Umanità Nova, numero 13 del 17 aprile 2005, Anno 85
All’indomani della caduta del muro di Berlino, quando ormai era
più che chiaro che il Secondo mondo si sarebbe dissolto come
neve al sole, un intero fascicolo della prestigiosa rivista
dell’establishment statunitense, "Foreign Affairs", veniva dedicato
alla Cina ed ai rischi della sua ascesa nello scenario planetario.
Da un lato, si registrava allora la costante e vertiginosa crescita dei
fondamentali dell’economia (pil, reddito, segmentazione di provenienza
del pil), il trend di urbanizzazione dalle campagne alle metropoli
(alla stregua dell’analogo processo industriale di fine settecento
inglese che si prolungò sino agli anni sessanta in Italia), una
compattezza politica coniugata ad una apertura liberale in economia,
(Tienanmen 1989 docet…), il connubio di zone sperimentali capitaliste
con economie rurali, il potenziale militare declinato con acutezza e
intelligenza strategica e tattica, sebbene non tecnologicamente
supportato, facevano e fanno della Cina una potenza di oltre 1.200
milioni di abitanti che da sola può rappresentare, nell’arco di
un cinquantennio, un contraltare notevole all’intero mondo occidentale
che conta.
La politica della carota...
Dall’altro, e per le medesime ragioni, l’accelerazione sospinta di
questi stessi processi crea squilibri e contraddizioni di difficile
governo, per la semplice ragione che le aspettative, gli appetiti, le
mosse e gli attori in campo non si diluiscono in un arco secolare di
tempo, come è avvenuto nei secoli scorsi al resto del mondo in
crescita, bensì si concentrano, anche grazie all’effetto mimesi
veicolato dalla globalizzazione mediatica,, in un arco di tempo
ristretto, in cui i nodi al pettine si aggrovigliano tutti
contemporaneamente, ingolfando un sistema politico decisionale (da qui
il modello Singapore sempre più copiato anche nei regimi
cosiddetti democratici: accentramento politico autoritario, monocratico
più che collegiale, con apertura esclusivamente economica alle
regole di mercato saldamente regolate dalla politica).
I planners che contano ragionano su archi temporali dilatati, a
differenza dei manager schiacciati sui modelli finanziari che impongono
un respiro cortissimo, dell’ordine di qualche settimana, quando va di
lusso. La supremazia della politica sull’economia, nonostante
ciò che sembri in chiave marxista, trova nel sistema di dominio
Usa un emblema da modello per l’intero sistema di potere globale.
Quella riflessione sulla Cina diede il via ad una duplice scuola di
pensiero e di pratica politica, non necessariamente in antitesi. Da una
parte, il bastone, dall’altra la carota. Allora, la carota era
l’ingresso della Cina nella WTO (uno dei tavoli più riservati a
Seattle nel 1999), che avrebbe significato, significherebbe e
significherà lo smantellamento di un sistema normativo maestoso
per dar luogo alla vigenza di un dispositivo di mercato standard per
l’intero pianeta: dal sistema di risoluzione dei conflitti alle norme
antitrust, dall’omologazione dei prodotti alle normative sindacali,
ossia tutti temi di volta in volta giocabili a favore o contro
l’autorità locale rispetto alla pressione omologante globale.
Così i bassi salari e la scarsa sindacalizzazione viene
incentivata, obbligando i lavoratori a confliggere tanto con il potere
locale, quanto con la forza anonima dei mercato globale, laddove
pirateria e contraffazione di brand viene condannata, pur nella
consapevolezza della difficoltà imperiosa a porvi rimedio.
La posta di scambio era ed è il controllo delle
autorità cinesi sulla divisa nazionale, ancora oggi
inconvertibile con il dollaro e quindi con l’unità di misura
delle transazioni internazionale, che ha riparato la Cina dalle
oscillazioni non neutre del biglietto verde, riparandosi pertanto dagli
effetti nocivi del problema dollaro (privilegio per chi lo emette,
onere per i contraccolpi di chi ne subisce gli sbalzi), consentendo
così alla Cina di accumulare un potenziale di riserva tanto
enorme da poter acquistare in blocco ricchezze mobili e immobiliari
negli Usa, con l’effetto di detenere una quota importante della riserve
finanziarie del Tesoro americano, ricattato così nel suo punto
debole: l’esposizione verso i propri creditori.
... la politica del bastone
Da qui l’affiancamento del bastone, là dove l’irretimento
nelle regole del gioco non è compiuto in maniera così
obbediente, come successo altrove, ai dettami del Washington Consensus.
L’accerchiamento militare della Cina nasce all’indomani della ritirata
rossa dall’Afganistan, si combatte in Sudan e in Venezuela per
ciò che attiene le risorse energetiche di quei paesi le cui
imprese petrolifere di stato hanno stretto rapporti preferenziali con
la China Petroleum National Company, ed ha avuto un indizio più
che reale con il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado nel
1999. La conquista dell’Iraq e la prossima aggressione dell’Iran
porterebbe a compimento un accerchiamento che spingerebbe la Cina verso
il Pacifico, dove opera il fedele alleato Giappone, stretto da un patto
di difesa nucleare in caso di aggressione estera, oppure verso l’altro
colosso del pianeta, l’India, che sta divenendo l’opzione preferita da
Pechino per saldare un’alleanza che metterebbe insieme poco meno della
metà del pianeta terra.
Gli Usa hanno bisogno della partnership di Russia e UE
La dimensione numerica delle forze in campo già da tempo obbliga gli Usa a considerare Europa e Russia propri partner succubi, pena l’inevitabile sconfitta sul medio periodo del XXI secolo con il colosso cinese. L’ennesimo fronte di dissidio Usa-Ue, proprio di recente, vede al centro dell’attrito l’embargo di vendite di armamenti a Pechino, decretato dopo l’eccidio di piazza Tienanmen nel 1989. Al pragmatismo affaristico degli europei, Ciampi in testa, che interpretano il business delle armi non come tale, bensì come testa di ponte per ingraziarsi i governanti cinesi su vari tavoli (mercati locali, esportazioni illecite in Europa, riforma dell’Onu), si contrappone la rigidità americana che già osserva con timore l’escalation cinese sul piano tecnologico militare (il primo cosmonauta con gli occhi a mandorla ne è una vivida testimonianza).
La penetrabilità nell’immensa vastità di territorio cinese alle regole di mercato, che spalanca orde di consumatori per le imprese europee e americane, ma ancora oggi secondo norme locali che fanno mantenere il pallino della espansione in mano cinese, scommette sui tempi lunghi di una integrazione capitalistica al cui interno le élite trovano sempre modo di accordarsi, sacrificando qualche pesce piccolo, laddove la tattica di accerchiamento militare scommette su uno scontro finale cui arrivare con posizioni e alleanze già chiare e ben definite, per vincere magari senza dover sparare un colpo proprio come recitano gli antichi frammenti di saggezza orientale.
Salvo Vaccaro
Cina: protesta sfociata nel sangue Uccise 2 dimostranti contro fabbriche inquinanti, e' rivolta
Cina: protesta sfociata nel sangue
Uccise 2 dimostranti contro fabbriche inquinanti, e' rivolta
(ANSA) - PECHINO, 11 APR - Due donne sono state uccise dalla polizia
durante manifestazioni contro fabbriche inquinanti nella Cina
orientale, scatenando la rivolta. Nelle manifestazioni odierne, decine
di agenti e almeno quattro dimostranti sono rimasti feriti. Negli
ultimi 15 giorni, 200 donne avevano picchettato un complesso di 13
fabbriche chimiche ritenute inquinanti e nocive per l'ambiente e la
salute di lavoratori e abitanti. Ieri la polizia ha attaccato,
provocando la morte di due anziane.