Umanità Nova, numero 19 del 29 maggio 2005, Anno 85
Il geografo anarchico Elisée Reclus diceva che "l'uomo è
la natura che prende coscienza di sé". Considerare seriamente
questa affermazione significa anche sostenere che noi, in quanto esseri
umani, abbiamo la capacità di comprendere il mondo che ci
circonda e di cui facciamo parte. E, ovviamente, che dovremmo agire di
conseguenza.
Oggi sembra persino banale ribadire che l'ecocidio equivale al suicidio
di massa. Allo stesso tempo, però, è altrettanto evidente
che la nostra civiltà non coesiste armoniosamente con la natura.
Ciononostante, non mi sembra si possa concludere che l'unica via
d'uscita sia il "ritorno alle origini". Ma questa è la strada
che ci propone l'"anarchismo verde".
L'anarchismo "verde" e la "civilizzazione"
Obiettivo dell'anarchismo verde è la demolizione della
"Civilizzazione". Con Civilizzazione si intende il processo, iniziato
circa 10.000 anni fa, caratterizzato dal dominio del pensiero simbolico
(linguaggio, numeri, arte, ecc. che separa l'essere umano dal contatto
diretto con la natura instaurando con essa un rapporto mediato), dal
percorso che portò le popolazioni a divenire sedentarie,
dall'addomesticamento della natura - e quindi dal dominio su di essa
(con il processo che culminò con l'agricoltura prima, e con
l'industrializzazione poi), dall'accumulazione delle risorse e dei
prodotti, dall'aumento demografico, dal patriarcato, dalla scienza,
dalla tecnologia e dalla divisione del lavoro. Conseguentemente, si
vuole ricreare una società costituita da gruppi di
cacciatori-raccoglitori in contatto diretto (non mediato) con la
natura, sostenendo che una tale condizione di vita cancellerebbe tutte
le piaghe sociali di cui sopra.
Detto questo, se è doveroso ricordare che, come precisa la
rivista Green Anarchy¹, "non tutti gli anarchici verdi si
definiscono specificamente 'Primitivisti'", è anche vero che
mirando alla distruzione completa della Civilizzazione e alla fine del
dominio-controllo degli esseri umani sulla vita (ogni forma di vita),
non ci si può coerentemente allontanare di molto dalla
concezione "specificamente" primitivista.
Sacralizzazione della natura e misticismo verde
Si possono fare due fondamentali osservazioni sulle analisi proposte dall'anarchismo verde.
Innanzitutto, è difficile non mettere in evidenza una sorta di
determinismo di fondo. Infatti, gli anarchici verdi sostengono che la
"cultura simbolica", l'abbandono del nomadismo, l'agricoltura,
l'industria e la tecnologia non possono non portare alla devastazione
della natura, alla gerarchia, all'oppressione, allo sfruttamento. Ora,
benché queste piaghe esistano, non si può comunque
affermare che siano la necessaria conseguenza delle "cause" citate.
Poi, nell'enfasi posta sul biocentrismo (che dovrebbe rimpiazzare
l'antropocentrismo) è facile notare una sacralizzazione della
natura, per cui gli esseri umani, non essendo in grado di capirla con i
mezzi attualmente usati, dovrebbero solamente adattarvisi entrando in
comunione passionale ed "istintiva" con essa.
Si può discutere quanto si vuole, ma se si assume come principio
fondamentale il fatto che la natura non può essere toccata, in
quanto ogni forma di controllo sulla vita/natura è una forma di
dominio incompatibile con l'anarchismo, e che, tra l'altro, il
controllo sulla vita/natura porta irrimediabilmente a tutte le nefaste
conseguenze di cui si è parlato, beh, allora il confronto per
chi non concorda con queste affermazioni sarebbe un po' difficoltoso.
Se da un lato è indubbiamente indispensabile mantenere
nell'agenda delle lotte sociali la lotta ecologista/ambientalista,
dall'altro è anche importante non cadere nel "misticismo verde".
Contro quest'ultima tendenza è essenziale rintracciare le cause
non solo economiche, bensì anche sociali e culturali che portano
alla distruzione ambientale e all'alienazione dell'essere umani
dall'ambiente in cui è inserito. A questo proposito, contro le
tesi dell'anarchismo verde, mi sembra lecito sostenere non soltanto, e
banalmente, che l'impatto negativo della tecnologia dipende dal modo in
cui la si usa, ma anche da quale tipo di approccio culturale si adotta
nello sviluppo e nell'uso della tecnologia. Ovviamente, il paradigma
culturale su cui si basa l'azione umana è fondamentale; ed
è la base culturale che dovrebbe fornire una consapevolezza
adeguata della inscindibile relazione che lega le persone all'ambiente
in cui vivono e agiscono quotidianamente. Non mi sembra sia necessario
"tornare alle origini" per risolvere questi problemi.
Eden primitivista e rivoluzione sociale
Tanto meno mi sembra necessario lottare per rifondare una
società di cacciatori-raccoglitori allo scopo di eliminare la
gerarchia, lo sfruttamento, l'oppressione, il dominio sui corpi e sulle
menti, ecc. Continuo invece ad essere convinto del fatto che
l'intelligenza e la conoscenza (posseduta ed acquisibile) possano far
fronte a queste piaghe attraverso rivoluzionarie trasformazioni
sociali. Ammesso e non concesso che in gruppi umani di
cacciatori-raccoglitori tutto il sistema di dominio contro il quale
lottiamo in quanto anarchici non emergerebbe in alcuna forma, penso
comunque che la questione di primaria importanza non stia nel cercare
di creare condizioni di vita che ci impediscano di "far danni",
bensì nel prendere coscienza delle condizioni in cui viviamo, di
cosa non funziona e di come potrebbe invece funzionare. E, oltre a
questo, nell'assunzione di responsabilità individuale e
collettiva allo scopo di creare e mantenere in vita società
libere e non alienate.
Il fatto che, nella storia della cosiddetta Civilizzazione, le cose non
siano andate com'era auspicabile che andassero non significa che non
potrebbero andare altrimenti, né significa che sia necessario
tornare ad un remoto passato.
A parte questo, gli anarchici verdi accusano gli eredi dell'"anarchismo
classico" di essere troppo chiusi in rigidi schemi trascinati di peso
dal passato al presente e di essere ancora troppo legati ad una cultura
"di sinistra" che, fra l'altro, è ancora afflitta dall'amore per
l'organizzazione, la quale è incompatibile con l'anarchismo.
Ora, al di là di queste accuse, è importante fare delle
riflessioni. Essendo convinto che l'anarchismo organizzato non sia
incompatibile con l'anarchismo, e neppure con la capacità di
rinnovamento continuo e la vivacità dei dibatti e delle analisi,
mi sembra comunque il caso di sottolineare che è desiderabile
non solo cercare di raggiungere i nostri obiettivi in coerenza con i
mezzi che utilizziamo, ma anche che i mezzi, oltre che coerenti, devono
essere pure efficaci. E l'efficacia dei mezzi dipende dalla
qualità e dalla vivacità del dibattito, dalle
capacità di rinnovare e approfondire costantemente le analisi
delle condizioni sociali in cui viviamo, nonché dalla costanza e
dall'incisività delle lotte. Queste esortazioni potrebbero
sembrare solamente vuota retorica, ma non tenere sempre in
considerazione questi fattori significa galoppare verso
l'appiattimento. Affinché le esortazioni non rimangano lettera
morta, e affinché non si cada nella vuota retorica per
nascondere la difficoltà nel fare autocritica, è
indispensabile riempire di senso gli auspici con la concretezza della
pratica quotidiana.
Erich Reise