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Umanità Nova, numero 16 dell'8 maggio 2005, Anno 85

Fiat: il rilancio che non c'è
Il cuore è altrove




È evidente ormai a tutti che la Fiat sta nuovamente attraversando una fase estremamente delicata. Sono trascorsi solo tre mesi dalla conclusione delle nozze mancate con la General Motors, che aveva fatto innalzare un coro di consensi e soddisfazione per la ritrovata autonomia del Lingotto nel pensare al proprio futuro, con in cassa la ricca dote pagata dal colosso americano. Eppure la realtà già si incarica di dimostrare che quella acritica manifestazione di entusiasmo era quanto meno prematura e in larga parte infondata.

Innanzitutto la Fiat deve ancora incassare una tranche di quella penale (pari a 550 milioni di euro) e lo stato di salute di General Motors non depone a favore di un esito scontato. GM infatti è precipitata in borsa, dopo l'annuncio di un "profit warning" emesso alla metà di marzo, sulla base di risultati di vendita molto deludenti nei primi due mesi dell'anno, seguiti da un marzo decisamente asfittico. Le agenzie di rating hanno sinora confermato il rating dell'azienda, ma l'hanno messa sotto osservazione, con "outlook" negativo. Il 90% degli analisti ritiene che le obbligazioni GM verranno declassate a titoli spazzatura entro la fine del 2005, a meno che intervenga un imprevedibile miglioramento dei conti del gruppo (possibile soltanto con un drastico taglio dei costi pensionistici e sanitari dei suoi addetti, ipotesi già respinta dal sindacato dell'auto americano). Il declassamento di GM aprirebbe uno scenario devastante per tutte le obbligazioni corporate, quelle emesse da società private, ed in particolare per i titoli di debito emessi da società automobilistiche, un settore dove la concorrenza sui prezzi sta falcidiando i livelli di profitto dei produttori. Non a caso, anche la Ford sta entrando in una fase di grande turbolenza, sta cadendo in borsa e sta subendo un rapido deterioramento delle proprie valutazioni creditizie. Se il comparto è sotto pressione, tutti i produttori più deboli vengono messi sotto attacco.

La Fiat non si sottrae a questa logica spietata: il titolo è sceso in borsa sotto il valore nominale e viaggia vicino ai 5 euro, al minimo storico. I dati sulle vendite del primo trimestre hanno duramente penalizzato il gruppo, il cui peso a livello europeo è sceso al 7,1%, rispetto ad un quota di 8,1% detenuta sino ad un anno fa. È tutto il mercato europeo ad essere in calo, con un abbassamento del 3% delle vendite rispetto al primo trimestre 2004. Persino i paesi appena entrati in Europa (smentendo ogni previsione ottimistica di crescita e sviluppo) denunciano un crollo della domanda di auto pari al 15% rispetto ad un anno fa, mentre tra i paesi di antica appartenenza solo la Francia ha il segno positivo. In questo contesto, tutti i produttori domestici europei accusano forti cali, tranne la BMW. Le case soffrono la concorrenza dei concorrenti asiatici storici (coreani e giapponesi), ma temono soprattutto l'avanzata dei nuovi produttori (indiani e cinesi), che minacciano di entrare sul mercato con utilitarie essenziali a bassissimo costo (famoso il caso della cinese Saic, che intende vendere un'auto da 4000 euro; quella Saic che ha di recente rinunciato a comprare l'inglese MG Rover, affondata dai debiti e ormai fallita). 

In uno scenario simile, la Fiat rischia concretamente di essere spazzata via in breve tempo, come produttore indipendente. La sua priorità ritorna quindi ad essere la sopravvivenza, e in questa griglia di lettura vanno inseriti gli ultimi avvenimenti che la riguardano.

Da una parte Fiat schiaccia l'acceleratore sui risparmi e sul taglio dei costi: cassa integrazione a tutto spiano, per gli operai, ma anche per gli impiegati. Infatti, la produzione si è fermata per sei mesi a Termini Imprese, si sta fermando a rotazione per molti altri stabilimenti (oltre 8.500 lavoratori saranno contemporaneamente in c.i.g. a luglio, la punta più alta della cassa alla Fiat), ma per la prima volta la c.i.g. interesserà per tre mesi anche 1500 tra impiegati e progettisti, a partire da maggio. È evidente che mettere in c.i.g. la progettazione significa contraddire nei fatti la necessità del rilancio, l'elaborazione e lo sviluppo di nuovi modelli, l'impegno per una ripresa di investimenti produttivi che aggrediscano al cuore il problema. Nessun nuovo modello è infatti in cantiere per il marchio Lancia, mentre Fiat ed Alfa Romeo sono destinate a vivere di restyling. Il Lingotto punta tutte le sue carte sulla Nuova Punto, un modello nato almeno una dozzina d'anni fa, e sulla Nuova Croma, in un segmento che non ha mai regalato soddisfazioni alla Fiat.

Il recente varo di Powertrain Technologies, che mette insieme le società di produzione di motori e cambi di Fiat, Iveco e Cnh, con oltre 23.000 dipendenti, sembra andare nella direzione di una filiera produttiva non necessariamente rivolta al gruppo d'origine come mercato di sbocco, ma come un possibile oggetto di scorporo nell'ambito di un generale processo di spezzatino. La notizia che 60 dipendenti dell'area torinese siano stati "ceduti" a GM e che svilupperanno per gli americani la tecnologia Diesel evidenza, ancora di più, la perdita di know-how tecnologico in cambio di soldi, da gettare nella fornace delle perdite operative.

Perdite operative che sono destinate a durare ancora a lungo: ormai perde consistenza l'ipotesi/promessa di Marchionne di ridurre a soli 300 milioni di euro la perdita prevista di Fiat nel 2005. Probabilmente la caduta del mercato europeo in questo inizio 2005 non permetterà di rispettare il sentiero di risanamento, allontanando ulteriormente il ritorno all'utile, più volte promesso per il 2006. Nell'immediato, prevalgono ancora le operazioni di cosmesi finanziaria, per tenere a galla la baracca e non scendere nel gorgo del declassamento del rating.
Marchionne ha deconsolidato dal bilancio Fiat i debiti dell'Iveco, vendendo alla Barclays il 51% di Iveco Finance holding, ripetendo l'operazione che aveva già coinvolto Fiat e Cnh. In tal modo vengono posti fuori bilancio 2 miliardi di euro di debiti e viene aumentata la flessibilità finanziaria del gruppo, cioè la sua capacità di indebitarsi ulteriormente. Contemporaneamente Marchionne ha ingaggiato un duro braccio di ferro con le banche riguardo al prestito convertendo, cioè i tre miliardi di euro di prestiti che vanno a scadere al 30/09/2005 e che la Fiat ha già annunciato di non voler restituire in contanti.

Le banche sono nella non invidiabile posizione di dover scegliere se trasformare i crediti in azioni svalutate (contabilizzando in bilancio le perdite), oppure concedere una proroga di almeno 3/5 anni e vedere cosa accade nel frattempo. Nell'incontro del 26 aprile, Fiat e banche sembrano essersi accordate per la conversione totale del prestito in azioni. Questo significa che gli Agnelli accettano il ridimensionamento al 22% della proprietà e le banche salgono al 27%, rafforzando patrimonialmente la società. Resta da vedere per quanto tempo le banche resteranno dentro e cosa chiederanno al management.
Per tutti quelli che gravitano attorno all'universo Fiat rimane una situazione di grande incertezza. La famiglia ha incassato laute plusvalenze dalla cessione di Auchan, Rinascente ed Upim, ma le finanziarie Ifi e Ifil non intendono investire nell'auto i buoni risultati ottenuti in altri settori. I suoi uomini cercano investimenti remunerativi in aree e settori diversi, dagli Usa alla Cina, dalla produzione alla finanza. Per loro, l'auto e l'Italia sono due accidenti della storia, ciò che ha fatto da incubazione per la costruzione di fortune finanziarie protette, da valorizzare ora in altre porzioni del globo terrestre, personificando quella deterritorializzazione del capitale che in fondo, nel nostro paese, è più in ritardo che altrove.

Credere e combattere per difendere le radici territoriali della Fiat è una pia illusione dei ceti dirigenti dei sindacati e dei partiti politici, regionali e nazionali. La Fiat sfugge ad ogni confronto di merito e pone la questione dell'autonomia decisionale dei propri manager come unico criterio di valore. Vanamente, Chiamparino, Mercedes Bresso o, prima di lei, Enzo Ghigo hanno cercato di "aprire un tavolo", così come Maroni, Marzano, ecc. Forse qualche finanziamento a basso costo può ancora interessare, così come una rete di ammortizzatori sociali che consenta un passaggio non traumatico allo sganciamento del capitale Fiat dalla sua creatura storica, nell'arco dei prossimi 3/5 anni. Ma, come direbbe Pupi Avati, ormai "il cuore è altrove"… 

Renato Strumia















































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