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Umanità Nova, numero 17 del 15 maggio 2005, Anno 85

La strage del lavoro
6.000 lavoratori al giorno crepano di sfruttamento




Sono stati pubblicati i dati dei morti per causa di lavoro (infortuni e malattie professionali) nel 2004: una ecatombe, 6.000 morti al giorno in tutto il mondo, 4 in Italia per soli infortuni sul lavoro.

La cosa che per prima fa riflettere è che lavorare bisogna per campare e quindi morire sul lavoro fa parte del rischio naturale di chi voglia procurarsi i mezzi per sopravivere e cercare quell'esistenza libera e dignitosa che dovrebbe essere diritto di ciascuno.

Quando penso al mondo del lavoro, ormai, mi viene in mente il gioco dell'oca. Si parte, e per raggiungere il centro del tabellone (una tranquilla vecchiaia) si devono superare barriere di ogni tipo. Il primo problema è trovare il lavoro e che non sia troppo precario. Perché senza sufficiente retribuzione non si paga una casa, il mantenimento dei figli, e tutto quel che sta dentro una vita normale. Non parliamo dei versamenti contributivi: senza abbastanza contributi non si va certo in pensione e più precario è il lavoro e meno sono i contributi: e così via.

Ma trovare un lavoro non è tutto: bisogna mantenerlo. Qui giocano contro il lavoratore non solo le normali vicende di un rapporto di lavoro subordinato, fatte di contrasti, di alti e bassi, di tensioni. Ci si mettono oggi anche la globalizzazione, i cinesi e la delocalizzazione (leggasi: il capitale va dove è maggiormente remunerato).

Talché ci si potrebbe trovare da un giorno all'altro senza lavoro per una scelta aziendale presa chissadachì chissadove.

Si chiede il lavoratore: facevo quel che dovevo tutti i giorni? Sì. L'azienda aveva mercato e vendeva i suoi beni con profitto? Sì. E allora percheccazzo hanno chiuso la mia fabbrica?! Semplice: altrove i profitti possono essere maggiori.

Dunque, ammesso e non concesso che il lavoro resti qui, il nostro lavoratore potrebbe correre il rischio di entrare a contatto (accidentalmente… per carità!) con qualche sostanza veramente schifosa e cancerogena che potrebbe (eh già…) abbassarne il tempo di vita e impedirgli il raggiungimento della pensione. Raggiunta non si sa come l'agognata meta, la pensione, il nostro lavoratore potrebbe sempre scoprire dopo di avere un tumore al polmone o alla vescica.

Ma non sarà stata colpa del lavoro: piuttosto, non vi pare che respiriamo un'aria veramente schifosa?

Simone Bisacca
















































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