Umanità Nova, numero 20 del 5 giugno 2005, Anno 85
In Italia non si governa contro la chiesa cattolica. Non si governa contro le posizioni di Ratzinger e del Magistero bimillenario di cui esso è interprete rigoroso.
Di questo "assioma" sono ben consapevoli coloro che, da destra come da sinistra, si mostrano attenti a non turbare le coscienze della CEI e a non prendere posizioni che possano urtare più di tanto le sensibilità clericali che si annidano nelle due maggiori coalizioni politiche.
Il numero odierno (lunedì 30 maggio) del Giornale, il quotidiano diretto da Belpietro, stigmatizza la "parabola" di Nichi Vendola, neo governatore della Puglia, il quale, immemore delle precedenti polemiche con l'allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede in materia di diritti degli omosessuali, pare sia stato rapito dal discorso "molto ispirato" che Benedetto XVI ha tenuto a Bari, in occasione del congresso eucaristico.
D'altro canto, ma in maniera ben poco autocritica, lo stesso
quotidiano enfatizza una tirata del pontefice contro il consumismo,
cioè contro quello stile di politica economica di derivazione
statunitense cui la linea editoriale del "Giornale" fa deciso
riferimento. Impossibile trovare, nell'articolo che commenta l'omelia
del papa, anche solo una punta di dissenso da parte di chi fa della
possibilità di conquista di nuovi mercati la propria ragione
ideologica. L'ipocrisia dei baciapile è tendenzialmente
bipartisan.
Democrazia Cristiana: ovvero come conciliare le ragioni della chiesa con quelle dell'impero
Il mondo liberale aveva già cucito il proprio storico strappo con la chiesa nel 1929, con il concordato tra chiesa e stato, e nel corso di questi ultimi settantacinque anni è riuscito a conciliare le ragioni della modernità laica (la cultura dei consumi e dello spettacolo) con le chiusure antimoderniste della chiesa che conta. Artefice di questo miracolo di ingegneria politica una classe dirigente che ha concesso spazi di intervento alla chiesa nelle scuole, nelle televisioni, nella società, in cambio della possibilità di americanizzare la società italiana, improntandola ad una cultura materialistica ed edonistica che è l'unico reale prodotto, l'unico oggetto partorito dall'ideologia liberale.
Alla chiesa è stato lasciato anche il compito, piuttosto innocuo, di criticare quelle derive consumistiche figlie naturali e legittime dell'alleanza tra clero e capitale. Dal dopoguerra in poi questa abitudine al compromesso, e la finzione clericale che portava gli interpreti del magistero cattolico a criticare a parole prassi di controllo sociale che appoggiavano nei fatti, si è sintetizzata nella costruzione della Democrazia Cristiana, che è stata uno spazio concreto di incontro tra le istanze reazionarie della chiesa e le necessità imprenditoriali che davano vita a processi di industrializzazione selvaggia.
Il percorso intrapreso dal padronato italiano ha portato masse di contadini a lasciare le campagne per popolare gli interland delle grandi città del Nord e a dar vita ad un aumento della produzione e dei consumi che, nel decennio a cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta, ha profondamente cambiato stili di vita e culture. In particolare è cambiato (fin quasi a scomparire) il target sociale cui la chiesa cattolica faceva riferimento, la famiglia patriarcale di estrazione contadina, all'interno della quale le tradizioni cattoliche sopravvivevano e si tramandavano attraverso ritualità che la (lenta) vita dei campi permetteva.
L'improvviso sorgere dei quartieri operai, conseguenza della massiccia immigrazione dal Sud, e la disgregazione della famiglia contadina hanno cambiato le modalità di intervento cattolico nella società italiana (per la quale la fede è diventata sempre più un rifugio individuale, piuttosto che una dimensione olistica necessaria alla costruzione dell'io e del mondo del credente), nel momento in cui le istanze socialiste si radicavano nei sobborghi industriali, attecchendo proprio tra coloro che la chiesa aveva lasciato nelle mani del padronato italiano.
Di fronte ad un processo di indebolimento del controllo sulle grandi masse lavoratrici, la chiesa cattolica ha trovato, con la Democrazia Cristiana, la possibilità di mantenere un contatto con il ceto popolare attraverso una politica degli ammortizzatori sociali che continuava, in forma moderna e politicamente programmabile, la strategia dell'assistenza dei bisognosi che, dal medioevo in poi, aveva caratterizzato l'intervento pubblico e il radicamento sociale del cattolicesimo.
La storia del controllo sociale e dell'alleanza tra stato e chiesa, necessaria al controllo stesso, è quindi storia della costruzione di un'ideologia che cercava una difficile sintesi tra populismo cattolico e sfruttamento capitalistico delle "risorse umane". L'ipocrisia di stato e chiesa sta tutta in questo tentativo di far apparire moralmente legittimo, umanitario e addirittura cristiano, lo sfruttamento della classe lavoratrice.
Le ideologie, però, per poter condizionare le masse,
abbisognano sempre di un'organizzazione politico-sociale che ne
tramandi i dettami attraverso un sapiente uso di mezzi di
comunicazione, politiche economiche e strategie repressive. La fine
della Democrazia Cristiana, dunque, ha creato un vuoto che ha richiesto
sforzi di rappresentazione e costruzione di un'alternativa politica che
continuasse a favorire l'incontro tra chiesa e stato.
I post democristiani
Gli esperimenti politici che hanno seguito la scomparsa dell'ameba democristiana si sono sviluppati sia nella casa delle libertà che nel centro-sinistra. Entrambi gli schieramenti, infatti, studiano modalità di relazione tra cattolici e liberali, ma sicuramente la versione più originale, e che meriterebbe un approfondimento maggiore, è quella portata avanti dalla fondazione Liberal, nata a Roma nel 1995 ad opera di Ferdinando Adornato, ed impegnata a favorire il dialogo tra laici e cattolici. Nei fatti la fondazione cerca di dare una base culturale ai laici che si fingono cattolici e ai cattolici che si fingono laici. L'esperimento, però, si rivela forte e gravido di conseguenze culturali e politiche. Questa fondazione, infatti, ha carattere di laboratorio di ricerca. Ricerca di una via per conciliare le ragioni della chiesa con quelle dell'impero. Di questa ennesima santa alleanza sia la chiesa che il potere laico hanno estremamente bisogno. Ne ha bisogno l'impero, cioè il progetto politico della destra americana e dei sui piccoli epigoni italiani, i quali hanno messo in piedi un mostro senz'anima, senza coesione sociale, cui la chiesa dovrà assicurare legittimità morale, spessore esistenziale, "approvazione divina". Ne ha bisogno la chiesa, che da sempre necessita del braccio secolare per sconfiggere i nemici (preventivamente creati alla bisogna: streghe eugenetiche e mussulmani terroristi sono quelli che oggi mantengono teso il filo rosso della tradizione repressiva cristiana, da centinaia d'anni impegnata contro "femmine e saraceni").
Il 10 novembre del 2001 la Fondazione Liberal aderì all'Usa-day promosso dal Foglio di Ferrara, lo stesso giornalista che oggi pubblica un articolo che si intitola: contro le donne, nuove sacerdotesse eugenetiche, e che fa proprie tutte le battaglie oscurantiste della chiesa cattolica, lanciandosi in veri e propri linciaggi contro tutti quegli intellettuali che si azzardino a dire qualcosa di veramente liberale. L'Usa-day è stato un primo tentativo di trasformare in atto politico, in presenza di piazza, lo sforzo che i "teo-lib" italiani (versione nostrana dei neo-con americani) stavano da tempo producendo a livello culturale.
Gli itinerari e le nuove strategie del potere post-democristiano, di cui i teo-lib vorrebbero essere interpreti e ispiratori, cominciano a delinearsi con sempre più chiarezza: appoggio incondizionato al capitalismo post-fordista, nella sua versione americana; intreccio tra stato e chiesa in funzione sempre più antiliberale; attacco feroce (soprattutto tramite il Foglio di Ferrara) contro tutti quei liberali che non accettano di piegarsi ai dettami della curia romana e, di conseguenza, si rifiutano di svendere il patrimonio più autentico del proprio pensiero; creazione di una classe dirigente "colta", che coordini questo progetto attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione e la costruzione di fondazioni che approfondiscano le questioni che riguardano la linea politica e culturale da tenere.
I teo-lib vedono nel prossimo referendum sulla fecondazione assistita un nuovo banco di prova della validità della propria linea politica liberal-cattolica, l'ennesimo tentativo di trasformare in atto politico il proprio fermento intellettuale. Il tutto a spese di quella libertà di pensiero che doveva essere il loro patrimonio più prezioso.
Paolo Iervese