Umanità Nova, numero 17 del 15 maggio 2005, Anno 85
Per che si levan le lance e gli scudi? Pei soldi.
Per che volteggian le spade e le frecce? Pei soldi.
E la gente si piglia ferite sul campo… Pei soldi!
Sino al punto che si fan tagliare le teste… Pei soldi!
(Nazir di Akbarabad)
Dall'inizio dell'anno assommano secondo le fonti ufficiali a 125 i
morti tra i militari Usa in Afganistan, gli ultimi caduti ad opera
della guerriglia risalgono al 9 maggio scorso. Il 4 maggio altri sei
appartenenti alle forze statunitensi erano rimasti feriti in scontri
nella provincia di Zabul.
Eppure, i media internazionali continuano ad ignorare il conflitto in Afganistan tra gli occupanti, le truppe governative e le diverse realtà combattenti, tutte grossolanamente definite dai media come "talebani", in realtà corrispondenti ai bracci armati dei diversi poteri clanici locali che storicamente contraddistinguono la complessa società afgana.
E che si tratti di una situazione di guerra lo conferma la decisione statunitense di costruire ben 9 nuove basi tattiche, in sei province (Helmand, Herat, Nimrouz, Balkh, Khost, Paktia), annunciata nello scorso dicembre durante la visita di Rumsfeld a Kabul.
Secondo l'intelligence Usa, infatti, Karzai non sarebbe in grado di mantenere il potere oltre giugno, a meno che gli Usa non aumentino l'attività di addestramento ed organizzazione dell'esercito afgano.
A parere - più che fondato - di alcuni osservatori, oltre per il contrasto della guerriglia, tale decisione rientrerebbe in un piano globale degli Usa che attraverso queste nuove basi in territorio afgano (in aggiunta a quelle già presenti in Uzbekistan e Kyrgyiztan e alle tre utilizzate in Pakistan con il consenso del presidente Musharraf) rafforzerà una presenza militare proiettabile soprattutto nella sua componente aerea, anche al di fuori dell'Afganistan che rimane un fondamentale tassello per il controllo dell'area eurasiatica, notoriamente ricca di fonti energetiche e in posizione strategica rispetto alle tre grandi potenze regionali Cina, India e Russia, ma anche verso Iran.
Si sa che nel febbraio scorso sono giunti a Kabul 196 istruttori militari che resteranno in Afganistan sino alla fine del 2006; obiettivo ufficiale del team di istruttori è velocizzare i programmi di addestramento delle forze armate afgane, allo scopo di creare un Esercito Nazionale Afgano di 70 mila effettivi ben addestrati entro la fine del 2006. Attualmente circa 20 mila uomini dell'Esercito Nazionale affiancano gli oltre 17.000 militari Usa e gli oltre 5.000 militari Nato.
Il 28 febbraio scorso, Karzai, con una mossa volta a portare nell'esercito governativo un notevole numero di miliziani dei vari signori della guerra, ha nominato a capo dello stato maggiore il famigerato generale uzbeko Dostum che dispone di almeno 30.000 combattenti pronti all'uso; non si conosce la contropartita offerta da Karzai, ma è senz'altro una mossa importante.
Gli Usa dispongono già di tre basi operative in Afganistan: il principale centro logistico per la coalizione a guida Usa è la base aerea di Bagram, a nord di Kabul; altri centri logistici chiave sono le basi aeree di Kandahar e di Shindand. Gli Usa stanno investendo qualcosa come 83 milioni di dollari per rafforzare le basi di Bagram e Kandahar.
All'interno di queste operazioni di larga portata, s'inserisce l'interventismo del governo italiano sempre più intenzionato a trasferire, secondo lo schema-Zapatero, le proprie truppe dall'Iraq all'Afganistan, grazie anche alla complicità del centro-sinistra e alla disattenzione dei movimenti contro la guerra.
Come è noto in Afganistan la partecipazione militare italiana, attualmente, è compresa con un ruolo di primo piano dentro la missione ISAF (International Security Assistance Force) a comando Nato, comprendente circa 8.000 militari provenienti da circa 37 nazioni. Dallo scorso febbraio, la guida del contingente multinazionale è affidata ad un generale turco; al termine del suo mandato, in agosto, passerà al Nato Rapid Deployable Corps con comando a Olgiate Olona (VA), sotto il comando del generale di corpo d'armata Mauro Del Vecchio.
D'altra parte, l'espansione della missione ISAF verso le regioni
occidentali dell'Afganistan, alla quale lo stato italiano contribuisce
da marzo con l'assunzione del comando del Team di Ricostruzione
Provinciale (PRT) di Herat e da maggio con il comando della base di
supporto logistico, da tempo conferma le ambizioni militari e le mire
economiche italiane.
Senza alcuna informazione e senza alcuna opposizione.
U. F.