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Umanità Nova, numero 15 del 1 maggio 2005, Anno 85

Il papa e il generale
Della volta di Wojtila con Pinochet, il macellaio



Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale.
Giovanni Paolo II


Innanzitutto, per i lettori più giovani, un po' di storia. O meglio, un po' di storia e un po' di ricordi.

1973, America latina. La prateria selvaggia degli Usa, là dove i capitali e le multinazionali del nord America spadroneggiano, condizionando pesantemente la vita politica, economica e sociale del continente vassallo. Ma i tempi, in un certo modo, stanno cambiando: i popoli sudamericani si sono stufati di fare la fame per soddisfare gli appetiti dei cugini del nord e questa voglia di emancipazione e cambiamento si esprime anche con la formazione di governi decisamente schierati a sinistra. Tra questi, eletto con i crismi delle regole democratiche, il governo cileno di Salvador Allende. Riformista, socialdemocratico, perbenista e nazionalista quanto si vuole, ma pur sempre una spina nel fianco che ferisce la sensibilità degli suscettibili yankees. Che non tollerano che nel ribollente giardino di casa, dopo la "sconvolgente" esperienza cubana, si affermino altre spinte capaci di mettere in discussione la dovuta sudditanza dei latinos nei confronti degli onnipotenti padroni del mondo. Detto e fatto. Se non si tollera non si tollera. E nella effervescente e geneticamente golpista gerarchia militare, se ne pescano a bizzeffe di macellai con i galloni da generale, disposti a fare il lavoro sporco. Pinochet, il generale Augusto Pinochet è uno di questi. E non dei meno bestiali. Nel 1973, alla faccia dei principi democratici e del rispetto della volontà popolare - così utili per la lotta al bolscevismo nella vecchia Europa ma così ingombranti e poco eleganti per ogni altro dove - l'ennesimo golpe, l'ennesimo ma anche il più sanguinario, abbatte il governo di Allende, soffocando nel sangue ogni tentativo di resistenza. 

E dalla storia, passiamo ai ricordi. Furono, in quel settembre, giorni tremendi, disperanti. Anche se non avevamo avuto particolare simpatia per il governo di Allende, sapevamo però, tutti, che dietro la forma istituzionale c'era ben altro nel Cile di allora. C'era la voglia popolare di riscatto, di ribellione, di emancipazione, c'era un bisogno insopprimibile di ritrovare quella dignità collettiva che sola poteva portare alla libertà. C'era un sogno, soprattutto, il sogno che il mondo non fosse costretto ad essere sballottato fra gli "opposti estremismi" russi e americani, ma potesse sperare concretamente, in quel Cile, di sottrarsi alle disumane leggi della real politik.

Ma Pinochet, e la sua giunta di sudici macellai vestiti da marionette gallonate, riportarono il mondo alla ragione. E alla normalità. E fu il massacro. Decine di migliaia di oppositori torturati, uccisi in eccidi di massa, incarcerati, deportati, sottoposti ad ogni sevizia morale e materiale. Le carovane della morte, la segregazione negli stadi, il terrore nelle città di notte. Una mattanza infinita e inaudita, benedetta fin dai primi momenti dal suo ispiratore, il segretario di stato nordamericano Henry Kissinger. E il nostro dolore, la nostra rabbia, la voglia e l'impossibilità di fare qualcosa di concreto in aiuto dei nostri compagni cileni, il nostro furore contro l'imperialismo yankee e l'arrivo di migliaia di esiliati, miracolosamente sfuggiti alla cattura, in tutta Europa. Alcuni di questi compagni sono ancora tra noi.

Poi ci fu la normalizzazione. Passata la fase più cruenta, la dittatura cilena smise i panni sanguinari e tornò ad indossare il doppiopetto. Anche per poter accogliere senza traumi quanti, fra i potenti, andavano ad omaggiarla. E a legittimarla. E naturalmente tra questi, nel suo viaggio n. 33, anche il campione degli umili e degli oppressi (purché accettino di restare oppressi e umili) Karol Wojtila. Lo "strenuo difensore" delle libertà popolari nell'est europeo, ma anche, nel continente sudamericano, il tollerante e benedicente buon pastore degli assassini in divisa. Assassini, d'accordo, però paladini, oltre che degli interessi imperialistici, di santa romana chiesa. Come lo era, e continua ad esserlo, il cattolicissimo e devoto Augusto Pinochet Ugarte, che mai manca alla messa domenicale.

Fu un trauma, davvero un trauma, nel 1987, l'oscena apparizione papale al fianco di Pinochet, l'uno nelle braccia dell'altro al balcone presidenziale sul quale ricordiamo l'estrema difesa di Allende prima di essere ucciso. Un trauma, va detto, soprattutto per i tanti cattolici cileni che avevano continuato coraggiosamente a battersi per il ripristino delle libertà civili, sfidando, loro come mille altri oppositori, le vendette e le crudeltà del regime. Un trauma, per quanti si erano illusi che la gerarchia vaticana potesse davvero dire, a favore degli oppressi, qualcosa di più che non fosse il solito invito alla calma in attesa del regno dei cieli. Un trauma per le anime candide che si erano lasciate irretire dalla demagogia di un papa dalla vocazione istrionica e facile al canto, alla danza e al bacio dei fanciulli. Un trauma. Perché quella non fu una delle tante visite pastorali in un paese a maggioranza cattolica, ma dietro l'apparizione al balcone, tanto oscena quanto carica di significati, c'era il lungo lavoro diplomatico della curia e del nunzio apostolico e poi segretario di stato, cardinale Sodano. Lavoro fondato non solo sulla naturale e conclamata simpatia del cardinale per il generale (del resto corrisposta), ma anche, e soprattutto, sul presupposto della necessità di fermare, ovunque ma soprattutto in America latina, le spinte progressiste e sinceramente popolari di una parte del clero. L'ostinato rifiuto di Wojtila di incontrare le Madri della piazza di maggio, la irrevocabile condanna della teologia della liberazione, l'indifferenza di fronte all'assassinio del cardinale Romero ad opera degli squadroni della morte, la punizione per il clero schierato a fianco dei sandinisti, l'appoggio del cardinale Laghi ai golpisti argentini dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, da che parte si schieri la chiesa quando è tempo di fare sul serio e non di spargere semenza per gli allocchi.

Certamente per noi e per gli spiriti liberi che non hanno portato il cervello all'ammasso dell'idolatria papale, quella volta non ci fu nulla di traumatico. Anzi, se mai ce ne fosse stato bisogno, fu solo la conferma, scontata ma non per questo meno vergognosa, dell'effettiva scelta di campo delle gerarchie ecclesiastiche ai loro massimi vertici: quella a favore del potere e della violenza istituzionale necessaria per conservarlo. Soprattutto quando questo potere diventa uno dei tanti puntelli che contribuiscono a mantenere salda e immobile la cupola di Michelangelo.

Stupisce che, nell'esasperante monodia che ci ha tormentato per settimane, nessuno abbia voluto ricordare come si deve anche questo "santo" episodio della vita di Karol il grande?

Massimo Ortalli














































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