Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2005, Anno 85
Non c'erano solo gli agrari ferraresi e il grande capitale dietro
l'avvento del fascismo. E anche il nazionalismo, se pure ebbe una parte
importante, da solo non sarebbe stato sufficiente. Dietro al fascismo,
a fianco del fascismo e del suo inarrestabile irrompere nella
società, c'era anche, e soprattutto, la paura. Una paura
irrazionale ma concreta, la paura del salto nel buio, del disordine,
dello stravolgimento delle regole, della rottura con le abitudini
consolidate, del confronto con situazioni nuove e inaspettate, insomma,
la paura di una rivoluzione. Anche se questa sarebbe stata,
semplicemente, l'innocuo rivolgimento di una quotidianità fatta
di certezze banali e di banali luoghi comuni.
Non va sottovalutata, dunque, la paura, soprattutto quando sembra trarre motivo dall'apparente sconvolgimento di una realtà altrimenti normale, sonnolenta e condivisa.
Lo sanno bene i leghisti, lo sanno bene questi fascisti nelle parole e nei fatti, ancora vigliaccamente prudenti nelle piazze, ma già spregiudicati nell'uso demagogico e strumentale delle nuove inquietudini. E poco importa che ai vari Calderoli e Borghezio non interessi minimamente delle ragazze stuprate, dei giovani uccisi in risse da paese, dei problemi legati a una convivenza troppo spesso difficile fra etnie diverse. Sanno bene che la sensibilità del loro "popolo" (che peccato usare questo bel termine per la genia leghista!) ha le antenne diritte, che è di questi fatti che ha paura, che è di queste "novità" che non riesce a farsi una ragione, soprattutto quando diventano drammatiche storie di cronaca nera. Ed ecco, quindi, affollarsi come avvoltoi gli speculatori, pronti ad esasperare questi sentimenti invece che renderli recuperabili a una civile convivenza: neo fascisti e teste rasate annoiate del loro vuoto mentale ma impazienti di menare le mani, caporioni leghisti alla guida di folle eccitate dai loro sproloqui, pacati ed eleganti commentatori in doppiopetto inclini a trarre sordidi vantaggi dalle paure quotidiane.
È uno schifo, nel vero senso della parola, ed è anche
un po' umiliante doversi confrontare con tali schifezze. Ma non
possiamo tirarci indietro. Non possiamo sottrarci a un confronto con
queste miserie, solo perché siamo consapevoli e orgogliosi di
quanto sia abissale la distanza che separa le nostre sensibilità
dalla criminale rozzezza dei "liberi padani". Non possiamo, anche
perché se la paura oggi si manifesta ancora sotto forma di
pacifiche pur se grottesche fiaccolate, "questa è l'ultima volta
che veniamo con fiaccole e striscioni e senza bastoni" ha minacciato
quel cialtrone di Borghezio.
Poco importa se i fenomeni che impauriscono e incattiviscono sono
sapientemente usati dai media, poco importa se la violenza esercitata
sulle donne è soprattutto quella compiuta in pacifiche case da
pacifici mariti, figli, genitori o fratelli; gli stessi, magari, che di
fronte alla violenza del "branco" di albanesi scende in piazza a
chiederne a gran voce la castrazione (chimica o fisica che differenza
fa?). Poco importa che le statistiche giudiziarie offrano dati
impietosi sul livello tuttora "primitivo" dei rapporti fra uomo e donna
fuori e dentro i nuclei famigliari, e che in questo paese, che crediamo
tanto evoluto, questi rapporti siano spesso simili a quelli tra serva e
padrone.
E invece è proprio su questo che giocano, come sempre, i demagoghi del ventunesimo secolo: sull'ignoranza, sulla incapacità di comprendere e assimilare diversità sempre più inevitabili, sul chiudersi a riccio di chi viveva fino a ieri in una sorta di maso chiuso nella cascina o nel paese-presepio e oggi deve misurarsi con una civiltà globalizzata nella quale le regole del mercato e del profitto stravolgono abitudini e certezze coltivate per secoli.
E così, contro la cultura della tolleranza e della solidarietà, le sole che possono davvero risolvere i problemi della diversità - se la diversità può essere un problema - si abbaia invocando le più varie, e improbabili, forme di repressione. Ma questa devianza, che fa tanta paura, è inevitabile in comunità che vivono, e non solo metaforicamente, ai margini della società; è inevitabile in chi è chiamato ad assistere alla diffusione generalizzata del benessere e della libertà di costumi e non può esserne partecipe; è inevitabile in chi è consapevole che la società delle merci è accessibile a tutti ma per lui rimane irraggiungibile. E pertanto, non può essere combattuta con i tradizionali metodi repressivi o con quelli, pittorescamente proposti dagli imbecilli di turno, che si appellano a nuove tecnologie farmacologiche o vecchie tecnologie chirurgiche. La devianza delle comunità più emarginate non è l'optional di giovani annoiati e soddisfatti, ma è un male prodotto dalla miseria, dallo sfruttamento e dalla esclusione. E dalla consapevolezza che il ricorrente miraggio del benessere nasconde una realtà fatta di emarginazione per gli uni e di profitti per gli altri.
Eppure, di fronte a simili considerazioni perfino banali, si risponde inventando nuovi nemici, le orde di barbari all'assalto della cittadella occidentale per stuprarne e disonorarne le donne. E i fatti di cronaca, di cui i giornali sono purtroppo sempre stati pieni, anche quando non esistevano "clandestini" ed "extracomunitari", diventano la nuova peste destinata a scardinare una società altrimenti onesta, laboriosa e ordinata. E della violenza domestica, ben più diffusa e pericolosa anche se quasi mai denunciata, esercitata da maschi italici di ogni ceto e condizione, si smette, se mai si era iniziato, di parlare. Perché sarebbe difficile portare nelle piazze, con la fiaccola in mano, italiani inneggianti all'espulsione, o alla castrazione, di altri italiani, troppo violenti e autoritari.
Coraggio! Di fronte alla facilità con la quale, nonostante gli anticorpi generati dai semi di una cultura libertaria e tollerante che fortunatamente è molto più diffusa e pervasiva di quanto si pensi, rozzi e incolti demagoghi trovano spazio nelle piazze e nei media con le loro oscene proposte, è necessario più che mai dare risposte convincenti ai frutti della paura e dell'irrazionalità. E farlo subito, fintanto che è possibile e perché nessuno possa poi permettersi di chiuderci la bocca.
Massimo Ortalli