Umanità Nova, numero 21 del 12 giugno 2005, Anno 85
Capitava spesso, nei decenni passati, quando il 95% degli italiani andava alle urne, di venire denunciati da solerti tutori dell'ordine, per propaganda astensionista. Eravamo quasi i soli, allora, a denunciare la "truffa elettorale"; i soli, se si escludono alcuni piccoli partiti bordighisti o trotzkisti, a sostenere le ragioni dell'astensionismo attivo, dell'impegno diretto e non delegato, dell'autogestione in prima persona dei propri bisogni e dei propri diritti. E questa forte corrispondenza fra astensionismo e rifiuto della delega da una parte, e azione diretta dall'altra, faceva del nostro disertare le urne un pericoloso precedente, un cattivo esempio da controllare e reprimere.
Proprio per questo, per non cadere inutilmente nelle grinfie della
legge - continuando però ad esprimere con chiarezza le nostre
indicazioni di lotta - ci si guardava bene dallo scrivere sui manifesti
l'esplicito invito a "non votare" e basta. Con più efficacia e
più costrutto si argomentavano tutte le buone ragioni
dell'opzione astensionista e nel testo compariva regolarmente, ad
esempio, un "… ecco perché gli anarchici ritengono che NON
VOTARE sia…" ecc. ecc., con quel "non votare" a caratteri cubitali. Si
spiegavano i motivi, si invitava palesemente a non votare, e il solerte
e attento funzionario della questura si trovava, poveretto, con le mani
legate. Anche se poi, come spesso capitava, subito dopo la tornata
elettorale convocava gli anarchici conosciuti nel suo ufficio, per
farsi raccontare come mai non fossero andati a fare il loro "dovere".
La legge non avrebbe consentito questo abuso di potere, ma proprio
perché si trattava di un abuso… se ne abusava abbondantemente.
Comunque, i famosi "anarchici conosciuti" o non si prestavano
all'arbitrio e non si presentavano, oppure si divertivano ad andare a
esporre le teorie sull'azione diretta e sul rifiuto della delega al
poliziotto di turno. Il quale, in buon conto, pensando di vendicarsi ma
facendo così solo una porcheria, imprimeva un lapidario "non ha
votato" nelle note personali dell'anarchico, ben sapendo che in un
concorso per il pubblico impiego o in un colloquio per un'assunzione,
quel "non ha votato" aveva certamente il suo peso.
Non fa male ricordare ai più giovani che poteva succedere anche questo a chi propagandava e praticava l'astensionismo.
Ci si chiederà il perché di un cappello così
lungo. Ma perché, evidentemente, oggi il mondo gira alla
rovescia. E non credo, anche se lo avrei preferito, per merito della
nostra propaganda astensionista. Si moltiplicano infatti, in questi
giorni, gli appelli all'astensione provenienti da più parti,
motivati come "dovere morale", come "responsabilità etica", come
"legittimità politica", anche se così facendo si ignora o
boicotta la regola fondamentale della democrazia, ovvero la cosiddetta
partecipazione del cittadino. Quella stessa regola, insomma, che, nelle
altre occasioni, riempie la bocca di quegli ineffabili signori che ora
lanciano questi paradossali appelli: i vertici del potere costituito,
le più alte cariche istituzionali, i massimi responsabili di
partiti di governo e non, i rappresentanti eletti dal popolo (in quel
caso astenersi non stava bene), i maitres à penser della scienza
e della cultura, tutti imbeccati e comandati dalla autorevolissima
opinione del clero, mai come in questa occasione unito e concorde nel
"difendere i valori della vita". Insomma una sgangherata ammucchiata di
eterogenei personaggi, molti dei quali hanno fondato la loro personale
legittimità proprio sul consenso di chi ancora si ostina a
concedere la delega senza astenersi.
Davvero un bel paradosso questi astensionisti… delegati!
Certo che si potrebbero fare alcune obiezioni. Ad esempio, che astenersi a un referendum (ricordate l'invito di Craxi ad andare al mare e come è andata a finire?) non ha la stessa valenza di entrare in un seggio alle elezioni politiche; oppure che ciascuno ha il diritto di esprimere le proprie (ma sono proprio le proprie?) opinioni anche se queste collidono con il ruolo che si ricopre.
Premesso che non saremo certo noi a stigmatizzare l'astensionismo, vediamo però che, ad obiettare a queste obiezioni, sono proprio quelle leggi della Repubblica, alle quali si richiamano in continuazione gli astensionisti di oggi. L'art. 98 del testo unico della legge elettorale recita, infatti, che "chiunque sia investito di un potere, di un servizio o di una funzione pubblica, nonché ministro di qualsiasi culto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni se induce gli elettori all'astensione" e l' art. 51 della legge sui referendum "estende la sanzione prevista" anche in caso di referendum. A significare la volontà del legislatore (cioè delle Camere) di conferire la medesima valenza istituzionale a elezioni e referendum, entrambi fondamentali per il buon funzionamento del consorzio civile.
A questo punto, visto che parliamo di preti, vescovi, cardinali, presidenti della camere, ministri, sottosegretari, deputati, senatori e via andare, non può non sorgere spontanea la più banale e immediata delle domande. Come mai, fra tutti quei magistrati così solerti nel reprimere il minimo gesto di dissenso del comune cittadino, non se ne trova uno che si preoccupi di far rispettare anche questa legge?
A pensare male, si potrebbe ipotizzare una sudditanza al magistero della chiesa; oppure la consapevolezza che le leggi si fanno rispettare solo quando servono e sono utili al potere; o ancora, la condivisione delle motivazioni clericali; o, per finire, la sacrosanta paura che andare contro la chiesa sia un rischio troppo grosso. Oppure… oppure….
Ma poiché non possiamo credere che il pilastro dell'indipendenza della magistratura possa rivelarsi così fragile, preferiamo pensare che i magistrati si "astengono" dal prendere i dovuti provvedimenti solo perché, con tutte le cose che hanno da fare, si sono momentaneamente distratti.
Capita!
Massimo Ortalli