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Umanità Nova, numero 19 del 29 maggio 2005, Anno 85

Un inferno per le donne
Il caso Cantoni riaccende i riflettori sull'Afganistan




La donna con il burqua che poneva la sua scheda elettorale nell'urna durante le elezioni presidenziali dello scorso anno ha fatto il giro del mondo.
Una immagine molto chiara della situazione in Afganistan.

In quel paese torturato la condizioni delle persone, e delle donne in particolare, non sono molto cambiate con l'avvento del regime di Karzai.

L'agenzia ONU sulla droga ed il crimine (Unodc) riconosce che nello scorso anno l'Afganistan ha fornito l'87% della produzione mondiale di oppiacei. Negli anni '70 il paese erano autosufficiente per la produzione di beni alimentari che in parte anche esportava. Poi decenni di guerra hanno costretto molti contadini ad abbandonare le proprie terre o a trasformarle nell'unica coltivazione "sostenuta": quella dell'oppio e, sempre secondo dati Unodc, nel 2003 il 53% del prodotto interno lordo del paese derivava dalla droga.

E per le donne la situazione è ancora peggiore: i talebani non hanno portato con sé le gabbie in cui le donne erano state rinchiuse sotto il loro regime, ma le hanno lasciate in eredità a chi è venuto dopo di loro.

Le delegazioni che tornano dall'Afganistan raccontano di come le donne "siano ancora oggetto di proprietà dell'uomo, come sia loro negato il diritto all'istruzione, al lavoro, alla cura, alla salute, imprigionate nel privato della casa, dove vivono in condizioni di servitù e subiscono violenze di ogni genere e sono costrette a coprirsi il volto e il corpo quando devono attraversare lo spazio pubblico dominato dal potere maschile".

"Uscendo nelle polverose e caotiche strade di Kabul, si resta colpiti dallo stridore dei contrasti. Kabul è un immenso cantiere, dovunque sorgono edifici moderni destinati a centri commerciali, uffici e ville sontuose protette da giardini e alti muri di cinta di proprietà dei signori della guerra, non ci sono tracce di edilizia popolare e i profughi, che stanno tornando, vagano senza dimora; molte donne coperte da burqa sporchi e consumati siedono per terra in mezzo al traffico, rischiando di essere investite mentre chiedono l'elemosina, spesso sono accompagnate da bambini magri, coi segni della leshmaniosi sul viso, che a loro volta chiedono l'elemosina.

La massiccia presenza degli occidentali ha innestato un processo inflattivo molto forte, gli affitti sono alle stelle e tutto ha costi molto elevati. Si approfondisce sempre di più il divario fra i pochi ricchi che possono permettersi ogni cosa e la folla di poveri che non possono permettersi quasi nulla" (da un resoconto di "Donne in nero - aprile 2005").

La brutale lapidazione di Amina, l'uccisione e lo stupro di tre donne che lavoravano in un'ONG nella provincia di Baghlan, le 40 donne che si sono date fuoco ad Herat lo scorso anno, i suicidi continui di donne in ogni parte del paese e, da ultimo il rapimento della volontaria Clementina Cantoni, ci dipingono con chiarezza lo scenario che si profila in quella nazione. 

Da un lato i signori della guerra e dell'oppio, la violenza, la miseria, l'oppressione di genere.

Dall'altra donne che, pur nella difficilissima situazione, tentano di costruire la pace in una relazione di ascolto e di aiuto.

Ancora una volta il nostro ricco occidente riesce ad ignorare tutto ciò, come se non lo riguardasse minimamente. Ma per noi è chiaro da quale parte dobbiamo stare.

R. P.


















































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