Umanità Nova, numero 14 del 24 aprile 2005, Anno 85
Con l'elezione di Ratzinger al soglio pontificio il conclave ha confermato, con una celerità che sorprende e preoccupa, la linea politica di accentramento dei poteri nelle mani dell'area più retriva della chiesa cattolica.
Benedetto XVI, infatti, è stato il defensor fidei e il garante dell'ortodossia durante tutto il pontificato di Wojtyla. Come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, Ratzinger, dimentico delle proprie aperture progressiste manifestate ai tempi del Concilio Vaticano II, si è impegnato a stroncare la Teologia della Liberazione (con due documenti pubblicati a metà degli anni '80) e a perseguire teologi non in linea con la svolta reazionaria inaugurata da Wojtyla. Questa elezione, maturata in tempi così brevi da eliminare ogni dubbio sull'esistenza di una corrente progressista all'interno del collegio cardinalizio, dimostra che nella chiesa cattolica odierna non ci sono più spazi per opzioni moderniste e tanto meno per manifestazioni di dissenso nei confronti della linea politica papale, che con il rigido e dogmatico tedesco non potrà che mostrarsi ancora più reazionaria. Dimostra anche che le illusioni post-conciliari nutrite da tanta parte della sinistra, quelle cioè di trovare nel papato un interlocutore attento alle istanze di liberazione sociale, possono essere mestamente consegnate alla storia.
L'omelia tenuta da Ratzinger nella "missa pro eligendo pontifice" può essere considerata ormai come il manifesto del nuovo corso politico vaticano. Il nemico contro cui saranno scagliate le truppe papaline è il "relativismo culturale", un calderone dai contorni vaghi e mutevoli, ma che sicuramente conterrà tutte le libertà che il movimento rivoluzionario è riuscito a conquistare e di cui tutti possono beneficiare: divorzio, contraccezione, aborto, libero pensiero; libertà che, osteggiate da tutti i poteri religiosi e civili, sono indicate da questo pontefice come l'esempio della degenerazione morale dell'umanità.
Paolo Iervese