Umanità Nova, numero 11 del 27 marzo 2005, Anno 85
Negli ultimi tempi, le varie e continue riforme del mondo della
scuola, dell'università e della ricerca hanno incarnato in
Italia le linee guida del modello neo(?)liberista. Da un lato, infatti,
esse hanno
- Gerarchizzato, "aziendalizzato" e burocratizzato ogni aspetto del contesto della produzione e distribuzione del sapere
- Precarizzato sempre di più i rapporti di lavoro
- Dequalificato in larga misura la qualità dell'insegnamento e
della ricerca, sottraendo agli alunni ed all'intera società,
oltre che il pane, anche il sapere.
Questo processo va collocato nel suo contesto storico. Il belpaese aveva conosciuto nel 1923 una riorganizzazione complessiva – la "Riforma Gentile" – con una scuola elementare sostanzialmente unitaria, uno sbarramento di classe nell'istruzione secondaria di primo livello (con i figli dei poveri relegati nell'avviamento professionale, che impediva l'accesso all'istruzione liceale/superiore e, di conseguenza, a quella universitaria), una scuola secondaria superiore che vedeva nel ginnasio/liceo classico e, parzialmente, in quello "moderno" (dal dopoguerra liceo scientifico) il modello generale di riferimento delle classi ricche e, infine, negli istituti tecnici e magistrali quello delle classi medie. I primi, infatti, permettevano l'accesso generalizzato all'istruzione universitaria, mentre i secondi solo a determinate facoltà, in linea con l'indirizzo di studi seguito nell'adolescenza (chi aveva seguito l'avviamento professionale poteva solo accedere agli istituti professionali, che impedivano qualunque proseguimento ulteriore degli studi). L'Università venne solo marginalmente coinvolta nel processo di riforma, ma, d'altronde, essa si innestava molto bene in essa.
La "Riforma Gentile" era marcata, da un lato, da un'ottima impostazione didattica generale – immediatamente evidenziatasi per il gran numero di eccellenze manifestatesi nel tempo in tutti i campi del sapere; d'altronde, essa era rivolta, soprattutto nel campo liceale, alla formazione dell'alta borghesia e questa, notoriamente, si tratta bene… Dall'altro lato, a questa buona impostazione didattica (poche materie fondamentali con un discreto numero di ore/lezione, poche ore settimanali complessive che lasciavano al discente la possibilità di un proficuo studio casalingo), si affiancarono tutta una serie di normative che creavano un pesante clima gerarchico/militaresco nel rapporto tra docenti e discenti, tra docenti e presidi, tra presidi e ispettori/provveditori, tra provveditori e ministro, tra questo e "lui".
La Repubblica non cambiò granché in questo schema, ma lo stato sociale, con l'innalzamento del reddito delle classi meno abbienti, permise ai figli di queste un sempre maggiore accesso all'istruzione superiore. Il primo segnale del recepimento di questo stato di cose fu l'unificazione della scuola media inferiore (unificata con l'abolizione del famigerato avviamento professionale), poi le lotte studentesche degli anni sessanta fecero il resto, prima con l'abolizione di tutta quella serie di normative interne repressive, poi con la liberalizzazione completa dell'accesso all'istruzione universitaria (permessa alla fine anche all'istruzione professionale). Il risultato fu l'offerta generalizzata alla gran massa della popolazione di un'istruzione di ottimo livello, cui il livello di coscienza concettuale elevato mostrato dai militanti delle lotte degli anni Sessanta/Settanta è forse il segno maggiore.
Con l'abbandono delle politiche keynesiane a favore di un modello neo(?)liberista, questo stato di cose non poteva più essere tollerato. Il sapere e l'esercizio della razionalità sono troppo pericolosi in genere per il potere, figuriamoci se diffuse a piene mani nella popolazione sfruttata! Non potendo disporre della forza repressiva messa in atto dal fascismo, lo Stato in questi ultimi quindici anni ha perciò gradatamente dequalificato sempre più il livello dell'istruzione, tramite una serie di approcci graduali e parziali, ma rispondenti ad un disegno complessivo che si è sempre più evidenziato, disegno comune alla destra come alla "sinistra" che lo hanno portato avanti senza apprezzabili segni di discontinuità, anzi.
L'ultimo livello d'attacco è stato portato al sistema
dell'istruzione secondaria ed all'università. Per ciò che
concerne la prima, il progetto di complessiva "licealizzazione" se, da
un lato, risponde ad un disegno "ragionieristico" di contenimento della
spesa pubblica (vengono abolite senza alcun criterio logico le materie
"costose", che implicano cioè attività ed il conseguente
mantenimento di laboratori), dall'altro dequalifica ancor più il
livello dell'insegnamento, spezzettandolo in materie d'indirizzo e
materie "opzionali" – le quali, maggiormente costose, potranno essere
supportate solo dalle scuole che hanno un bacino d'utenza facoltoso.
Per ciò che concerne l'Università, la riforma del "3+2",
la logica dei punti di credito, il maggior peso accademico che viene
attribuito a chi promuove di più, ecc. ha già prodotto i
suoi nefasti effetti: chi scrive si laureò diciotto anni fa in
Filosofia dando una ventina di esami, uno solo dei quali equivaleva
alla mole di lavoro di un'attuale laurea breve triennale… Il tutto
senza parlare dell'impegno all'esame, confrontato con l'attuale
istigazione a delinquere statale che porta i docenti a promuovere
chiunque respiri!
La situazione attuale vede perciò poche istituzioni
scolastiche/universitarie offrire a prezzi esorbitanti ai figli di
papà il livello d'istruzione che, un tempo, il pubblico offriva
a prezzi popolari… Oltre il pane, insomma, ci stanno togliendo anche il
sapere, per renderci sempre più servi. Si tratta di una
situazione di difficile gestione, perché è assai
complicato far comprendere alla massa studentesca il danno che gli
stanno procurando – sul momento lo studente medio vede solo la
facilità con cui viene promosso e raramente si rende conto che
lo stanno defraudando di un diritto e sta solo buttando tempo e soldi
dalla finestra, specie se il termine di questo processo sarà
l'abolizione del valore legale del titolo di studio, che renderà
di fatto validi solo i diplomi e le lauree conseguite "old style" ad
altissimo prezzo dai figli dell'alta borghesia.
I compagni di fine Ottocento ed inizio Novecento, a fronte di una situazione che vedeva l'accesso all'istruzione negato alla gran parte della popolazione, avevano messo in piedi il movimento delle biblioteche, delle scuole e delle università popolari, in base al principio enunciato da Emma Goldman "il pane, ma anche le rose". Oggi, di fronte ad una entrata nel mercato del lavoro sempre più ritardata, scuole e persino università stanno diventando luoghi di parcheggio senza significato in termini di istruzione reale. Il problema dell'istruzione popolare sta, in altri termini, ridiventando sempre più un nostro problema, rispetto al quale dobbiamo nuovamente porci il problema di dare una risposta nell'ottica di un mondo nuovo e possibile.
Shevek dell'O.AC.N./F.A.I.