Umanità Nova, numero 11 del 27 marzo 2005, Anno 85
Amputato un piede per ordine del giudice. Questa potrebbe essere la notizia, dato che nei giorni scorsi ad una donna non italiana che intendeva curarsi solo con metodi alternativi, sarebbe stata imposta l'amputazione del piede in cancrena, cancrena che ne avrebbe potuto determinare la morte. Anziché nominare un tutore a soggetto che si ritiene incapace di prestare il consenso informato, il giudice ha direttamente ordinato il trattamento sanitario obbligatorio. Come per i matti ricoverati di forza nei repartini psichiatrici.
La materia è delicata, ma vale la pena abbozzare qualche riflessione perché è all'ordine del giorno il rapporto tra etica, diritto, vita e morte.
Nel caso della donna di cui dicevamo, lo stato si è sostituito alla libertà individuale asserendo di voler tutelare la vita dell'individuo stesso. La maggior parte degli ordinamenti giuridici vieta l'ausilio al suicidio e l'eutanasia, così come l'omicidio del consenziente. La maggior parte degli ordinamenti prevede, a certe condizioni, l'obbligo di sottoporsi a terapie.
Ordinamenti che puniscono l'omicidio, comminano la pena di morte e praticano la guerra di aggressione ormai non solo a scopo umanitario ma anche preventivo. La guerra come igiene del mondo che purifica dal male, che estirpa il male ovunque si annidi.
La metafora sanitaria ha una sua ragione. Chi afferma il diritto sulla morte altrui, anche in modo indiscriminato come con la guerra, è, di solito, lo stesso che afferma il diritto sulla nascita e sulla procreazione altrui e vieta l'eutanasia. C'è una specularità in tutte le ideologie conservatrici tra l'essere pro ovulo fecondato e pro pena di morte e pro guerra.
Così l'interruzione della gravidanza ed oggi la stessa procreazione assistita entrano nel mirino. Certo l'aborto è fenomeno ben diverso dalla procreazione assistita che è frutto storico dei progressi scientifici. Ma ciò non toglie che in entrambi i casi il problema ruoti sull'individuazione di un principio etico che l'ordinamento trasformerà in principio giuridico.
In tutte le questioni di etica e diritto bisogna mettere da parte i casi in cui il soggetto sia incapace di intendere e volere (casi di coma o di malattia mentale ecc.), in cui le scelte sono totalmente sulle spalle di soggetti estranei.
Diverso il caso della persona capace di intendere e volere che decide di por termine alla propria vita: il soggetto che decide e il soggetto che è oggetto delle decisioni sarebbe lo stesso, ma lo stato entra con i suoi valori (tutela della vita…) e vieta l'eutanasia.
Anche in materia di procreazione lo stato vuol dire la sua. Nel nostro paese la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza è stata conquistata e difesa dalle donne e periodicamente torna nel mirino, ma nessuno si sogna di toccarla.
Diverso il caso della procreazione assistita, materia nuova, materia che fino a ieri non aveva una legge organica e che oggi ha la peggior legge possibile.
Di nuovo, il nocciolo è chi decide cosa, si crea un principio etico che diventi principio giuridico. Ma nel caso della procreazione assistita si discetta ormai di ovuli fecondati, di embrioni, di materiale biologico di tipo umano e di individuo umano… come se tutto questo non avesse nulla a che fare (o quasi) con la donna il cui assenso alla procreazione è (piaccia o meno ancora a qualcuno) l'unico criterio etico in cui biologia e biografia si incontrano.
La scelta nelle mani di una donna, la scelta nelle mani di un individuo: il rispetto della complessità del rapporto tra biologico e biografico nella vita di ciascuno; il rifiuto dell'individuo di farsi strumento di realizzazione di valori che negano la sua libertà e che lo vorrebbero assoggettare al volere di zelanti oppressivi custodi del dominio dell'uomo sull'uomo.
Lo scontro è quello di sempre.
Simone Bisacca