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Umanità Nova, numero 19 del 29 maggio 2005, Anno 85

Fronte del ponte
Gli affari del padrino, esperti corrotti, spreco di risorse




Alcune notizie sono spesso destinate a scivolar via tra le pagine dei quotidiani senza lasciar quasi traccia mentre dai Tg, della disinformazione televisiva, non vengono neppure prese in considerazione.
Fortunatamente, grazie a qualche giornalista non asservito e al lavoro dei comitati locali che si oppongono alle logiche del buon governo di turno, si può aprire qualche squarcio sugli scenari in cui operano i potentati politici ed economici.
In queste colonne il tentativo di riannodare alcuni dei fili che riguardano gli ultimi sviluppi della vicenda Ponte sullo stretto.

Don Vito e l'ingegnere

Del mostro d'acciaio e cemento si era già scritto (U.N. 34 del 2004), ma quali sono le novità?

Agli inizi di febbraio '05 sono stati eseguiti cinque mandati di arresto, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Roma, nei confronti di un'organizzazione mafiosa internazionale che aveva progettato di inserirsi negli appalti previsti per la costruzione del ponte. Tra le persone arrestate c'è il boss canadese Vito Rizzuto, considerato uno dei nuovi Padrini della mafia del XXI secolo, legato alla famiglia Cuntrera-Caruana specializzata nel traffico internazionale di stupefacenti, insieme a lui l'ing. Giuseppe Zappia, il broker Filippo Ranieri, il mediatore franco-arabo Hakim Hammoudi e il finanziere cingalese Sivalingam Sivabavanandan.

La biografia dell'ottantenne Zappia andrebbe approfondita ma qui mi limito a ricordare che l'aggancio sul suolo italico di "don Vito" aveva partecipato alla gara per il general contractor con un'offerta "kamikaze" esposta solo su tre fogli, tanto che il segretario particolare del ministro Enrico La Loggia, nonché assessore provinciale a Palermo di Forza Italia, Salvatore Glorioso, con cui aveva avuto un contatto preliminare, gli consigliava di fornire una documentazione più corposa.

In lizza per garantirsi il ruolo di general contractor (azienda capofila responsabile della realizzazione dell'opera che può subappaltare senza gare pubbliche i lavori ad altre ditte) sono rimasti tre concorrenti: Impregilo che è il primo gruppo italiano di ingegneria e general contracting nei settori costruzione e ambiente (nel novembre '04 coinvolta in un inchiesta che ipotizza le accuse di falso in bilancio, falsa fatturazione e false comunicazioni sociali), Astaldi e un consorzio austriaco-canadese, Strabag-Vinci.

Mafia e appalti

Ritornando a Zappia, si può supporre che in realtà la sua partecipazione alla gara fosse finalizzata alla possibilità di farsi conoscere per poi rientrare nella cordata vincitrice nella veste, prevista dalla legge, di "finanziatore internazionale" (fino al 60 per cento dell'importo), l'ingegnere aveva, infatti, già fatto sapere di avere 5 miliardi di euro pronti. Soldi pronti ad essere ripuliti nelle acque tra Villa San Giovanni e Messina? Vi lascio la risposta. 

Anche se il ministro Lunardi nell'agosto del 2001 dichiarava che: "Mafia e Camorra ci sono e dovremo convivere con questa realtà", da più parti si sosteneva che i lavori dell'opera, richiedendo altissima tecnologia e l'utilizzo di componenti prefabbricate in aree lontane dal luogo di realizzazione del ponte, non permettessero la facile intromissione delle organizzazioni criminali. 

In realtà non siamo più di fronte alla mafia che ha i propri referenti politici solo nelle istituzioni locali e nazionali, oggi la necessità di reinvestire in forma legale gli introiti delle attività criminali ha permesso l'infiltrazione fino ai vertici delle imprese economiche di peso internazionale. Comunque sia, non bisogna dimenticare che per questa "grande opera" si prevedono ingentissimi movimenti di terra, scavi e cave, insomma tipologie di lavoro su cui tradizionalmente la malavita lucra, ne credo che l'ndrangheta e cosa nostra si lasceranno sfuggire gli appalti per la sorveglianza dei cantieri, la fornitura del cemento e dell'acqua necessaria (solo per la produzione dei 500.000 metri cubi di calcestruzzo saranno utilizzati 75.000 metri cubi di acqua di buona qualità, di ciò saranno certamente felici i siciliani costretti da decenni a riempire i serbatoi azzurri sui tetti delle loro case.)

La fantasiosa Valutazione di Impatto Ambientale: esperti sotto inchiesta

Nel mese di febbraio Legambiente ha inviato alla Procura di Roma un esposto in cui sostiene che "lo studio d'impatto ambientale presentato dalla Società Ponte sullo Stretto è assolutamente carente e privo dei requisiti minimi documentali previsti dalla legge per consentire una completa valutazione dello stesso". Lo scorso 7 aprile la notizia ufficiale, la Procura apriva un secondo filone d'inchiesta e iscriveva nel registro degli indagati tre funzionari della Commissione speciale istituita dal Ministero dell'Ambiente con l'accusa di falso in atto pubblico e abuso d'ufficio. L'indagine, nello specifico riguarda l'attività del professor Alberto Fantini, coordinatore del Gruppo che istruisce l'intera pratica per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), del professor Giuseppe Mandaglio e dell'architetto Franco Luccichenti.

Gli esperti della Commissione, per rispettare l'ordine di non bocciare il progetto Ponte, si sono avventurati in una serie di affermazioni difficilmente giustificabili visto che gli impatti dell'opera sono di fatto chiarissimi e macroscopici.

Per non bloccare la procedura hanno trasformato gli elementi, che in una valutazione seria, avrebbero determinato lo stop al progetto, in prescrizioni, cioè una serie di raccomandazioni finalizzate ad approfondire gli studi per: le problematiche sismo-tettoniche, la tutela delle aree a delicato equilibrio ambientale, le falde sotterranee, il monitoraggio degli effetti su fauna stanziale e specie migratorie, il riuso dei materiali di scarico e la mitigazione del rumore e dell'illuminazione. Ricordiamo che il progetto ponte è la prima grande opera cui è applicata integralmente la procedura accelerata e semplificata di Valutazione d'impatto ambientale come previsto dal decreto 190/02. Una valutazione in cui, tra l'altro, non sono comprese le opere satellite come gli svincoli autostradali, le gallerie, i collegamenti stradali e ferroviari.

La commissione non ha solo negato le pesanti ed evidenti interferenze del progetto sui sistemi naturali di Sicilia e Calabria, ma ha anche negato il diritto all'accesso alle informazioni ai cittadini ed alle associazioni ambientaliste.

Anche durante la doppia manifestazione del 12 marzo a Reggio Calabria e Messina contro la costruzione del ponte sullo stretto si denunciava questa assoluta mancanza di trasparenza. 

Di fatto, l'unica cautela reale assunta dai membri della commissione VIA è stata quella di dichiarare che "il rispetto delle prescrizioni riportate va verificato prima dell'approvazione del progetto definitivo".

Non sono stati solo gli ambientalisti ad esprimere il loro "no al ponte", recentemente è uscita, da qualche "cartelletta", una relazione tecnico-urbanistica elaborata dal Comune di Messina per descrivere gli impatti sul territorio dei lavori di realizzazione del Ponte dello Stretto. Una relazione rimasta nei cassetti dei palazzi del potere, ignorata perfino dal Consiglio Comunale che avrebbe dovuto approvarla o respingerla, ma non ci dobbiamo stupire perché gli stessi tecnici del comune delineavano un quadro decisamente negativo sia per le conseguenze sul territorio, sia per la qualità della vita dei cittadini messinesi.

Uno spreco di risorse

Nel quadro finanziario allegato alla documentazione ufficiale, l'unica "esecutività", in base alla legge-obiettivo, è la progettazione, definitiva e poi esecutiva per una cifra di 452,6 milioni di euro cui vanno, aggiunti i 200 già spesi. Questo, prima del parere VIA del ministero dell'ambiente, che "prescrivendo" ulteriori indagini ed elaborazioni porterebbe il costo progettuale ad oltre 750 milioni di euro, mentre quello dell'opera complessiva salirebbe alla impressionante cifra di 10 miliardi di euro (20.000 miliardi di lire).
Il termine di presentazione delle offerte da parte dei tre concorrenti aveva come scadenza il 20 aprile ed entro giugno è prevista la scelta del general contractor proprio sulla base del progetto preliminare messo sotto inchiesta. In questa situazione il rischio di buttare altri soldi dalla finestra è più che evidente. 

Continuando a considerare gli aspetti economici è bene sottolineare che in base alla convenzione stipulata con la Società Stretto di Messina, le Ferrovie pagheranno un canone annuo per far passare i treni sul Ponte. La tariffa sarà di 100 milioni di euro il primo anno, poi andrà ulteriormente crescendo, fino a raggiungere, in trent'anni, la somma di circa 4 miliardi di euro. Ma non basta: nella convenzione è previsto che l'azienda ferroviaria italiana finanzi tutte le opere di collegamento, e che le risorse che attualmente il Ministero delle Infrastrutture fornisce per il servizio di traghettamento dei treni (38 milioni di euro l'anno) vengano trasferite alla Società Stretto di Messina.

Denari sottratti a possibili investimenti per l'adeguamento della rete ferroviaria di tutto il Sud, soldi che Trenitalia dovrà recuperare attraverso un incremento dei costi dei biglietti e tramite l'ulteriore "soccorso" dei fondi pubblici.

Tra Messina e Baghdad

Come curiosità aggiungo che il ministro per le Infrastrutture Renzo Lunardi, nel maggio del 2002 fa entrare nel consiglio d'amministrazione della Società per lo Stretto di Messina, il prof. Lino Cardarelli, lo stesso che il 16 gennaio 2004, viene "arruolato" dal consiglio dei ministri, previa relazione dei ministri Frattini e Lunardi, per assumere l'incarico di vice responsabile del Program management office, la struttura guidata a Baghdad dall'ammiraglio Nash e competente nella gestione dei contratti per la ricostruzione dell'Iraq... certo gli affari sono affari!!

Nella seconda metà degli anni '80, alla Società Stretto di Messina, già incaricata della progettazione dell'infrastruttura, il ministero della Difesa presentò un rapporto (denominato "Coefficiente D"), in cui venivano analizzati gli interventi necessari per garantire un eventuale utilizzo dell'infrastruttura per esigenze di tipo militare e per assicurare la "protezione" del manufatto in caso di crisi internazionale o di conflitto armato. Ancor prima delle Twin Towers la difesa del ponte apparve agli strateghi come uno dei problemi più complessi da affrontare. Il generale Gualtiero Corsini, in un suo intervento su una rivista specializzata delle forze armate, parlò di "grossi problemi di vulnerabilità del ponte", data la sua sovraesposizione "ad ogni tipo di attacco con navi, aerei o missili". Secondo il generale Corsini, il ponte sullo Stretto era destinato a diventare "punto sensibile di dimensione strategica probabilmente non comparabile con alcun altro obiettivo esistente in Italia". Questo significa che se mai il ponte verrà realizzato comporterà anche un ulteriore militarizzazione del territorio. 

Le vicende di questi ultimi mesi permettono di percepire gli "scricchiolii del ponte", i burattinai del sistema della grandi opere tenteranno di liquidare il tutto come un imprevisto incidente di percorso, a tutti gli altri il compito di assicurare qualche "spinta" per impedire questo disastro economico - ambientale.

MarTa

fonti: www.terrelibere.org/Noponte
I grandi affari del Padrino del Ponte sullo Stretto


















































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