Umanità Nova, numero 23 del 26 giugno 2005, Anno 85
Il G7 dei Ministri del tesoro preliminare al prossimo G8 scozzese ha
strombazzato a più riprese la cancellazione del debito estero
dei paesi più poveri del pianeta, presentando la misura come la
prima di una serie di programmi di riduzione della povertà e di
integrazione equa nel globo di paesi finora esclusi. A cinque anni dal
Jubilee Movement delle ong e della società civile internazionale
e dal Millennium Program delle Nazioni Unite, la cancellazione del
debito rappresenta una inversione di marcia da parte dei paesi ricchi e
potenti nei riguardi di nazioni misere e più sfortunate, anche
se in taluni casi ricche di materie prime.
Un'inversione di marcia?
È interessante vedere meglio la portata e l'articolato di tale iniziativa.
A) Per la prima volta, il G7 ha deciso di cancellare - e non di ridurre
– il 100% del debito estero che alcuni paesi poveri avevano verso
creditori multilaterali quali FMI (Fondo Monetario Internazionale),
Word bank e Fondo per lo Sviluppo Africano (ADF).
B) Rientrano in questa misura, in prima istanza, 18 tra i 38 paesi
più poveri in assoluto (gli africani Benin, Burkina Faso,
Etiopia, Ghana, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Niger, Ruanda,
Senegal, Tanzania, Uganda e Zambia, nonché i centroamericani
Guyana, Honduras, Nicaragua e infine la Bolivia latinoamericana) per un
totale di 40 mld $ cancellati. A questi paesi, seguiranno gli altri 20
in due tranche di 9 e 11: rispettivamente, prima Camerun, Ciad, Rep.
Dem. Congo, Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Malawi, Sao-Tomé e
Sierra Leone; poi Burundi, Rep. Centroafricana, Comore, Congo
Brazzaville, Costa d'Avorio, Laos, Liberia, Myanmar, Somalia, Sudan e
Togo.
C) La selezione articolata nasce dalle performance che tali paesi hanno
ottenuto implementando i programmi dei creditori multilaterali
nell'ambito dell'Iniziativa rivolta verso i paesi HIPC (High Indebted
Poor Countries, i paesi poveri maggiormente indebitati): i primi 18
hanno ottenuto subito il via libera alla misura, mentre i successivi 9
stanno raggiungendo i parametri prefissati dall'Iniziativa HIPC
relativamente al buon uso dei prestiti, mentre gli ultimi 11 non hanno
ancora raggiunto il traguardo e si spera lo raggiungeranno quanto prima.
D) I 40 mld $ cancellati ai 18 paesi comporteranno una media annuale di
poco più di 1 mld $ di interessi sul debito da non pagare
più e quindi da stornare per alleviare la povertà nei
prossimi dieci anni. Non appena saranno tutti e 38 i paesi HIPC ad aver
conseguito il traguardo, la cancellazione del debito verso i creditori
multilaterali raggiungerà i 56 mld $, con una media annuale di
1.5 mld $ di interessi sul debito da non pagare più e da
stornare sempre per diminuire i tassi di miseria nei prossimi dieci
anni.
Il G7 si è impegnato, nei confronti del FMI, a rivalutare le
riserve auree per compensare i mancati introiti dei debitori,
ricorrendo eventualmente a ulteriori rifinanziamenti qualora necessari
a non diminuire la capacità intervento del FMI stesso. Nei
confronti dell'IDA della WB e dell'ADF, il G7 ricorrerà a
ulteriori rifinanziamenti per compensare i mancati introiti.
E) Il G7, infine, ha deciso di ricorrere per il futuro a donazioni
verso i paesi poveri e non più a ulteriori crediti, per recidere
del tutto la spirale del debito interrompendo la tentazione di
ricascarvi.
Insieme i paesi G7 hanno espresso l'intenzione di raggiungere lo 0,7%
del PIL domestico da destinare agli APS (aiuti pubblici allo sviluppo),
secondo la nota (e ampiamente disattesa) indicazione della Conferenza
Onu del 1970, ripromettendosi di raddoppiare il totale globale degli
APS odierni, stimabili intorno ai 50 mld $ annui. Tra gli altri,
l'Italia si è impegnata a raggiungere la quota dello 0,7% nel
2015 (oggi siamo penultimi con lo 0,18%, ultimissimi gli Usa con appena
lo 0,12%).
Ulteriori passi saranno presi a Gleneagles, in Scozia, in occasione
dell'imminente G8 (Russia inclusa, quindi, ancora assente nella
versione strettamente "economica", ma non politica, del G7). È
auspicato infine il pieno successo del summit WTO di Hong Kong nel
prossimo dicembre in cui verrà sviluppata l'Agenda dello
sviluppo stabilita a Doha due anni or sono, protesa a garantire
sostanziali aperture dei mercati ai paesi poveri e in via di sviluppo,
eliminando le distorsioni commerciali (in primis, il protezionismo
locale e il sostegno comunitario all'agricoltura nazionale) e offrendo
aiuto e assistenza ai paesi poveri per raggiungere buone performance
nel campo delle relazioni commerciali internazionali.
… ma FMI e WB non sono organizzazioni filantropiche
Questo in sintesi l'esito del vertice G7, apparentemente in piena
sintonia con le lotte che dal sud della terra e da parte di ong
simpatetiche nel nord (nonché Vip quali Bono e Bob Geldorf,
tanto per citarne solo due) sono state condotte da tanti anni in nome
della cancellazione del debito. È tuttavia noto come i paesi del
G7, e per di più le istituzioni multilaterali finanziarie quali
FMI e WB, non abbiano filantropia e solidarietà tra gli
obiettivi costitutivi della loro mission; sorge il sospetto di un loro
improvviso impazzimento, denunciando la vittoria dei no-global di ogni
luogo avendone adottato pertanto l'agenda. Oppure…
a) Il presupposto politico della cancellazione del debito estero dei
paesi poveri muove, secondo la lettura radicale e dal sud, dalla natura
"odiosa" del debito stesso: eredità del passato coloniale,
affari sporchi (di armi e quant'altro per prolungare al potere sordide
elite indigene), arricchimenti personali ai danni dei più, sono
state le pratiche che nei decenni scorsi hanno portato al debito estero
pagato oggi da popolazioni che scontano errori e colpe non commesse da
questa generazione, e sicuramente con la complicità degli stessi
paesi ricchi, che traevano vantaggio nel prestare fondi per comprare
armamenti o risorse finanziarie in cambio di un pieno (e talvolta
esclusivo) accesso al mercato di materie prime a bassissimo costo.
L'odiosità del debito rispetto alla popolazione odierna sarebbe
un'ammissione di responsabilità non solo delle élite
locali post-coloniali, spesso ammaestrate presso le università e
i centri militari strategici dei paesi un tempo imperiali o comunque
egemoni, ma anche delle politiche di potenza dei paesi occidentali,
restii a confermare le proprie colpe.
Oggi che anche Bush, strumentalmente, invita i suoi colleghi a
condonare il debito estero iracheno perché stipulato sotto il
nemico pubblico n. 1 Saddam Hussein, l'argomentazione politica della
natura odiosa del debito estero dei paesi poveri trova un insperato fan
(anche se limitatamente ad un Iraq occupato di cui il paese occupante
dovrebbe garantire la restituzione del debito ed il pagamento degli
interessi, vedendosi perciò decurtati i profitti
dell'occupazione). Un compromesso tra le spinte dal basso e la
strumentalizzazione politica di Bush è costituito da questa
misura del G7, che cancella per la prima volta ma senza ricondurre
responsabilità a nessuno e senza parlare di natura odiosa del
debito.
b) I 40 mld $ (poi 56 alla fine) sono una goccia nel deserto del debito
estero dei paesi poveri. Secondo i dati OCSE 2001, i 187 PVS (paesi in
via di sviluppo) hanno un debito estero pari a oltre 2500 mld $ (erano
600 nel 1980), di cui 1600 mld $ di natura governativa. Il paese al
mondo complessivamente più indebitato, e che al contempo riceve
più capitali esteri di investimento, sono gli Usa, così
composto: 7300 mld $ di natura pubblica, 14000 di imprese private, 7700
delle famiglie, per un totale al 2002 di 29mila mld $. Di contro, ogni
anno, dal 1983 al 2001, il sud ha restituito al nord sotto forma di
interessi circa 368 mld $ in media, più di quanto riceveva in
aiuti e prestiti. Il taglio di 40 mld $ rappresenta in realtà
uno sconto del 10% sul totale dei trasferimenti netti che il nord ricco
ricava con profitto dal sud povero.
Inoltre, l'onere per i paesi G7 di tale "generosa" misura
ammonterà a circa 2 mld $ all'anno nei prossimi dieci, a fronte
dei sussidi all'esportazione agricola dei prodotti del nord verso il
sud (350 mld $ all'anno), a fronte della spesa militare del G7 (per un
totale di 700 mld $ all'anno, oltre la metà solo gli Usa).
Infine, i paesi avvantaggiati della misura, pur rientrando tra i
più poveri in assoluto, dispongono di una popolazione
complessiva che raggiunge appena il 5% dei poveri del pianeta
(tendenzialmente arriveranno all'11%), quasi tutta concentrata in
Africa, laddove la povertà dilagante nelle aree più
densamente popolate dell'Asia e dell'America latina (oltre un centinaio
di nazioni non HIPC esclusi dalla cancellazione dei loro debiti esteri)
non rientra tra i benefici della misura, in quanto i debiti di quei
paesi sono stipulati nei confronti di altre istituzioni multilaterali
quali la IDB (Inter-American Development Bank) o l'ASDB (Asian
Development Bank). Tra l'altro, quei pochi paesi asiatici e
latinoamericani ammessi a tale cancellazione registrano le esposizioni
debitorie più forti proprio nei confronti di tali banche
internazionali. Restano ovviamente esclusi quei debiti bilaterali con
banche e governi raggruppati nei Club di Parigi e di Londra.
c) L'articolazione selezionata dei paesi ammessi a tale beneficio
dipende dal raggiungimento o meno degli obiettivi previsti dalla HIPC
Initiative che FMI e WB hanno promosso negli ultimi sei anni. I primi
18 paesi sono quelli che hanno maggiormente aderito ai programmi di
aggiustamento strutturale che hanno aperto i mercati ma anche le
società locali alla penetrazione delle forze economiche,
disarmando le economie indigene, depauperando risorse, impoverendo le
popolazioni (a scapito di una minoranza che si è superarricchita
improvvisamente), smantellando equilibri socio-economici, deprivando i
paesi di salute, istruzione, alimentazione, acqua pulita, e in genere
di ogni spesa pubblica sociale (difesa esclusa, beninteso). Alcuni
studiosi hanno riscontrato una relazione lineare positiva tra il numero
di anni di adozione dei PAS e l'innalzamento della spirale perversa
indebitamento-impoverimento. Giusto per dare alcuni esempi, nei 4 anni
di politiche sospinte da FMI e WB in Burkina Faso, una delle nazioni
più povere in assoluto, il rapporto tra indebitamento estero e
PIL è cresciuto del 65.98%; nei 7 anni di tali politiche in Rep.
Centroafricana, il rapporto è del 110,76%; 3 anni in Etiopia
vale un aumento del 28,25%; 11 anni in Nigeria e in Zimbabwe valgono
rispettivamente il 669,66% e il 121,14%; 14 anni in Tanzania il
361,07%; 4 anni in Pakistan il 30,61%; 3 anni in Cina il 15,9 4%; 15
anni in Bolivia il 51,43%; 9 anni in Ecuador il 13,80% 3 anni in
Perù l'8,42%.
d) La questione del rifinanziamento delle istituzioni finanziarie – se
con risorse proprie o con apporti dei paesi dell'Ocse più ricchi
– cela un dissidio profondo tra Usa e resto del mondo. Semplicemente i
primi vorrebbero ridimensionare tali assisi internazionali in cui la
mediazione è l'anima del negoziato tra le varie posizioni di
politica economica e monetaria da adottare e fare adottare. Impegnare
risorse proprie significherebbe ridimensionare alcuni programmi di
controllo delle economie altrui attraverso sistemi di erogazioni di
prestiti che, in minima misura, si fermano nei paesi cd. beneficiari,
alleviando la condizione di qualche segmento di elite che arriva a
intercettare tali trasferimenti. Se passasse quindi la proposta
americana, il ripianamento di FMI e WB con risorse proprie
significherebbe che altri paesi poveri finanzierebbero paesi loro
analoghi un po' più disciplinati.
Il sistema delle donazioni eluderebbe roboanti programmi di riduzione
tendenziale della povertà entro il, di volta in volta, 2000,
2015 e oltre, per ricondurre la politica economica e monetaria globale
nei binari del bilateralismo in cui la carità compassionevole
raggiunge i medesimi obiettivi del controllo a distanza senza ricorrere
sempre e comunque a forme neocoloniali di occupazione diretta e senza
perdere tempo in compromessi faticosi e non sempre funzionali al
manovratore di turno. Wolfowitz alla testa della World Bank, con tale
politica di donazioni, rappresenterà pertanto il suo esecutore
testamentario.
e) Sempre in tale quadro di conflitto sordo e acceso, le
condizionalità di accesso alla misura di cancellazione del
debito estero legano ancora più di quanto già non
facciano le economie dei paesi poveri alla globalizzazione del
commercio internazionale, che significa l'accelerazione verso
privatizzazioni di risorse naturali, beni e servizi, la graduale
eliminazione di ogni spesa pubblica sociale da affidare alla
benevolenza smithiana del mercato, l'aumento di tassazione indiretta
sui consumi (IVA e simili a fronte della diminuzione dell'imposizione
fiscale diretta che mira a redditi e patrimoni a beneficio delle casse
statali), la liberalizzazione dei flussi di capitale in entrata e,
soprattutto, in uscita (Argentina docet) e la scomparsa di ogni
politica tariffaria a protezione di beni locali.
In ultima analisi, è palese che la questione dell'indebitamento
dei paesi in via di sviluppo (da quanto tempo? e per quanto tempo?)
è leggibile solo all'interno della globalizzazione liberale che
il sistema capitale-stato ha implementato per governare il mondo
intuendo con un decennio di anticipo il collasso della geopolitica
mondiale alla fine degli anni '80. È la politica a dover
riprendere il pallino in mano, e segnatamente una politica dal basso
che scardini le compatibilità locali rispetto alla collocazione
di ciascun paese nel contesto globale, operando un massiccio
trasferimento di potere da élite a popolazioni, comunità
e individui che meritano una sorte migliore di quella loro destinata
nei tanti sud della terra.
Salvo Vaccaro