Umanità Nova, numero 12 del 10 aprile 2005, Anno 85
Mi è capitato, mentre alla televisione scorrevano i risultati delle elezioni regionali, di ripensare a quanto diceva diversi anni addietro uno storico durante una conferenza sulla storia del movimento operaio in Svezia.
Parlando della prima vittoria elettorale della socialdemocrazia in quello che sarebbe stato il suo modello faceva notare che era venuta immediatamente dopo una secca sconfitta sul campo del movimento sindacale e rilevava che, a volte, si vince in ginocchio.
Un'immagine interessante basata su di un modello interpretativo che da per scontato l'intreccio fra movimento di classe e rappresentanza parlamentare, modello rispetto al quale ritengo doveroso mantenere le nostre critiche tradizionali, ma che pone in evidenza alcune questioni meritevoli di approfondimento.
La sinistra può vincere in ginocchio e non solo nel senso, evidente, che i comportamenti elettorali ed i movimenti sociali non sono in relazione lineare, tutt'altro, basta, a questo proposito, pensare alla vittoria elettorale della destra francese immediatamente dopo il maggio.
La sinistra vince in ginocchio anche in un senso, diciamo così, più, contemporaneamente, teologico e sociale.
Nei giorni scorsi, infatti, ci si era domandato che effetto avrebbe potuto avere la morte del papa sulle elezioni. Un improvviso crollo di interesse per la campagna elettorale, un accorrere dei politici di destra e di sinistra alle adunate in ricordo del capo della chiesa, uno spostamento di interesse dal quadro politico alle grandi narrazioni religiose non sono fatti privi di suggestione.
Un'altra frase mi tornava alla mente, il motto secondo il quale l'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù.
In uno schema tradizionale il vizio sarebbe rappresentato dalle contese fra i partiti, dalle faide interne ai diversi schieramenti, dai radicali che si offrivano come alleati, contemporaneamente, a destra e sinistra, da una lista fascista volta a far male alla destra e da politici di sinistra che autenticano le firme necessarie a presentarla, dai postfascisti che si sono dati alla pirateria informatica, dalla Lega che ha remato contro la coalizione e la virtù dal papa polacco critico dei vizi di comunismo e capitalismo e interprete di una grande proposta di dotazione di senso rispetto ad una vita sociale povera e degradata.
Rovesciando la prospettiva, ed assumendo la chiesa come parte del sistema di potere che pretende di giudicare, la virtù potrebbe essere proprio quel rito democratico che sono le elezioni.
Ci sarà, comunque, tempo per valutare se la morte del papa ha pesato sulle elezioni ed in quale misura.
Il fatto di fronte al quale siamo di fronte è evidente. La sinistra ha vinto le elezioni in maniera ampiamente superiore alle previsioni sia per numero di regioni conquistate che per numero di voti e la destra avrà da affrontare un doloroso calvario con le conseguenti guerre intestine.
Ragionando sul medio periodo, sembra che siamo di fronte ad una tendenza analoga a quella che ha caratterizzato la prima repubblica e cioè alla graduale crescita della sinistra parlamentare. Se, infatti, esaminiamo i flussi elettorali dal 1994 ad oggi, ci accorgiamo che la destra perde regolarmente voti e la sinistra ne guadagna.
Persino le ultime elezioni politiche hanno confermato questa tendenza, in realtà la destra, nel suo assieme, ha preso meno voti rispetto alle elezioni del 1996, che avevano visto la sinistra vincente solo grazie alla divisione fra polo e lega, e ha conquistato il governo solo grazie alla somma dei voti leghisti e polisti.
D'altro canto, l'ascesa di Luca di Montezemolo ai vertici di Confindustria qualcosa ha ben voluto dire. Il padronato, che già aveva lasciato alla sua sorte la destra nel 1994, ha ripreso la sua autonomia ed applica, a modo suo, la politica dei due forni.
Guardando in prospettiva, è evidente che la sinistra raccoglie i frutti non solo e non tanto della rissosità interna al ceto politico della destra, da questo punto di vista anche la sinistra non scherza. Il punto di crisi della destra è più sostanziale della miseria del suo ceto politico. Quello che, infatti, si va sfaldando è il suo blocco sociale di riferimento.
A livello evidente, quello che non si tiene è l'alleanza contro natura fra un asse del nord - meglio sarebbe definirlo del nord-est, basato sulla piccola e media impresa, ed i partiti nazionali che hanno bisogno del consenso dei lavoratori del settore pubblico e dei ceti popolari delle regioni meno ricche.
Se, infatti, non si governa l'Italia contro il Lombardo Veneto, e la sinistra lo ha imparato a sue spese, non la si governa nemmeno con il solo Lombardo Veneto ed è questa la dura lezione che la destra ha subito.
Per di più, se è vero che in queste due regioni si concentra gran parte della ricchezza nazionale, nemmeno l'area che unisce Emilia, Romagna, Toscana, Umbria e Marche può essere sottovalutata.
La sinistra vive oggi una situazione, almeno a breve, eccellente:
buoni rapporti con il padronato, sostegno dei sindacati istituzionali,
e non solo, adesione delle classi medie semicolte, unità fra
Unione e PRC rinsaldata dalla vittoria di Vendola in Puglia, ritorno al
voto di ampia parte del mitico movimento dei movimenti, conquista del
consenso di parte consistente dell'elettorato che al giro precedente si
era affidata ad una destra che prometteva ricchi doni e cotillons e non
ha potuto e saputo garantire, mi si passi la citazione, l'impegno a
garantire più sticchiu per tutti. Per dirla con una battuta, da
Mastella ai new global.
Come poi, dall'alto, per ora, dei governi regionali e, in tendenza, di
quello nazionale, possa tenere assieme quest'armata Brancaleone
è un altro discorso.
Naturalmente, si tratta di un'ovvietà, la politica non è autonoma dall'andamento del ciclo economico e dalle dinamiche sociali profonde.
La destra dovrà, se non vuole chiudere baracca e burattini, cercare di riconquistare settori popolari e per farlo dovrà aprire la borsa della spesa pubblica e garantire alcuni diritti sociali cosa non facile per evidenti motivi e la sinistra, se vorrà evitare di deludere chi le ha dato consenso, dovrà fare altrettanto. Per entrambi gli schieramenti un passaggio non facile, anzi.
Penso, per fare un solo ma fondamentale esempio, alla necessità, ai fini del legame sociale, di proporre qualcosa di credibile ai milioni di lavoratori precarizzati.
Tornando alle questioni che più ci interessano, queste elezioni hanno visto una partecipazione consistente dal punto di vista numerico ma è interessante notare che l'astensione, sia pur di poco è cresciuta. In altri termini, se è vero che settori di lavoratori e di giovani hanno concesso una cambiale alla sinistra è anche vero che l'estraneità, non è mio costume confondere l'astensione con l'autonoma capacità di iniziativa dei lavoratori ma credo che qualcosa voglia ben dire, alla rappresentanza politica istituzionale non solo tiene ma cresce.
Ora si tratta di vedere se, anche sulla base di aspettative che la crisi della destra apre, si darà lo spazio per una ripresa del conflitto sociale sulle questioni vere: salario, reddito, diritti, libertà. Su questo terreno sarà necessario rilanciare l'iniziativa e marcare la differenza radicale fra un sinistra sociale tutta da costruire ed una sinistra politica che, nel mentre festeggia grande abbraccio fra liberali dolci, cristiano sociali e neosocialdemocratici, alcune contraddizioni le dovrà affrontare in tempi non troppo dilatati.
Cosimo Scarinzi