Umanità Nova, numero 23 del 26 giugno 2005, Anno 85
Capita a me, come immagino avvenga a molti, di riflettere sul fatto che se io mi formo una, assai imprecisa opinione, sullo scenario politico attraverso la lettura del giornale e la visione di qualche trasmissione televisiva, i membri della classe politica si preoccupano della loro immagine, del messaggio che fanno pervenire all'esterno, di quanto i giornali e la televisione dicono di loro.
Sembrerebbe, insomma, esistere una sorta di gioco di specchi nel quale i politici osservano e cercano di correggere la propria immagine producendo una serie di messaggi che si intrecciano e che sono, probabilmente, seguiti solo dagli attori, meglio sarebbe definirli, pupazzi che animano la scena.
Con qualche eccezione, infatti, il ceto politico recita a soggetto e ognuno dei suoi membri deve cogliere la battuta dal casuale interlocutore e inventarsi qualcosa sul momento tanto per far vedere che c'è e, appunto, ha qualcosa da dire.
In un certo senso, a rigore, questo comportamento è profondamente democratico. I politici sono singolarmente simili ai membri di un'assemblea condominiale, ai passeggeri costretti a convivere in uno scompartimento prima che il cellulare li consegnasse alla libertà di dire sciocchezze non con il casuale compagno di viaggio ma con quello di telefonino, a un collegio docenti in qualsiasi scuola della repubblica.
Il cittadino medio può, di conseguenza, riconoscersi nei politici senza i problemi che si ponevano quando il sovrano era, in qualche misura, oggetto di culto.
Per evitare equivoci, non mi riferisco affatto all'Italia come luogo ove si addenserebbero i mali del mondo dal punto di vista della qualità del ceto politico. Bush, ad esempio, è assolutamente più imbecille di Berlusconi che è, casomai, uno che fa il fesso e che spesso è bollito, ma, a differenza di Bush, non è bollito sempre e comunque.
Se la classe politica si è, di norma, emancipata dalla
necessità di avere una qualche idea forte che la caratterizzi ne
consegue che anche gli scontri all'interno della classe politica
tendono ad essere ricondotti alla loro bruta materialità di
lotte per una frazione di potere e di ricchezza.
Facciamo solo un caso, la sinistra ha pianto amare lacrime di fronte
alla crudeltà esibita da Rutelli, o' bello guaglione, che ha
rifiutato di fare la lista unica dell'Ulivo e ha attaccato senza
scrupoli Prodi, l'uomo che pure, in linea di principio, dovrebbe
garantire la mirabile sintesi fra borghesia di stato democristiana,
apparato postcomunista, movimenti no global, bertinottiani e mastellati.
Prodi, un individuo antropologicamente prima che politicamente democristiano, uno che sarebbe democristiano anche se decidesse con tutto l'impegno possibile di non esserlo, è stato attaccato dalla maggioranza del suo partito come utile idiota della sinistra – il prodinotti – mentre l'attacco contro mortadella è capitanato da un giovanotto di mezza età, un postpannellato che non sarà mai democristiano in senso proprio per quante pile baci.
Ma attenzione, dietro o' bello guaglione qualche democristiano d'antico ceppo c'è, uno staff che, a quanto pare, ha provveduto a colonizzare la Margherita con metodi antichi e sperimentati.
Se, in luogo di seguire il minuetto al quale abbiamo fatto cenno, guardassimo ai contenuti politici dello scontro, scopriremmo l'orrenda verità: non ci sono.
Prodi non intende affatto sovvertire l'ordine costituito e l'assetto della proprietà in Italia e, dal punto di vista programmatico, si tiene sul vago visto che ogni posizione che pigliasse sarebbe indigesta a qualche segmento del suo schieramento. Rutelli non sta affatto, di conseguenza, fermando l'armata rossa ma si limita a logorare un concorrente.
D'altro canto, il livello del ceto politico della destra è, con rare eccezioni, tale che una tribù di babbuini, al confronto, apparirebbe come un'assemblea di raffinati pensatori.
Basta pensare ai ministri e sottosegretari leghisti che hanno serenamente fatto a gara in bestialità con i gruppi neonazisti dell'alta Lombardia senza che la destra civilizzata sentisse il bisogno di prendere le distanze in maniera netta. Il fatto è che la Lega ha bisogno, per vivere, di rotolarsi nel brago e che i suoi compagni di merenda devono permetterglielo.
Questo clima non è affatto, necessariamente, sintomatico di una crisi radicale del circo equestre parlamentare che sembra, al contrario, perfettamente in grado di funzionare proprio producendo spettacoli avariati.
Può, però, essere oggetto di una critica puntuale volta a rafforzare le ragioni dell'azione diretta e dell'autonomia di classe dei lavoratori.
Cosimo Scarinzi