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Umanità Nova, numero 13 del 17 aprile 2005, Anno 85

Gli anarchici contro il fascismo: 1923 - 1942
"Insuscettibili di ravvedimento"


 


Mussolini concepisce la normalizzazione come l'annientamento completo dell'opposizione. Il suo ordine è l'ordine di Varsavia.
(Camillo Berneri)


Il regime fascista fu a tutti gli effetti un regime totalitario, anche se oggi da più parti si cerca di negarlo; a confermarlo sono le cifre della repressione contro gli oppositori: circa 700.000 mila esiliati politici, 13.361 condannati al confino accertati, 5.619 processati dal Tribunale speciale con condanne complessive per 27.735 anni di galera e tre ergastoli, 160.000 dissidenti sottoposti a vigilanza speciale; per quanto riguarda invece gli antifascisti, o ritenuti tali, internati in quanto "pericolosi nelle contingenze belliche" esiste la documentazione relativa a 2.711 nominativi - tra i quali almeno 150 anarchici - anche se si può facilmente presumere un numero complessivo assai più elevato.

Misure repressive "legali" seguite alle violenze "illegali", ma sovente ancora in sinergia con lo squadrismo ormai istituzionalizzato della Milizia, o delle varie "ceke" al servizio del Ministero dell'Interno per i lavori più sporchi, come la squadra responsabile del rapimento e dell'assassinio del deputato socialista Matteotti.

"Pronti…- ebbe a denunciare l'anarchica Virgilia D'Andrea - quei 300.000 randellatori, che formarono la milizia fascista; milizia nella quale è stato assorbito lo squadrismo; milizia che abusivamente è chiamata nazionale, mentre è una vera e propria forza armata a disposizione di un partito; pronta, in nome del fascismo e pel fascismo, a continuare fino all'obbrobrio, fino ad un abisso smisurato di vergogna, una lotta nefasta contro ogni luce di civiltà e di progresso".

Gli anarchici subirono una repressione sistematica quanto accanita: le principali organizzazioni libertarie quali l'Unione Anarchica Italiana e l'Unione Sindacale Italiana furono sciolte d'autorità e dichiarate fuorilegge in quanto "associazioni sovversive", le sedi anarchiche e i giornali chiusi, i militanti licenziati, incarcerati, inviati al confino, perseguitati, strettamente vigilati, provocati e talvolta fatti "sparire" in silenzio. Ai superstiti ancora in libertà non rimase che la via dell'espatrio, quasi sempre clandestino, verso la Francia, la Svizzera, il Belgio, l'Inghilterra, la Spagna, la Tunisia, l'Argentina, il Brasile, l'Uruguay, gli Stati Uniti e persino la Russia sovietica dove centinaia di esuli italiani antifascisti finirono, come l'anarchico toscano Otello Gaggi, vittime dello stalinismo.

Il Bollettino delle Ricerche del Ministero dell'Interno, nel periodo 1932 - '37, registra per alcune regioni (ad esempio la Toscana) e per alcuni anni (1933 - '34) gli anarchici al primo posto per numero di "sovversivi" ricercati, dove generalmente erano secondi soltanto agli schedati comunisti o ritenuti tali.

Si può quindi affermare che per circa un ventennio l'attività anarchica in Italia, necessariamente clandestina, fu portata avanti da un numero assai limitato di militanti, schedati dagli organi di polizia come "insuscettibili di ravvedimento", sottoposti a continua vigilanza dalla polizia politica, dai carabinieri e, in un secondo tempo, dall'OVRA.

Sul piano delle intese con le altre forze dell'antifascismo, va rilevato che se in Francia, in Spagna e nei luoghi di confino, i militanti anarchici si ritrovarono sovente in sintonia con quelli del movimento "Giustizia e Libertà" e dell'intransigentismo repubblicano, in Italia i lavoratori anarchici svilupparono invece rapporti con quei settori comunisti che, in disaccordo con le direttive togliattiane, rifiutavano la tattica "entrista" nelle strutture sindacali corporative o nei gruppi giovanili fascisti.

Nonostante le enormi difficoltà operative, grazie anche ai contatti con gli ambienti anarchici del fuoriuscitismo, l'opposizione anarchica sopravvisse, dando vita ad una sotterranea opera di propaganda del dissenso contro il regime, attraverso giornali, volantini e scritte murali, ma anche portando a termine azioni dirette contro gli uomini e le strutture fasciste, a riprova dell'irriducibilità della volontà antiautoritaria. Analogamente, fuori dall'Italia, gli esuli anarchici resero difficile la vita ai rappresentanti del regime, ai consoli, alle spie e alle sezioni dei Fasci all'estero; negli Stati Uniti, ad esempio, la comunità anarchica italiana non perse occasione di rovinare le conferenze pubbliche di personaggi legati al regime.

Inoltre, attraverso le reti internazionali di solidarietà e cospirazione, gli anarchici cercarono di giungere all'eliminazione fisica di Mussolini, ritenendolo, oltre che il mandante di tanti crimini, anche simbolo ed elemento centrale della dittatura fascista. Da questo progetto scaturirono l'attentato compiuto, con una bomba a mano, nel 1926 dall'anarchico avenzino Gino Lucetti, condannato a 30 anni di carcere. Per cercare di mettere fine alla lunga serie di attentati, anarchici e non, che avevano messo a repentaglio la vita del duce, il 25 novembre dello stesso anno, una "Legge per la difesa dello Stato" introdusse la pena di morte per gli attentati al capo del Governo e dello Stato e per i delitti contro lo Stato, istituendo anche il cosiddetto Tribunale Speciale, con giudici militari designati personalmente da Mussolini, proprio per i reati di antifascismo.

Le condanne a morte pronunciate da questo Tribunale furono aperte il 18 ottobre 1928, con la fucilazione dell'operaio lucchese Michele Della Maggiora, responsabile dell'uccisione di due fascisti che da tempo lo perseguitavano; seguirono altre fucilazioni contro antifascisti slavi e le impiccagioni di insorti libici contro l'occupazione neocoloniale italiana.

In totale, il Tribunale speciale avrebbe comminato 42 condanne a morte, delle quali 31 eseguite.

Tale politica terroristica non fermò comunque il proposito di giustiziare il capo del fascismo, destabilizzando l'intero apparato di potere fascista. Per questa intenzione vennero fucilati gli anarchici Michele Schirru (1931) e Angelo Sbardellotto (1932), così come finì davanti ad un plotone d'esecuzione il repubblicano Domenico Bovone per alcuni attentati antifascisti.

Emblematica la sentenza di morte pronunciata contro Michele Schirru in cui si affermava: "Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell'Italia, attenta all'umanità, perché il Duce appartiene all'umanità".

Con l'inizio della guerra civile spagnola nel 1936, agli antifascisti italiani e in particolare agli anarchici che potevano contare sulla forte e determinante presenza anarcosindacalista all'interno del processo rivoluzionario in Spagna, non persero l'occasione storica di combattere il fascismo italiano che, assieme al nazismo tedesco, era accorso a sostegno del colpo militare contro la repubblica spagnola.

Alcuni militanti anarchici italiani si trovavano già in terra spagnola come esuli, altri vi giunsero individualmente e in modo spontaneo dalla Francia, mentre il primo vero contingente di volontari libertari partì il 18 agosto 1936 con la cosiddetta Colonna Rosselli, composta da un centinaio di anarchici, una ventina di militanti di "Giustizia e Libertà", una decina di repubblicani e tre comunisti che non avevano aspettato gli ordini del loro partito. Questo primo gruppo costituì la sezione italiana della Colonna "F. Ascaso" della FAI-CNT. Altri anarchici, giunti in Spagna successivamente, si sarebbero aggregati soprattutto alle colonne "Durruti", "Tierra y Libertad" e "Ortiz", tutte della CNT-FAI, ma anche nelle Brigate Internazionali. Secondo una stima documentata dai registri di arruolamento conservati negli archivi della CNT, furono 653 gli anarchici italiani combattenti con le formazioni anarcosindacaliste, ma questo dato non tiene appunto conto dei numerosi militanti libertari italiani che risultarono inseriti in altri raggruppamenti non-anarchici, come ad esempio nelle milizie del POUM, ossia il Partito Operaio di Unificazione Marxista non controllato da Mosca, per cui non è azzardato affermare che circa un quarto di tutti glia antifascisti italiani accorsi in Spagna - circa 4 mila - furono anarchici.

Gli ultimi, terribili, anni del regime fascista - i primi della Seconda guerra mondiale - vedono gli anarchici italiani prostrati per la sconfitta della rivoluzione in Spagna ed ancora oggetto di ulteriori provvedimenti repressivi.

Anche i contatti con gli ambienti del fuoriuscitismo in Francia, e con l'estero in generale, risultarono assai limitati e difficoltosi; ma a partire dal 1941, l'anno dell'acuirsi in Italia della crisi bellica e della crisi interna, nuovi spazi d'azione e di organizzazione sarebbero tornati ad aprirsi.

Nel giugno 1942 si tenne a Genova un primo convegno clandestino anarchico dal quale uscì un documento d'azione per l'immediato futuro improntato al realismo in cui, tra l'altro, si affermava: "Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo gomito a gomito con l'arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite. Quali saranno in quel momento i nostri amici e quali i nostri nemici? Difficilmente ci sarà possibile distinguerli e tutti ci appariranno compagni di lotta. Ma, caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni".

Nello stesso periodo le fonti di polizia segnalavano il sorgere su iniziativa di anarchici piemontesi, lombardi e marchigiani, di un movimento antimilitarista denominato "Perdere per vincere" in collegamento con la Svizzera.

Il vento stava ormai cambiando.

A cura di emmerre












































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