testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2005, Anno 85

Un paese in bilico
Bolivia: tregua sociale dopo la cacciata di Mesa



Dopo il successo della mobilitazione popolare delle ultime settimane che aveva visto contadini, indios aymara e quechua e i minatori della COB bloccare completamente il paese a sostegno delle loro rivendicazioni, e conclusasi con le dimissioni del Presidente Carlos Mesa, succeduto nel 2003 a Sanchez De Lozada, uomo dell'oligarchia di Santa Cruz e degli americani, anch'esso dimesso da un'impressionante mobilitazione popolare contro la svendita del gas locale alle multinazionali americane e alle imprese cilene, oggi la Bolivia vive un difficile periodo di tregua mentre i principali protagonisti si studiano a vicenda cercando di capire quali potranno essere le mosse dell'avversario.

Questa tregua è stata ottenuta dall'èlite del paese con la rinuncia a sostituire il presidente dimissionario con uno degli altri membri dell'oligarchia nazionale che, in teoria avrebbero avuto il diritto a succedergli. Vaca Diez, altro uomo di Santa Cruz (la capitale economica, ricca città di imprenditori con velleità separatiste) presidente del Senato e Mario Cossio, presidente della Camera, hanno rinunciato a prendere il posto di Mesa per evitare di portare il paese oltre la linea della guerra civile dichiarata. L'odio della popolazione contadina ed operaia, india e meticcia per questi esponenti dell'oligarchia bianca e del "partito USA" nel paese è più che giustificata dalla loro appartenenza a quella "grande coalizione" che nel 2002 portò alla presidenza il "gringo" Sanchez De Lozada con il programma di svendita della ricchezza nazionale e di privatizzazione di acqua, luce e gas. L'anno precedente una mobilitazione senza precedenti aveva costretto la multinazionale francese "Generaux des eau" a rinunciare alla gestione dell'acqua del paese. L'oligarchia aveva deciso di riprovare il colpo l'anno dopo eleggendo un uomo che faceva di queste privatizzazioni e della svendita di quel gas del quale la Bolivia è il primo produttore nelle due Americhe il proprio programma.

Nell'ottobre del 2003 una mobilitazione ancora più grande e più decisa, fatta di blocchi stradali che impedivano all'intero paese di circolare e di cortei di minatori a La Paz aperti dal lancio per niente simbolico di candelotti di dinamite, aveva costretto il Presidente alla fuga e il suo successore Mesa alla promessa di una nuova legge sugli idrocarburi e di un plebiscito per approvarla. Ora, la nuova legge è stata approvata nel febbraio del 2005 grazie a una formulazione ambigua della domanda del referendum, elemento fondamentale in un paese dove l'analfabetismo raggiunge e supera il 65%. In pratica la legge Mesa prevedeva la dichiarazione del gas e del petrolio come "beni nazionali" ma ne lasciava gestione e sfruttamento a un cocktail di multinazionali: dalla Mobil ed Enron USA alla BP inglese, dalla Total francese alla Repsol spagnola e con la ciliegina sulla torta costituita dalla Petrobras del potente vicino verdeoro; aumentava anche la quota di fatturato che avrebbe dovuto restare in patria dall'8% dei tempi di Lozada al 50%, lasciando però la determinazione di questa percentuale a negoziati annuali, vale a dire al clima politico del momento. Naturalmente alla popolazione con il reddito più basso delle due Americhe, seduta su di un lago di gas e costretta a cucinare con la legna e a prendere l'acqua a pozzi spesso malsani questo progetto non è piaciuto per niente. E così, dopo Sanchez De Lozada è toccato a Mesa abbandonare il posto da Presidente.

Il blocco sociale che ha cacciato due presidenti in due anni è costituito di minatori, fulcro della classe operaia boliviana e della COB , la sua centrale sindacale, dai contadini aymara e Quechua residenti nell'ovest montagnoso e freddo del paese e dagli abitanti di El Alto, sobborgo di La Paz di più di un milione di abitanti, costituitosi in poco più di dieci anni al seguito dell'inurbamento di quegli stessi contadini rovinati dalle politiche imposte dagli USA di importazione sottocosto dei prodotti alimentari americani a discapito dell'economia locale e dalla "guerra alla droga", condotta sotto la regia della locale ambasciata americana, che ha portato alla distruzione delle colture artigianali delle foglie di coca e al loro trasferimento in mano alla narcomafia colombiana. A questi protagonisti, nel corso di questa crisi, si è unita una classe impiegatizia che, soprattutto a La Paz  non è più formata in modo esclusivo dal ceto medio bianco, poco numeroso e legato strettamente all'oligarchia, ma da una nascente piccola borghesia aymara e quechua, profondamente legata alle culture di provenienza e divisa dall'oligarchia bianca da un fossato di odio etnico fomentato da quasi duecento anni di oppressione. La crisi del 2003, inoltre, ha cancellato l'esclusiva sui posti pubblici e su quelli impiegatizi superiori da parte degli appartenenti al ceto medio di Santa Cruz e, avendo aperto anche alla maggioranza india, ha scatenato il separatismo venato di razzismo dell'élite e del ceto medio della città e dei dipartimenti dell'Est del paese. Una delle ragioni dell'attuale crisi è la volontà indipendentista di Santa Cruz e di tutta quell'area dove dormono gas e petrolio destinati ad essere la nuova fonte di ricchezza del paese. La nazionalizzazione scatenerebbe la secessione per appropriarsi degli idrocarburi e costringerebbe l'eventuale governo che la decidesse a muoversi in armi verso i dipartimenti dell'est per riconquistarlo con esiti incerti, dal momento che nessuno ha la sicurezza di sapere da che parte starebbe l'esercito, ma che condurrebbero sicuramente a uno spaventoso bagno di sangue.

L'unico elemento che potrebbe impedirlo è la continuazione e determinazione della mobilitazione popolare che potrebbe costringere l'élite politica a impedire a quella economica avventure che loro stessi non sarebbero probabilmente in grado di gestire.

In questa situazione la vittoria ottenuta dal movimento di protesta con la cacciata di Mesa è stata bissata con la rinuncia di Vac Diez e di Cossio e con l'ascesa alla presidenza di Rodriguez, membro dell'oligarchia ma Presidente solo in quanto già presidente della Corte Suprema. In qualche modo un presidente di garanzia il cui compito dovrebbe esaurirsi in fretta e non un altro membro dell'alleanza neoliberista impegnato nel tentativo di portare a termine quanto il proprio predecessore non era riuscito a fare. Rodriguez per ora approfitta della tregua concessa dal movimento popolare e promette elezioni subito; per altro i movimenti contadini e la COB chiedono l'immediata realizzazione dell'"agenda di ottobre" concordata tra Mesa e i movimenti dopo la cacciata di Lozada nell'ottobre del 2003 e costituita da due semplici voci: nazionalizzazione degli idrocarburi e loro utilizzo a fini innanzitutto interni e convocazione di un'assemblea costituente. 

I giochi attorno a questo programma sono in corso e la Chiesa è intervenuta a mediare tra la posizione dell'oligarchia (sostenuta anche dal segretario di stato USA Condoleeza Rice) contraria a qualsiasi concessione e quella dei movimenti popolari; la proposta sarebbe quella di convocare subito nuove elezioni per la Presidenza della Repubblica, il nuovo presidente convocherebbe la Costituente che dovrebbe decidere su gas e petrolio. Come si vede una posizione dilatoria mirante a guadagnare tempo e a permettere alla destra imprenditoriale ed oligarchica la riorganizzazione delle proprie malconce truppe. Su questa strada la Chiesa ha trovato in Evo Morales, cocalero e candidato a Presidente del MAS (La sinistra boliviana, Movimento al Socialismo) nel 2002 e alle prossime elezioni un insperato alleato che, contro il parere di una vasta ala del suo stesso partito, ha accettato questo calendario.

La situazione resta quindi tesa e sono possibili molte soluzioni alla crisi politica, da quelle che vedrebbero la vittoria dei movimenti popolari e un deciso spostamento degli equilibri politici e sociali del paese in favore delle classi popolari a quello che vedrebbe l'affermazione dell'oligarchia tramite intervento armato.

Il fatto che l'esercito abbia evitato interventi finalizzati alla repressione nel corso dell'insurrezione a La Paz, le difficoltà evidenti dell'oligarchia depongono comunque in senso abbastanza favorevole a un'ipotesi di rafforzamento dei movimenti. Rafforzamento con il quale qualsiasi leadership politica, compresa quella eventuale di Morales, dovrà fare i conti.

Giacomo Catrame




































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