Umanità Nova, numero 18 del 22 maggio 2005, Anno 85
Il mondo del lavoro è regolato da una serie di norme che sono di
fonte pattizia (contratti individuali e collettivi), nonché di
fonte legislativa, nazionale (leggi e decreti) e comunitaria,
quest'ultima prodotta da direttive e regolamenti approvati dagli organi
dell'Unione Europea.
In questi giorni il Parlamento europeo ha approvato una serie di emendamenti ad una proposta di direttiva elaborata dalla Commissione presieduta da Barroso che intende ridisegnare il quadro normativo in materia di orario di lavoro.
Le proposte della Commissione sono di introdurre il cosiddetto opt out, cioè la possibilità per il singolo lavoratore di rinunciare al tetto massimo di ore di lavoro giornaliere (l'istituto esiste in Gran Bretagna e molti altri paesi europei vorrebbero introdurlo); non considerare tutto periodo lavorativo quello di guardia (per medici, infermieri e comunque per chi svolge attività di attesa); calcolare le 48 ore massime settimanali sulla media annua.
Il Parlamento ha approvato gli emendamenti elaborati dal socialista spagnolo Cercas: l'opt out individuale potrà essere sperimentato per tre anni; viene introdotta la differenza tra guardie attive e guardie inattive (le ore in cui si dorme o comunque si riposa); le 48 ore massime settimanali sono calcolate sulla media di quattro mesi, ma accordi sindacali possono portare ad una media sui 12 mesi.
Va sottolineato che gli emendamenti dell'europarlamento non vincolano la Commissione che potrà assumere le sue determinazioni e approvare la direttiva così come vuole, salvo nuovi emendamenti parlamentari a questo punto approvati con un'ampia maggioranza. Ricordiamo poi che le direttive devono essere recepite dai singoli parlamenti nazionali attraverso apposite leggi, prima di essere applicate ai singoli rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Certo quindi la strada è ancora lunga, ma vale la pena dare una prima valutazione di quel che sta accadendo.
L'allargamento dell'Unione Europea ai paesi dell'Est sta facendo sì che l'ala più liberista della società e della classe politica della Vecchia Europa trovi alleati pronti a tutto nei paesi della Nuova Europa desiderosi di attrarre capitali, paesi che vedono male un'estensione delle garanzie per i lavoratori perché le identificano in un aumento dei costi.
È in corso quindi una sorta di dumping sociale per cui le società passate brutalmente dal socialismo reale al liberismo selvaggio fungono da modello e traino per il resto del continente. La cosa è particolarmente ironica (se non fosse drammatica), perché gli euroconvinti hanno sempre propagandato il fatto che l'Unione avrebbe alzato il tasso di tutela dei lavoratori, sia in materia di sicurezza che di trattamento generale. Si è detto: l'Unione porta regole là dove non ve ne sono. Il fatto è che le regole introdotte spesso e volentieri abbassano le garanzie e le tutele introdotte dai singoli parlamenti.
Ricordiamo però che se è vero che gli ordinamenti dei singoli paesi dell'Unione devono approvare leggi di recepimento delle direttive comunitarie, non è detto che i trattamenti peggiorativi vadano introdotti di peso, senza possibilità di deroghe e senza, nella sostanza salvare le garanzie del lavoratore.
Si vuole dire che l'Europa e la sua legislazione spesso e volentieri sono peggiorative rispetto singole legislazioni nazionali (tipo la nostra), che non è detto che si debba buttare alle ortiche la tutela dei lavoratori perché l'Europa lo vuole, e che di fatto si usa la legislazione UE come grimaldello per peggiorare la condizione dei lavoratori.
Il giochetto lo fanno sia i governi di sinistra che di destra: Europa è essere moderni, è il superstato da contrapporre a USA, Cina, tigri asiatiche (oggi un po' spelacchiate) e altre macroregioni economiche, Europa è il nostro futuro, di più, è il nostro destino.
Il problema è quello di sempre: la legislazione come specchietto per le allodole. Nessuno accetterebbe una compressione di un diritto acquisito, ma se ci si richiama ad una legislazione superiore più alta, si dice: "Vabbeh, non vogliamo essere europei…?".
Il problema è quello di sempre: se i lavoratori sono forti, impongono rapporti di forza a loro favore; se sono deboli, pezzo a pezzo vien tolta loro ogni garanzia.
Un fantasma si aggira per l'Europa, quello dell'Europa sociale: di là da venire, di là da costruire, dal basso: che quello è il nostro punto di vista e il nostro punto di partenza.
Simone Bisacca