Umanità Nova, numero 11 del 27 marzo 2005, Anno 85
Memoria e identità è il titolo dell'ultimo libro uscito a firma di Karol Wojtyla. Fin dalle prime pagine l'autore ci proietta in una dimensione greve, in cui l'intera realtà è letta ed interpretata alla luce di categorie mistiche come quelle di peccato originale, redenzione, bene/male, conversione: il classico bagaglio dell'ideologia medioevale cristiana, nell'ultima versione papista.
La grande divisione tra bene e male, che viene affrontata sin dall'inizio del libro, serve all'autore per rappresentare una dinamica sociale manichea, in cui da una parte ci sarebbero i buoni, coloro che accettano e fanno proprio il vangelo di Gesù Cristo letto attraverso la dottrina del magistero cattolico, dall'altra tutti coloro che negano la "realtà" del messaggio cristiano.
In particolare il discorso del papa prende in considerazione il ruolo delle dittature nazista e comunista, alla cui base starebbe un atteggiamento ontologicamente incline al male, cioè il rifiuto della concezione cristiana della libertà.
Come già affermato da Wojtyla nell'enciclica "Veritatis splendor", infatti, la libertà non è pensabile se non in vista della verità, anzi la libertà è se stessa nella misura in cui realizza la verità sul bene.
Per Wojtyla la verità è oggettiva e assoluta, perché rappresentata da una persona, Cristo stesso, che ha redento l'umanità con la sua morte e resurrezione, dando a tutti la possibilità di emanciparsi dal peccato commesso dai "progenitori" (Adamo ed Eva!). Il peccato originale scaturito dalla ribellione primordiale dei progenitori coinvolge l'umanità tutta, perché avrebbe mutato, ereditariamente, l'essenza degli esseri umani. Di conseguenza nessun uomo può fare a meno della redenzione offerta dal sacrificio di Cristo.
Per essere liberi, quindi, è necessario conoscere ed accettare la "verità" così come ci viene narrata nei testi sacri; come scrive l'evangelista Giovanni: "Se voi rimanete nella mia parola conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".
Fino al momento in cui nella storia del pensiero occidentale è prevalsa questa posizione, cioè fino a quando la filosofia dell'essere di Tommaso D'Aquino ha dominato incontrastata, l'umanità avrebbe avuto coscienza dell'indissolubilità della libertà di scelta dalla sequela di Cristo.
I guai, secondo Wojtyla, sarebbero cominciati con il ribaltamento moderno e scellerato prodotto da Cartesio, il quale nel suo famoso "penso dunque sono" avrebbe proclamato la priorità del pensiero sull'essere, dando vita ad un percorso antropocentrico che, ulteriormente sviluppato dagli illuministi, ha portato l'umanità alla presunzione di poter agire "etsi deus non daretur", come se dio non ci fosse, con le conseguenze aberranti delle ideologie pagane ed atee espresse dal nazismo e dal comunismo. Il fatto che, qualche anno prima della nascita di Cartesio, i sostenitori cattolici della dottrina dell'essere avessero attuato in Sud America il più grande genocidio che la storia ricordi, non sembra porre a Giovanni Paolo II dubbi di sorta.
Nonostante l'apparente sconfitta del bene rappresentata dalle dittature del Novecento, la provvidenza divina ha impedito che il male potesse trionfare a lungo e ha permesso (anche tramite il suo vicario Karol) che le dittature anti-cristiane cadessero, lasciando spazio alle moderne democrazie (le quali, comunque, non sono immuni dal male, come dimostrano le pratiche abortiste e l'alta percentuale di divorzi).
Alcune considerazioni su quanto detto: è evidente come la chiesa, affermando l'unicità e l'assolutezza della propria visione morale, non abbia mai veramente rinunciato al primitivo progetto teocratico, fatto che si ricava dalla lettura di tutti i testi ufficiali della gerarchia cattolica.
In particolare il rifiuto dell'antropocentrismo moderno e contemporaneo, cui vengono attribuiti tutti i mali dell'umanità, rivela in maniera palese come la chiesa ritenga di essere depositaria non solo di valori morali assoluti ed universali, ma anche del diritto di poter governare il mondo alla luce di quei valori, sponsorizzando tutti i sistemi politici che se ne facessero portatori.
Infatti se un'azione è etica solo se "cristiana", cosa sia o meno cristiano può essere stabilito esclusivamente dall'interpretazione magisteriale dei vangeli, di cui vescovi, cardinali e papi sono gli unici interpreti "autorizzati".
Si delinea, di conseguenza, il progetto teocratico che è sempre stato proprio delle gerarchie vaticane le quali oggi, come al tempo del fascismo e poi della democrazia cristiana, usano il braccio secolare della politica "laica" di stato, asservita agli interessi clericali.
Risulta impossibile rintracciare, nelle parole del papa, una seppur minima ricerca delle reali responsabilità dei cristiani in tutti i massacri perpetrati ai danni dell'umanità.
La mancanza assoluta di strumenti sociologici e psicologici per analizzare le dinamiche storiche e l'uso esclusivo di una prospettiva metafisica fanno sì che nel discorso del papa non esistano né individui, né società, né processi storici. Che non ci sia, di conseguenza, spazio per le scienze sociali, né per le scienze naturali. C'è solo una teleologia medioevale, datata quanto presuntuosa, e una teologia della storia bella e pronta cui tutti gli uomini, al di là delle "irrisorie" differenze di razza, religione, sesso, ideologia, classe sociale, dovrebbero adeguarsi per poter entrare a far parte dell'esercito del bene.
Esercito al quale i cattolici appartengono per diritto divino, nonostante i crimini di cui hanno potuto e potranno macchiarsi.
L'identità della persona nel progetto teocratico è
data da un intreccio profondo tra la generazione umana, quella divina
(cui l'uomo partecipa per adozione) e l'appartenenza territoriale alla
propria patria.
La patria ha un ruolo fondamentale nella costruzione
dell'identità dell'individuo, in quanto "l'espressione patria si
collega con il concetto e con la realtà di padre" (pag. 76),
cioè è portatrice di un legame tra aspetto spirituale e
materiale, cultura e territorio.
L'importanza della patria nella genesi della coscienza valoriale e individuale delle persone ha la propria giustificazione morale (neanche a dirlo) negli insegnamenti di Cristo, che contengono in sé i più profondi elementi di una visione teologica sia della patria che della cultura. Il Vangelo, così, conferisce un valore ulteriore al concetto di patria, che non è solo ciò che abbiamo ereditato dai nostri padri e dalle nostre madri sulla terra, ma l'eredità stessa che dobbiamo a Cristo, il quale orienta ciò che fa parte del patrimonio delle patrie umane e delle umane culture verso la patria eterna.
In soldoni, i concetti di patria terrena e patria celeste si intrecciano e chiariscono a vicenda, tanto che potremmo dire che senza il valore della patria terrena non saremmo in grado di comprendere quello della patria celeste, e viceversa.
Sebbene Wojtyla tenga a distinguere il patriottismo dal nazionalismo, che ne sarebbe una degenerazione totalitaria, egli afferma che la dipartita di Cristo ha aperto il concetto di patria sulla dimensione dell'escatologia e dell'eternità, ma non ha tolto nulla al suo contenuto temporale. Infatti il papa afferma di sapere, sulla base della storia polacca, quanto il pensiero della patria eterna abbia favorito la prontezza a servire la patria terrena, disponendo i cittadini ad affrontare ogni genere di sacrifici in suo favore, sacrifici non di rado eroici.
Wojtyla ricorda come il valore morale del patriottismo sia contemplato dal quarto comandamento del decalogo di Mosè: "Patriottismo significa amore per tutto ciò che fa parte della patria: la sua storia, le sue tradizioni, la sua lingua, la sua stessa conformazione naturale… La nostra storia ci insegna che i Polacchi sono sempre stati capaci di grandi sacrifici per preservare questo bene, o per riconquistarlo. Lo testimoniano le numerose tombe dei soldati che hanno combattuto per la Polonia su vari fronti del mondo: esse sono disseminate sia in patria che fuori dei suoi confini" (pag. 84).
Benché il XX secolo testimoni una diffusa spinta ad avanzare nella direzione di strutture sopranazionali o cosmopolite, in realtà "sembra tuttavia che come la famiglia, anche la nazione e la patria rimangano realtà non sostituibili", perché società naturali, senza le quali non è data alcuna possibilità di umana convivenza. Quindi dio, patria e famiglia rimangono la base ideologica sulla quale convergono chiaramente gli interessi della chiesa cattolica e della parte più reazionaria della società italiana.
Non solo, ma al di là di questo noto trittico valoriale, non è neanche data libertà possibile, perché non c'è verità al di fuori della società blindata concepita da Karol Wojtyla.
Questo è il pensiero di un papa presentato da tutti i media nazionali come "moderno" ed "innovatore", e tanto amato anche dalla sinistra nostrana, che si guarda bene dal metterne in discussione la morale anacronistica e teocratica.
Per gli anarchici, al contrario, l'anticlericalismo rimane una prassi politica che necessita, oggi come sempre, di radicalità e costanza, perché la nostra liberazione passa per il rifiuto netto ed emancipato della superstizione religiosa e della politica papista.
Paolo Iervese