualche giorno, anche noi potremo entrare nei meccanismi del protocollo".

Il ministro dell'ambiente, Altero Matteoli, è ottimista e dichiara: "La sfida che si apre è molto impegnativa, ma è possibile vincerla perché sono state individuate le misure più efficaci nei diversi settori", ha poi spiegato: "Elimineremo entro il 2009 le auto immatricolate prima del 1996, promuoveremo l'uso dei biocarburanti, attueremo misure ulteriori per l'efficienza del traffico urbano". E ancora: "Espanderemo la produzione di energia da fonti rinnovabili, potenzieremo la produzione di energia dai rifiuti, e nell'industria chimica saranno completamente eliminate le emissioni di protossido di azoto. Cercheremo pure di migliorare la gestione delle aree forestali". 

Buoni propositi, anche se espressi dallo stesso ministro che, agli inizi di dicembre, appena arrivato a Buenos Aires, sede della decima conferenza sul clima (COP 10), aveva annunciato che alla fine della prima fase del protocollo, nel 2012, l'Italia non si aggancerà alla politica dell'Unione Europea ma seguirà piuttosto quella degli Stati Uniti procedendo cioè con accordi volontari e non vincolanti, della serie: "ci credo talmente che appena possibile mi defilo".

Per la verità bisogna riconoscere che tutti i rappresentanti degli stati aderenti al protocollo, in conclusione dei lavori della COP 10, si sono mostrati molto "freddi" nei confronti degli impegni da prendere dal 2012, ma bisogna capirli, prima di sbilanciarsi, dovranno valutare le rispettive convenienze economiche.

È certo che i governanti di turno sfruttano la situazione per sostenere le scelte di politica economica più affini alle lobby a loro vicine. Infatti, quando Matteoli cita la produzione di energia da rifiuti si riferisce all'attività degli inceneritori che appestano l'aria, quando auspica una maggior efficienza del traffico urbano pensa alla costruzione di nuove strade, tangenziali ed autostrade, progetto che ben si sposa con quello della sostituzione del parco macchine, tutte scelte che privilegiano ancora il trasporto su gomma.

Per quanto riguarda la miglior gestione delle aree forestali, il bel paese è ancora fermo alle pratiche clientelari che nei forestali individua più un bacino di voti che una risorsa in difesa dell'ambiente.
Temo che anche il cenno alle fonti di energia rinnovabile apra la prospettiva all'uso di CdR (combustibili da rifiuti) come quelli prodotti dagli impianti posti recentemente sotto sequestro in Campania, piuttosto che all'eolico o al solare. I CdR possono essere, infatti, bruciati tanto nelle centrali termoelettriche che nei cementifici in sostituzione o in associazione ai combustibili tradizionali.

D'altro canto, il cavalier "Burlasconi" non ha perso tempo per rimettere in pista l'ipotesi del nucleare e, se con l'aria che tira bisognerebbe organizzare almeno una decina di black out per convincere la popolazione ad accettare la riesumazione della mummia del nucleare nostrano, c'è chi si è portato avanti, ad esempio l'ENEL che, per 840 milioni di euro, ha acquisito la quota di maggioranza della Slovenske Elektrarne.

La società slovacca dispone di un parco impianti che comprende il termico, l'idraulico e, appunto, il nucleare. Si tratta in particolare di 6 reattori da 440 MW; l'ENEL assicura della buona qualità degli impianti in termini di sicurezza, operatività attuale e futura. Per capire dove si vuol andare a parare sono "illuminanti" le seguenti dichiarazioni del presidente ENEL, Scaroni che, oltre a premurarsi di sottolineare la totale diversità dei reattori in uso in Slovacchia rispetto a quelli di Chernobyl, aggiunge: "Siamo qui innanzitutto per servire il mercato slovacco ma anche per esportare energia, in futuro forse anche in Italia". L'idea di fondo è quella di far rientrare dalla finestra quello che è stato buttato dalla porta, quando ancora rimane irrisolto il problema casalingo delle scorie nucleari accumulate in passato, i boss dell'energia si lanciano nello sfruttamento delle opportunità che si presentano all'estero.

Gli accordi di Kyoto prevedono, oltre alla riduzione delle emissioni interne ai confini nazionali, anche l'utilizzo di altri meccanismi come: il Clean Development Mechanism, il Joint Implementation e l'Emission Trading (vedi Umanità Nova n.24 /2004), ma se non si otterranno le riduzioni programmate ci dovremo preparare a sborsare svariati milioni di euro in multe o riscatto di crediti. All'apertura della Borsa delle emissioni, una tonnellata di CO2 è quotata 10-12 euro, ma la previsione è che, nel giro di pochi anni, il valore triplicherà. Risanare il bilancio acquistando crediti costerà, in futuro, molto caro. Per ogni tonnellata di anidride carbonica in eccesso le imprese rischieranno, inoltre, una multa da parte dell'Ue di 40 euro che potrebbe salire a 100 nel 2008; costi che finirebbero per essere scaricati dalle aziende, come sempre avviene, sui consumatori. 

Se il dossier 2004 stilato dall'associazione ambientalista Wwf sulla "Politica ambientale del Governo Berlusconi" non lascia molte speranze, considerate le 28 procedure d'infrazione avviate dall'Unione europea contro l'amministrazione italiana per violazione delle direttive comunitarie, dobbiamo però ribadire che il nostro compito non è quello di chiedere maggior rigore nel rispetto delle leggi, multe più severe o tantomeno immaginare che la soluzione passi attraverso una tornata elettorale, è indispensabile, invece, non delegare ad alcuno la responsabilità delle scelte che riguardano la "nostra salute e quella del pianeta", è fondamentale smascherare gli imbrogli delle botteghe di potere, dei trafficanti di partito, diffondere le informazioni, organizzarsi in comitati territoriali autogestiti che siano strumento di consapevolezza, di mobilitazione, di crescita in difesa e a sostegno dei reali interessi della comunità. Una comunità in cui le scelte individuali possano superare la dimensione privata o campanilista per allargarsi in senso solidale e federalista. 

Poiché non è con i proclami che si cambia il mondo forse sarà utile sapere che non ci stiamo "lanciando contro i mulini a vento" anzi, nella città tedesca di Friburgo, dalla sostenibilità degli edifici sono passati a quella degli agglomerati urbani. Il quartiere di Vauban ha centrato tutti gli obiettivi di sostenibilità che si è dato. L'idea di base è stata quella di partire da un approccio cooperativo, utilizzando un forum di cittadini che ha lo status di ong, per ridurre i consumi e produrre energia da fonti alternative 

Oggi, a 2 anni dal completamento del progetto, i risultati si vedono. "Tutte le abitazioni sono al di sotto dei 65 kW/mq per anno, 42 hanno un consumo di 15 kW/mq per anno e 10 producono più energia di quanta ne consumino" (http://www.assa-cee.org/asVauban.htm)

Un altro esempio di scelte ambientali sostenibili più vicino a noi, almeno geograficamente, è quello del paese di Varese Ligure, dove un impianto eolico con due aerogeneratori produce 4 gigawattora l'anno; sono inoltre in funzione due impianti solari fotovoltaici sull'edificio del Comune per una potenza da 12 kWh e sulla scuola media da 4,68 kWh, capaci di produrre 23.000 kWh per anno. Questo ha già comportato una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 9.600 Kg/anno, che aumenterà ancora di altri 9.700 Kg/anno con le prossime installazioni. Grazie alle rinnovabili, l'energia pulita prodotta è pari a tre volte le necessità di questo comune che conta 2.400 abitanti.

Considerando che le famiglie italiane sono responsabili del 30% delle emissioni annuali può essere utile disporre di informazioni e suggerimenti concreti per determinare scelte energetiche individuali più consapevoli. (Ne riparleremo, per ora segnalo il sito www.bancadelclima.it) 

Compatibili con l'ambiente incompatibili con il sistema, perché un altro mondo è possibile.

MarTa







































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