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Umanità Nova, numero 19 del 29 maggio 2005, Anno 85

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Cagliari: 7 arresti per associazione sovversiva
Nel fascicolo d'indagini, che ha portato agli arresti domiciliari cinque compagni e due compagne tra Cagliari, Genova, Foggia e Roma, non c'è davvero nulla.  Talmente nulla che persino il giudice ha rigettato tre istanze di custodia cautelare e per i sette ha disposto i domiciliari, ritenendo il carcere "misura sproporzionata". Situazione imbarazzante, per un giudice.
Eppure la maxi operazione repressiva era annunciata da tempo, reclamizzata dalla stampa, fermamente voluta dal ministro Pisanu. Impossibile rinviare ancora. E così il piemme Paolo De Angelis ha messo insieme il meglio delle "lunghe e pazienti indagini"(che hanno portato a microfonare le case, le sedi, le auto e, persino, le piazze) e richiesto gli arresti. Per cosa, non è ben chiaro neppure a lui, visto che nel voluminoso fascicolo elenca una serie di fatti (dai volantini, alle scritte, i petardi, fino a un'auto dei carabinieri incendiata) e una serie di persone. Ma senza un elemento che colleghi gli uni alle altre. Si chiede quindi, il piemme della direzione antiterrorismo di Cagliari, quale sia la necessità di utilizzare uno strumento come il 270 bis, l'articolo voluto dal regime fascista per reprimere marxisti e anarchici (lo dice!). Conclude che la particolarità delle circostanze e l'assenza di uno strumento legislativo più adatto, impone di ricorrere al vecchio e sempre buono coperchio dell'associazione sovversiva. Segue la trascrizione di intercettazioni surreali. Una delle prove più schiaccianti delle cattive intenzioni di arrestati e indagati sarebbe la volontà di vedersi senza essere spiati. Le assemblee nelle piazze, fuori dalle sedi microfonate, ne sono la conferma. Se non hai niente da nascondere, perché mai vorresti sottrarti a un'innocua microspia, un'innocente videocamera o un modestissimo piantone che ti pedina anche quando vai a far la spesa?
Questo è il teorema di base dell'inquisitore De Angelis sulla volontà sovversiva degli indagati. L'associazione è data dai vincoli affettivi, amicali, politici. "Si conoscono, si vedono, parlano insieme", sintetizza un giornale locale, senza nessuna intenzione critica.
"L'operazione Frarìa" prende il nome dal circolo su cui maggiormente si sono concentrate le attenzioni repressive. Per poi diramarsi fino a disporre circa cinquanta perquisizioni che non hanno risparmiato neppure gli attori di teatro. Istigazione al panico e all'abiura. Perché non c'è altro modo di difendersi da una fumosa accusa di associazione sovversiva, se non quello di dichiarare di non essere dei sovversivi.
Questa ci sembra la reale intenzione di inquisitori che in diverse parti d'Italia si rendono protagonisti di operazioni repressive e carcerazioni per associazione sovversiva. Una pacificazione raggiunta attraverso la paura.
Noi ci auguriamo che chiunque abbia a cuore i propri margini di libertà si esprima e si esponga, in questo momento. Come anarchici ribadiamo la nostra volontà sovversiva e la nostra solidarietà al Circolo Frarìa, agli arrestati, agli indagati e perquisiti, a tutti i compagni e le compagne che subiscono privazioni della propria libertà, ad opera delle varie procure d'Italia.
Ci adoperiamo per una vasta e significativa mobilitazione.
Luisa e Massimo

Bologna: ancora repressione, un film già visto
La notizia sarà, ai più, nota: tre compagni del collettivo "passepartout" sono stati arrestati a Bologna con l'accusa di "associazione sovversiva" e "associazione a delinquere" per aver partecipato ad una occupazione di uno stabile inutilizzato (ma va?!?) in zona universitaria.
Il collettivo, per altro, ha dato vita, assieme a diversi altri collettivi ed individualità, ad altre occupazioni (soprattutto nel quartiere S. Donato, dove ci sono decine di occupazioni).
L'arresto disposto dal solito Pm che vuole fare carriera si inquadra nelle disposizioni dettate dal sindaco di Bologna, l'ex segretario generale della CGIL, Sergio Cofferati.
Il nostro vuole emulare il più noto Zangheri e non lascia passare giorno per invocare legalità, militarizzazione e repressione.
Quali le poste in gioco?
È ormai un gioco dell'oca quello di segnalare le gaffe di Cofferati. Dalla vicenda della metropolitana (persi i finanziamenti governativi per una variante) a quella del premio di produttività per i dipendenti comunali (che per ottenere il dovuto, 400 euro annuali, dovranno produrre di più), dai lauti onorari per i consulenti (1450 euro al giorno) alla messa in mora dei piani architettonici del comprensorio bolognese, dalle nomine delle società controllate dal comune agli sgomberi dei campi rom (il campo in questione era, per altro, in un terreno di proprietà dei rom stessi).
Di fronte ai conflitti sociali che si producono in città il nostro non ha trovato di meglio che invocare legalità: lo ha fatto contro le occupazioni di case, lo ha fatto contro i dipendenti comunali, lo ha fatto invitando chi denuncia il lavoro nero ad andare in questura.
Di fronte a tanta e tanto qualificata indicazione la magistratura bolognese non si è fatta sollecitare: ecco le denunce per le autoriduzioni, ecco gli arresti per le occupazioni.
Alla vigilia della manifestazione di protesta il nostro invocava rinforzi dai reparti della celere e faceva rinforzare la propria scorta personale: non ci sarebbe da meravigliarsi, a questo punto, che uno di questi giorni faccia arrivare i carri armati direttamente in piazza Maggiore.
La manifestazione in solidarietà con i compagni arrestati, per la loro liberazione, contro tutte le montature che a Bologna come a Lecce e Cagliari vogliono fermare la protesta sociale, si è svolta sabato 21 maggio ed ha visto la partecipazione di 5.000 compagne e compagni provenienti da diverse regioni del centro-nord.
In queste settimane prosegue la mobilitazione per la libertà dei compagni, mobilitazione che si accompagna a diverse iniziative di autoorganizzazione e di lotta: il 26 maggio ci sarà un'assemblea cittadina contro il lavoro nero, l'1 di giugno ci sarà un'accampata contro la guerra ed il militarismo in piazza Maggiore, il 4 giugno ci sarà un'altra grande manifestazione contro Cofferati e le sue politiche di governo antisociali.
Redb

Torino: rivolta al CPT
Sabato 21 maggio di fronte a quello che persino la gente al bar chiama "lager" si sono radunate un centinaio di persone: anarchici, autonomi, disobbedienti venuti a manifestare solidarietà ai reclusi del CPT di corso Brunelleschi in rivolta dal 18 maggio. La "vita" all'interno dei container di latta piazzati al centro di un'area cintata da filo spinato è da sempre molto dura in questa galera amministrativa gestita dalla Croce Rossa con metodi militari. I vari politici che si sono succeduti al governo della città dall'aprile del 1999 quando, in piena guerra per il Kosovo, il CPT venne aperto, si sono sempre vantati per il gran numero di espulsioni effettuate. È molto difficile entrare in questo carcere persino per avvocati e parlamentari: di solito le rivolte vengono represse prima che le notizie filtrino. Il 19 maggio, appena si è saputo quello che stava avvenendo all'interno del CPT, è stato convocato un presidio che si è svolto nel tardo pomeriggio. I manifestanti, circa un centinaio, si sono adunati di fronte al muro di cinta della galera e, mentre alcuni si arrampicavano per issare uno striscione, altri tentavano di aprire una breccia nel muro. La polizia in assetto antisommossa rispondeva caricando gli antirazzisti da cui partiva una fitta sassaiola. Seguiva un breve corteo al termine del quale veniva arrestato Giovanni del Collettivo Universitario autonomo e del Comitato AntiTav di Pianezza. Accusato di violenza e resistenza verrà trattenuto nel carcere delle Vallette sino al pomeriggio di sabato, quando, durante il presidio di fronte al CPT, giungerà la notizia della sua scarcerazione in attesa di processo.
Il 21 maggio la rivolta contro le espulsioni e le condizioni di vita nel lager durava ancora nonostante la dura repressione. I migranti prigionieri avevano bruciato materassi, distrutto suppellettili ed ingoiato pile e vetri nella notte tra il 18 e il 19 maggio: la polizia era intervenuta all'interno per soffocare la protesta disperata di chi rischia di essere rispedito ad un destino di fame, disperazione, spesso galera e repressione. Era inoltre iniziato uno sciopero della fame andato avanti sino a lunedì 23 maggio. Nella notte tra il 20 ed il 21 maggio le forze del disordine statale avevano tentato di effettuare 6 espulsioni: un ragazzo per evitare la deportazione si era tagliato l'addome con un vetro ed era stato ricoverato. La tensione sabato pomeriggio era ancora altissima. Poliziotti dell'antisommossa ed esponenti della Digos in buon numero presidiavano l'ingresso e il perimetro del CPT. Dal camion dei manifestanti si susseguivano interventi e musica a tutto volume mentre alcuni reclusi salivano sul tetto dei container agitando magliette e un improvvisato striscione fatto con le lenzuola di tessuto-carta in uso nel CPT: un ragazzo si tagliava con un vetro macchiando di sangue lo striscione. All'esterno partiva una battitura di ferri cui facevano eco dall'interno i migranti. Noi fuori agitavamo le bandiere rosse e nere, altri salutavano: i ragazzi sul tetto rispondevano a pugno chiuso, uno univa le mani nel segno della solidarietà. Una scarpa con legata la cartella clinica di un prigioniero, trattenuto nel CPT nonostante le gravi condizioni di salute, oltrepassava la doppia recinzione del CPT: un segno del modo in cui sono trattati lavoratori la cui sola colpa è l'essere privi dei documenti, perché nati nella parte sbagliata della terra. Fuori e dentro un solo grido: libertà, libertà.
Al termine del presidio, quando ce ne siamo tornati alle nostre case, lasciando quei ragazzi sul tetto, grande era la tristezza e la rabbia per non aver potuto fare di più, per non aver potuto abbattere le mura e le sbarre che ci dividevano da loro. Più forte la determinazione a lottare per la chiusura di tutte le galere, di tutti i CPT.
Mortisia


















































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