Umanità Nova, numero 9 del 13 marzo 2005, Anno 85
Non abbiamo accesso ai verbali più o meno scritti relativi agli incontri del presidente Bush nel suo recente Grand Tour europeo, cosicché viene difficile valutare l'andamento e gli eventuali incassi della superpotenza americana nei confronti di una Unione Europea che, per la prima volta, sembra aver parlato con voce unica.
Infatti per la prima volta nella storia diplomatica, gli incontri
tra Bush e i suoi omologhi europei andavano ben al di là di
ricognizioni di uno status bilaterale di relazioni; l'intera agenda dei
problemi sul tappeto, da quelli in forte attrito a quelli in sintonia –
più i primi, meno i secondi, dal punto di vista numerico –
è stata redistribuita tra tutti i leader europei (ignoriamo con
quale criterio) in maniera tale che Bush affrontasse un tema alla volta
con un leader europeo alla volta, e non ciascun tema con tutti,
evitando così il rischio di misundestandings, di
fraintendimenti, di equivoci, di sfumature da interpretare alla maniera
oracolare, come avveniva ai tempi di Kissinger, il quale si
lamentò più volte di non aver un solo numero di telefono
quando voleva sondare l'Europa su un problema planetario.
Bush ha incassato poco dal suo giro europeo
A quanto sembra, la nostra condizione di giornalisti scalzi, ossia senza grandi supporti finanziari per seguire i vertici da vicino e senza agganci da cui ricevere battute e informazioni parziali da manipolatori dei media – in gergo "spinner", coloro che fanno girare la trottola del baraccone informativo – non è molto dissimile da quella della grande stampa europea, che nei suoi resoconti ha intonato il registro delle informazioni in base alle posizioni dei rispettivi governi. Se la posta in palio, almeno apparentemente, era quella di accreditare un riposizionamento dell'amministrazione Bush II in politica estera, venendo incontro allo stile multilaterale europeo, tipico di una potenza media che declina verso il basso quando a parlare sono le forze fisiche, mentre si esalta, si fa per dire, verso l'alto quando a parlare sembrano essere le ragioni persuasive della diplomazia, allora la stampa ha riflesso, credo consapevolmente, le aspettative dei rispettivi governi, registrandone gli umori. Così in Italia i vertici sono stati presentati, grosso modo, secondo l'ottica del governo Berlusconi, ossia ribadendo la giustezza e l'opportunità di una stretta vicinanza tra Europa e Usa, che a forza di dialogare senza strappi convergono verso obiettivi unitari ognuna cedendo un po' all'altra, in piena simmetria di reciprocità. Da qui a osannare l'oculatezza della scelta di Berlusconi di schierare l'Italia con Bush al costo di uno strappo infraueropeo il passo è stato breve.
D'altro canto, in Francia e in Germania, invece, il tono degli articoli è stato di sufficiente incoraggiamento a Bush, animato di buona volontà, ma ritornato a casa, così hanno sostenuto, senza ottenere un minima cessione europea sui propri principi di multilateralismo diplomatico, anzi sentendosi ripetere le buone ragioni di Chirac e di Schroeder contro la guerra, per il rafforzamento del ruolo Onu, per la ratifica del trattato di Kyoto, per una pressione esclusivamente diplomatica nei confronti dell'Iran e così via. Certo, un capo di stato della superpotenza non poteva essere umiliato a casa altrui, e quindi i leader europei hanno enunciato dichiarazioni altisonanti sulla democraticità degli Usa, sull'assenza di pregiudizi antiamericani, sul senso di gratitudine e riconoscimento verso la popolazione e i governi a stelle e strisce da sessanta anni in qua, e via dicendo con una enfasi sincera e benevola.
In effetti, non c'è contraddizione tra una posizione scettica in politica e entusiasta in ideologia (in senso lato), per questo le posizioni asimmetriche di Berlusconi e Prodi chez nous sono perfettamente compatibili e ricucibili in una visione d'insieme, che fra l'altro è sempre stata la politica dei fatti, e non delle parole, del Ministero degli esteri con qualunque color di governo.
Tuttavia, se forse siamo propensi a concordare più con la
registrazione della stampa estera, facendo beninteso la tara ai
pregiudizi filogovernativi, filonazionali, dei media ciascuno a casa
propria, perché non sembra che Bush abbia incassato una delega
in bianco, o un biglietto di congratulazioni per il suo stile
planetario post 11 settembre, occorre riflettere ad alta voce
sull'assenza totale di condizioni oggettive per far ritenere che il
Grand Tour europeo di Bush II potesse servire a presentare un volto
diverso e più vicino all'ipocrisia dell'Unione Europea nel
condominio preteso di cogestione dei destini del mondo.
USA/UE: una partita su più fronti
Lo spostamento elettorale a destra nelle recenti presidenziali americane ha consegnato una amministrazione ancor più decisamente orientata in senso fondamentalista (in religione), integralista (nella morale pubblica), liberista (in economia) e aggressivamente neocon (in politica) come si può ricavare dalle nomine presidenziali (Gonzalez alla Giustizia, Negroponte ai superservizi segreti, il tandem Rice-Zoellinek agli esteri, Rumsfeld confermato al Pentagono, Wolfovitz candidato alla presidenza della World Bank) e dai primi atti di apertura di un ennesimo fronte caldo in medioriente, Libano, Siria e Iran in sequenza non certo ravvicinata, ma altrettanto certamente non casuale.
Allora al di là dei toni e delle enunciazioni di principio sulla vicinanza strutturale e sulla distanza contingente e puntuale tra Usa e Ue in questa fase storica, il Grand Tour ha permesso a Bush di sondare la forza di una Unione europea, forse rivelando brutalmente la strategia americana per il prossimo lustro, forse giocando al gatto con il topo, giusto per capire sino a quando i leader europei sono pronti e disponibili a ingaggiare, e su quali fronti, un immenso braccio di ferro con la superpotenza mondiale, giocando di sponda con le nazioni emergenti (Brasile, India) e legandosi alla rivale potenziale della seconda metà del secolo appena avviato, ossia la Cina. L'invasione di mercato dei paesi industriali in Cina (Ciampi in sintonia con Montezemolo ma non Berlusconi: spie di due scommesse politiche diverse che distinguono centrosinistra e centrodestra in Italia) vela l'apertura di credito politica, che inizia con la fine dell'embargo delle armi che fa tanto innervosire gli yankee perché tale apertura sfugge al loro controllo tattico, rischiando che la potenza asiatica possa rivestire il ruolo dell'antagonista di peso a livello mondiale, riequilibrando lo sbilanciamento mondiale, per ritagliare all'UE il ruolo di arbitro che investe, di volta in volta, lo scettro reale ora all'una ora all'altra, come gli abili kingmaker che all'ombra contano più del sovrano esposto alla visibilità di tutti, e pertanto reso più debole dalla forte luce che lo abbaglia.
Salvo Vaccaro