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Umanità Nova, numero 18 del 22 maggio 2005, Anno 85

I forzati del lavoro
Milioni di schiavi all’alba del terzo millennio




La scorsa settimana l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) presentava un rapporto sul lavoro in condizioni di schiavitù. Più precisamente, si tratta di un rapporto sul lavoro forzato, cioè "ogni tipo di lavoro o servizio che si esige da un individuo sotto la minaccia di una pena [non solamente nel senso di sanzione penale] e per il quale l'individuo stesso non si offre volontariamente". All'interno di questa categoria si distinguono quindi la condizione di schiavitù vera e propria (controllo assoluto su di una persona o gruppo sociale) e la condizione di servitù. Tuttavia, schiavitù e servitù appaiono nello stesso documento come termini intercambiabili (es. la "servitù per debiti" viene detta anche "schiavitù per debiti").

LE CIFRE

Il rapporto dell'ILO afferma che attualmente esistono circa 12.300.00 persone che vivono in condizione di schiavitù. Di queste, 9,8 milioni sono sfruttate da privati, 2,4 milioni sono schiave in conseguenza al traffico di esseri umani e 2,5 milioni sono ridotte in schiavitù da parte dello stato o gruppi militari ribelli. Stando alle statistiche dell'ILO, la percentuale di schiavi ammonterebbe a due ogni mille abitanti su scala mondiale, e a quattro ogni mille considerando quella parte della popolazione globale che rientra nella categoria di forza lavoro. Ovviamente, queste cifre rappresentano la quantità minima ottenuta mediante le inchieste. Si deve anche tener conto del fatto che la ricerca in questo campo è molto difficile e presenta diverse lacune; inoltre si ricorderà che Kevin Bales, attivista di Anti-slavery International, nel suo "I nuovi schiavi" calcolava che gli schiavi nel mondo fossero circa 27 milioni, mentre altri studiosi parlavano di 200 milioni. Le variazioni dipendono anche dalla definizione che viene data alla parola schiavitù. In ogni caso, non c'è dubbio sul fatto che decine di milioni di persone al mondo si trovino, se non proprio in schiavitù, quanto meno in condizioni tali da poter essere assimilabili alla schiavitù. 

Proseguendo in base alle statistiche da poco rese note, si apprende che il 20% del lavoro forzato è imposto dallo stato e dalle forze armate, l'11% rientra nell'ambito del commercio sessuale, mentre il 64% include sfruttamento economico non a scopo sessuale imposto da privati. Infine, un 5% comprende tipi di lavoro che oscillano tra le diverse categorie prese in considerazione.

L'analisi per regioni geografiche fornisce i risultati che seguono. 

Asia e Pacifico: 9.490.00 schiavi, i due terzi dei quali vengono sfruttati nel settore privato. La maggior parte è impiegata nell'agricoltura e altre attività in condizioni di servitù per debiti, il 20% del lavoro forzato è imposto dallo stato e dalle forze armate (assai conosciuto è il caso particolarmente tragico di Myanmar, ex Birmania), il 10% rientra nell'ambito del commercio sessuale.
America Latina e Carabi: 1.320.000 schiavi. Il 75% impiegato nel settore privato, il 16% è ridotto in schiavitù per mano dello stato, mentre il 9% è si riferisce allo sfruttamento sessuale.
Africa subsahariana: 660.00 schiavi. L'80% nel settore privato, 11% al servizio dello stato e l'8% nel commercio del sesso.
Medio Oriente e africa del Nord: 260.00 schiavi. 88% settore privato, 10% commercio sessuale, 3% imposto dallo stato.

Per quel che riguarda i paesi con un'economia cosiddetta di transizione (210.00 schiavi) e i paesi industrializzati (360.000 schiavi) risulta predominante la riduzione in schiavitù per sfruttamento sessuale, rispettivamente 46 e 55% (con punte del 95 e 71%), mentre in riferimento allo sfruttamento economico non a scopo sessuale la percentuale si aggira intorno al 23%. Praticamente inesistente risulta essere la condizione di schiavitù imposta dallo stato nei paesi con un'economia di transizione, mentre nei paesi industrializzati la percentuale è inferiore al 5%. 

Da sottolineare che il totale delle percentuali non è sempre coerente, e questo è anche dovuto alla presenza di categorie non ben definibili e che oscillano tra un settore e l'altro.

Un'analisi a parte che prende in considerazione il sesso e l'età delle vittime del lavoro forzato mostra che il 44% degli schiavi comprende uomini e bambini, mentre il restante 56% include donne e bambine. Per quanto riguarda poi lo sfruttamento sessuale, le donne e le bambine rappresentano il 98% delle vittime. In generale, si calcola che i bambini rappresentano tra il 40 ed il 50% delle vittime.

Resta infine da segnalare che le persone che finiscono in schiavitù in conseguenza della tratta di esseri umani sono 2.450.000: il 43% sfruttate nel commercio del sesso, 32% per ragioni economiche estranee al commercio del sesso, e 25% in entrambi i settori.

CARATTERISTICHE DELLA SCHIAVITÙ CONTEMPORANEA

Nel mondo attuale sono ancora riscontrabili caratteristiche che ebbero la loro origine nella schiavitù di vecchio tipo per quel che riguarda la discriminazione etnica, di casta o tribale. Da questa prospettiva, le persone vittime della schiavitù sono discendenti di schiavi (Africa), membri di comunità indigene (America Latina, Nepal), appartenenti a caste giudicate inferiori (India). Tuttavia, una causa della schiavitù diffusa ovunque oggigiorno è la povertà. Il quadro che risulta dalla mescolanza delle cause - discriminazioni d'ogni genere (etnica, di casta, tribale, religiosa) e povertà - è molto complesso. Il flagello della contemporaneità è soprattutto la schiavitù per debiti diffusa a livello globale. La miseria della vita quotidiana, la migrazione in altri luoghi a scopi lavorativi, la necessità di disporre degli strumenti che possono garantire la sussistenza impongono l'indebitamento. Il meccanismo del debito è ovviamente allucinante, e il debito stesso diviene inestinguibile. Non solo: il debito è anche ereditario, per cui il creditore può disporre anche della vita dei familiari della persona che si è con lui indebitata. Alle deportazioni da un luogo all'altro, si affiancano situazioni che possono essere definite tranquillamente da "servi della gleba", orari estenuanti nei campi, nelle officine, nei laboratori e nelle fabbriche in condizioni di assoluta dipendenza e sotto la perpetua minaccia della violenza. Naturalmente, le persone che subiscono maggiormente queste condizioni sono le donne e le bambine, che sono obbligate a prestare i loro servizi, anche sessuali, pure nei casi in cui non sono loro stesse ad essere indebitate bensì i relativi mariti. A questo si devono aggiungere la schiavitù domestica al servizio di famiglie benestanti, nonché il lavoro forzato all'interno della stessa comunità in cui si vive o sotto il giogo di altri gruppi sociali. 

Accanto a tutto ciò, persiste anche la schiavitù imposta dallo stato e dalle forze militari. Si va dal dominio imposto su persone durante ed in seguito a conflitti armati, alle deportazioni di popolazione per svolgere lavori pubblici, alla leva forzata.

Interessante è evidenziare che i paesi ricchi, adottando una legislazione proibizionista verso i migranti, favoriscono la loro caduta in stato di schiavitù. Questo perché la clandestinità e l'irregolarità rendono i migranti assai ricattabili. Sono note le pratiche di sequestro dei documenti, minaccia di denuncia alle autorità, ecc. Nel ricco occidente i settori più a rischio risultano essere il commercio sessuale, l'edilizia e l'agricoltura.

Se si considera che dalla manodopera fornita dagli schiavi si ricavano annualmente profitti per 31.654 milioni di dollari (di cui la quota maggiore, 15.513 milioni, nei paesi industrializzati), non è difficile immaginare quanto faccia comodo la schiavitù contemporanea. Inutile dire, poi, che tutto il business del lavoro forzato si svolge in un clima di corruzione e complicità diffusa tra i privati, lo stato e le forze armate e di polizia.

Lo sradicamento definitivo della schiavitù può avvenire solo in presenza di un tipo di economia e di organizzazione sociale che ne eliminino completamente i presupposti. Questa non è retorica. E dispiace per chi continua sinceramente a fare appello al rispetto dei diritti dell'uomo e delle leggi internazionali, perché viene costantemente raggirato dall'ipocrisia di chi tiene in mano le redini del gioco.

Silvestro

















































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