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Umanità Nova, numero 20 del 5 giugno 2005, Anno 85

I ribelli del nord ovest
Da Torino alla Val Susa in lotta per la vita e la libertà contro il TAV, le deportazioni, i CPT, gli assassini, la repressione




Cosa succede in città? La temperatura sta salendo e non solo quella atmosferica. Siamo alle porte dell'estate e quindi è normale che faccia caldo. Meno normale è tutto il resto che sta avvenendo a Torino in questo ultimo periodo. Torino ha la febbre: e la temperatura sale.

Torino e le cosiddette valli olimpiche, soprattutto la Val di Susa, sono al centro di due imponenti business edilizi: le Olimpiadi invernali del 2006 e il Treno ad Alta Velocità (TAV). In occasione delle Olimpiadi sono stati varati non solo progetti direttamente legati alle gare, ma è stata ridisegnata l'intera città. Chiaramente si è dovuto pensare a cosa fare dopo i giochi di vaste aree adibite a villaggio olimpico o cittadella dell'informazione per televisioni e giornalisti. Ma è in costruzione la prima linea della metropolitana e una seconda è in progetto; si è colta l'occasione per ristrutturare e recuperare vecchie strutture; ovunque si aprono cantieri legati alle olimpiadi.

Non solo, però. Torino sta subendo un vero e proprio boom edilizio anche nel settore abitativo, con migliaia di metri cubi realizzati (circostanza comune in un periodo di scarso appeal dell'investimento in borsa). E infine, da anni sono in corso i lavori del nuovo passante ferroviario, collegati alla realizzazione della linea del TAV, con completo interramento del percorso cittadino della ferrovia e di una importante stazione.

Spostandosi in Val di Susa, possiamo constatare che vuoi per i cantieri olimpici, vuoi per i futuri cantieri del TAV, la già antropizzatissima montagna della Val Susa è sotto attacco e rischia il collasso ambientale.

Gli interessi e i soldi in gioco sono, come è facile immaginare, di proporzioni gigantesche. Interessi e soldi che piovono su un tessuto produttivo tradizionale allo stremo. La crisi della FIAT e dell'indotto a lei legato arriverà all'epilogo con la chiusura dello storico stabilimento di Mirafiori presumibilmente dopo il febbraio 2006, quando appunto si svolgeranno le Olimpiadi invernali. Intanto gli ultimi avanzi di quella che fu la Silicon Valley italiana, la zona di Ivrea dove nacque e prosperò l'Olivetti, chiudono i battenti a causa di fallimenti o scelte deliberate di trasferire all'estero le produzioni. Torino e il Piemonte hanno perso un ruolo centrale sia nell'industria manifatturiera tradizionale che nelle nuove tecnologie legate all'informatica e alle telecomunicazioni (ricordiamo di passaggio che Torino aveva anche un ruolo importante per Telecom sia nel campo della ricerca che per l'attività amministrativa, perse a favore di Milano e altre sedi).

È quindi in atto un gigantesco ridisegno del tessuto produttivo e urbano del territorio, destinato a trasformarsi, in teoria, in polo di eccellenza della ricerca (soprattutto medica), dell'università e della cultura. Appunto: in teoria. Perché in pratica l'unica cosa certa sono le piaghe aperte in città e nelle valli, piaghe in cui viene quotidianamente colato nuovo cemento. L'unica cosa certa è l'impoverimento di larghi strati di popolazione che hanno perso la stabilità reddituale per la chiusura della loro fabbrica o che non l'hanno mai avuta, pur lavorando da anni nella giostra del precariato. La forbice sociale si sta allargando di giorno in giorno, complici anche le politiche che programmaticamente hanno premiato chi ricco era già e così lo è diventato di più.

Il processo in atto è stato gestito dalla classe politica in modo decisamente bipartisan, fino a che la Regione è stata della destra (per ben due mandati); ora l'Ulivo governa Torino città, la sua provincia e la Regione. Al Toroc, il comitato che si occupa dell'organizzazione dei giochi olimpici, è stato inviato da Roma un uomo di fiducia del Governo dopo che il buco di bilancio ha manifestato proporzioni di circa 200 milioni di euro. Ma in buona sostanza si può dire che la pace (politica) regna sotto la Mole. Così come di fatto la pace sociale, giacché la crisi FIAT con annessi e connessi viene gestita senza particolari scossoni.

A movimentare l'ambiente da qualche mese, però, ci han pensato i migranti: da un lato perché durante controlli di routine ne sono morti almeno quattro in pochissimi mesi (caduti dai tetti o affogati nel Po mentre cercano di fuggire, nonché uccisi da un colpo partito accidentalmente dalla pistola di un poliziotto); dall'altro rivoltandosi a ripetizione nel Cpt di C.so Brunelleschi, il locale lager voluto come gli altri dalla legge Turco-Napolitano-Bossi-Fini per i migranti irregolari in attesa di espulsione. Dopo l'ultimo morto ci sono state manifestazioni spontanee immediate e poi un corteo organizzato per chiedere soprattutto giustizia. In questo clima, c'è chi ha pensato di mandare una lettera esplosiva ai vigili urbani del quartiere dove è più forte la presenza di immigrati, San Salvario, e dove una ragazza era morta cadendo dal tetto qualche tempo fa per sfuggire proprio a controlli di vigili e polizia. Il botto torinese, assieme a qualche altro sparso per la penisola, si è fatto sentire soprattutto sui media ed ha avallato la campagna di criminalizzazione delle lotte sociali in atto. Ricordiamo che ormai non si contano i procedimenti penali in cui sono stati rispolverati i reati associativi (art. 270 c.p. associazione sovversiva, art. 270bis c.p. associazione a fini di eversione dell'ordine democratico) con il loro carico pesantissimo di pene legittimanti arresti e custodia cautelare, fatti piovere su chi organizza occupazioni di case, denuncia l'impoverimento dilagante, lotta contro i Cpt a fianco dei migranti, comunque si impegna nelle lotte sociali contro il modello di sviluppo capitalistico. Il valore intimidatorio dell'uso del 270 e del 270bis è palese. Come sempre i massmedia hanno amplificato i procedimenti penali in corso, attizzando la paura che nasce dall'insicurezza in primo luogo economica. Giacché il meccanismo del capro espiatorio è sempre all'opera e il potere ha bisogno di criminalizzare gli avversari, ecco finire nel mirino migranti, antirazzisti e sopratutto anarchici. Da tempo, tornando al locale, è in atto una strisciante campagna tesa a criminalizzare la lotta contro il TAV: articoli di giornale qua e là evocano chissà quali sfracelli legati alle lotte popolari contro la devastazione della Valsusa. E i botti, evocati da giornali e ministro dell'interno, puntuali sono arrivati per posta. Non c'è che dire: bel tempismo. A chi giova assecondare le voglie repressive di un ministro dell'interno che persino Amnesty International ha messo sotto accusa per le deportazioni di massa di migranti da Lampedusa alla Libia? A chi giova facilitare la repressione delle lotte sociali in difesa di migranti e territorio collegandole a misteriosi bombaroli postali?

In una situazione di grande trasformazione urbana ed economica come quella descritta, colpisce che la risposta alla presenza dei migranti sia così violenta. Le morti non sono accidentali per il semplice fatto che sono state create le condizioni perché avvenissero. Cosa può portare a fuggire scalzi su un tetto bagnato o a nascondersi su un cornicione o buttarsi in un fiume? Cosa pervicacemente spinge a rischiare la vita per restare a Torino, in Italia? E perché chi cerca solo di vivere meglio è trattato come un criminale? Il fatto è che il doppio regime giuridico per noi e per loro, l'annullamento di diritti fondamentali per gli extracomunitari, la repressione feroce, le deportazioni in massa, sono solo esperimenti sociali. Nella strategia del controllo sociale il migrante è un ottimo test per provare la resistenza della società all'imposizione di limitazioni dei diritti che oggi vengono accettate per altri ma che, diventate normali, potranno essere allargate ad altre fette di popolazione e potenzialmente a tutti i cittadini.

Cittadini che, ad esempio, in Val di Susa proprio la TAV non la vogliono e compatti da tempo protestano. Ora dovrebbero iniziare i lavori di un mostruoso traforo di oltre cinquanta chilometri che avrà un impatto ambientale devastante. I valsusini non ci stanno e si preparano a difendere il loro territorio, la loro salute, il loro ambiente.
Forse non lo sanno, il valsusino e il migrante, che il loro nemico è lo stesso, ha molte facce, ma una sola sostanza e si chiama sfruttamento: dell'uomo, della natura, della vita. Il valsusino e il migrante vorrebbero solo vivere tranquilli, sbarcare il lunario, che vivere è già abbastanza un casino. Macchè… Destino paradossale comune: al valsusino devastano il territorio e i devastatori vogliono cacciarlo dalla propria terra; il migrante è venuto qui per trovare una vita migliore e viene cacciato con la forza, se non ucciso. Insomma, questa terra, questo territorio, Torino e le sue Valli di chi sono? Di chi ci abita (indigeno o migrante) o di chi vuol solo sfruttare uomini e territorio, riempiendosi le tasche ieri come oggi, spostando alla bisogna case e abitanti, pretendendo di decidere sulla vita altrui, sul come dove si può vivere, alzando barriere, costruendo galere, sventrando montagne? Oggi siamo tutti migranti valsusini.

Simone Bisacca



















































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