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Umanità Nova, numero 19 del 29 maggio 2005, Anno 85

Caso Izzo e dintorni
La peggio gioventù




I commenti dei giornalisti sul recente duplice assassinio commesso da Angelo Izzo, rovesciando lo scandalismo attorno la presunta mitezza del sistema penitenziario italiano, hanno finito per esaltare la necessità del carcere, offrendo così ai politici più forcaioli l'ennesima occasione per invocare più severe misure punitive e opzioni ancora più liberticide.

L'evidente strumentale ambiguità delle inchieste e delle prese di posizioni su tale caso risulta confermata dalla generale rimozione dell'identità del gruppo di cui Izzo faceva parte e assieme al quale si rese responsabile la notte del 1° ottobre 1975 del "massacro del Circeo", costato la vita a Rosaria Lopez e che avrebbe segnato per il resto dell'esistenza Donatella Colasanti prima per le violenze subite nella villa degli orrori e, successivamente, nell'aula di tribunale dove si sentì chiedere persino se era "dedita al coito".

Non si trattava infatti di giovani sbandati qualsiasi.

Gianni Guido era iscritto al primo anno di Architettura e viveva in un elegante palazzo nel quartiere Nomentano, figlio di un alto dirigente di un istituto di credito. Angelo Izzo, iscritto alla facoltà di Medicina, figlio di un ingegnere edile, era conosciuto per la sua prepotenza e le teorie sulla divisione in classi dell'umanità: i dominanti, i poveri cristi, i pidocchiosi. Andrea Ghira, figlio di un costruttore edile, era un violento che aveva aderito alle formazioni squadriste di estrema destra che imperversavano davanti agli istituti superiori di Roma ed era già stato condannato per lesioni aggravate, rapina, ricettazione e violazione di domicilio; tutt'ora latitante, sicuramente ha potuto contare sulla rete di appoggio del nazifascismo internazionale.

Figli della borghesia romana, maniaci delle armi, noti per le idee e gli atteggiamenti fascisti oltre che sessisti, erano già stati protagonisti di numerosi stupri.

Eppure il loro identikit "antropologico" e la loro estrazione sociale, va sottolineato, specie per coloro anagraficamente lontani dal clima degli anni Settanta, non erano poi tanto diversi da quelli di una parte rilevante dell'estrema destra giovanile con la quale la sinistra extraparlamentare e gli anarchici dovevano fare i conti quasi quotidianamente, in termini anche di scontro fisico.

Soggetti simili, ad esempio, assassinarono impunemente a pistolettate il compagno Argada a Lamezia Terme nel '74 e il compagno Varalli a Milano nel '75.

A Roma li chiamavano "pariolini", mentre sui "sanbabilini" milanesi fu realizzato persino un film, ma un po' ovunque vi erano i replicanti di provincia. 

Nella città di chi scrive, alcuni aderenti all'estrema destra, tutti figli di imprenditori e alti militari, ben noti ai compagni per le loro aggressioni e la loro vicinanza al MSI, punirono la ex-fidanzata di uno di loro stuprandola con il palo di un ombrellone, mentre un altro girava in auto di notte minacciando con la pistola le prostitute. Tutti rampolli di famiglie bene che però, a differenza di Izzo, non ebbero mai problemi con la giustizia divenendo così rispettabili professionisti e persino affermati esponenti politici di quella destra che oggi si definisce postfascista.

Chi ancora parla degli anni Settanta soltanto in termini di opposti estremismi, liquidando l'antifascismo militante come pratica criminale e insensata, farebbe bene a riflettere su cosa aveva prodotto, a livello giovanile, la destra "per bene" di allora e di quale cultura fosse portatore il partito in cui Fini era dirigente nazionale del Fronte della Gioventù.

Anti


















































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