Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2005, Anno 85
La nuova propaganda
Consumiamo sempre più energia, la società industrializzata non può convivere con la minaccia dei black out. Dobbiamo controllare l'emissione di CO2 nell'atmosfera per ridurre l'effetto serra e quindi il riscaldamento globale del pianeta.
Le centrali nucleari di oggi sono più sicure di quelle di 30 anni fa.
Non possiamo trascurare l'opzione dell'energia atomica nella definizione di un nuovo piano energetico.
I governanti di turno "sussurrano" ai nostri padiglioni auricolari queste frasi che, nella loro essenza, sono pure sensate. Lo fanno con dichiarazioni in prima persona, magari dopo che una città è rimasta senza corrente per un paio d'ore, oppure tramite un famoso scienziato scelto, casualmente, tra i filonucleari. Poco cambia, si tratta di un fine lavoro ai fianchi dell'opinione pubblica indispensabile per tentare di riaprire le porte al nucleare.
In seguito ai risultati del referendum del 1987 il governo sancì una moratoria di 5 anni sulla costruzione di nuovi impianti. È per tutti evidente che è stata però la diffusa coscienza antinuclearista maturata non solo dagli ambientalisti ma dalla gran parte della cittadinanza a cancellare, fino ad oggi, l'opzione nucleare dal territorio italiano.
Con lo smantellamento delle centrali atomiche (Caorso, Trino Vercellese, Latina, Garigliano) e la necessità di mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi provenienti dai centri di ricerca sperimentale e dagli ospedali, in Italia si è comunque aperto il problema dello stoccaggio delle scorie. Una soluzione condivisa dalle popolazioni residenti nei territori in cui sono stati individuati i siti per il deposito definitivo è lontana. Le lotte in opposizione alle soluzioni proposte dalle commissioni governative si sono ripetutamente sviluppate (Scanzano ionico per ricordare l'ultima) coinvolgendo larghi strati della popolazione poco disposta a sacrificare territorio e qualità della vita per difendere scelte ed interessi di altri.
L'Italia, del resto, è un paese densamente popolato e se a questo dato di fatto si aggiunge l'evidente difficoltà nell'individuare un sito geologicamente adatto allo stoccaggio delle scorie, (materiali che in alcuni casi mantengono la loro radioattività per centinaia di migliaia di anni), si deve dedurre che i rifiuti radioattivi non possano che prendere la via dell'estero nell'attesa del fantomatico deposito nazionale, che forse non si troverà mai e che, se verrà comunque scelto, non potrà, per quanto scritto sopra, rispettare tutti i necessari parametri di sicurezza.
Per chiarirci ulteriormente le idee, è interessante mettere a fuoco quello che succede negli USA, paese in cui il nucleare ha una storia di decenni, ma dove la questione delle scorie non ha ancora trovato una definitiva soluzione. Per la verità, il deposito è stato trovato: si tratta dello Yucca Mountain, un massiccio che sorge nel deserto del Nevada. Dopo 20 anni di verifiche e studi dai risultati contraddittori, nel 2002, il presidente George W. Bush ha deciso in via definitiva che quello fosse il sito destinato ad accogliere 70.000 tonnellate di rifiuti ad alta radioattività oltre al combustibile irraggiato, materiale per la maggior parte proveniente dagli impianti nucleari per la produzione di energia e in minor misura di origine militare. A lavori iniziati è emerso, però, che alcune delle ricerche effettuate sono state viziate da falsificazioni dei dati (notizia del Corriere della Sera, 15 marzo 2005), nelle intenzioni della Casa Bianca l'inaugurazione sarebbe dovuta avvenire nel 2010.... ora si prospettano nuovi accertamenti.
L'aspetto più grave e sconcertante di queste vicende è
relativo al fatto che, prima si sono accumulate le scorie, poi ci si
è posti il problema di che farne. È chiaro che il
procedimento inverso, decisamente più serio e razionale, avrebbe
minato alla base qualsiasi prospettiva di sviluppo del nucleare e di
tutto il business ad esso connesso.
La lobby nuclearista ci riprova
Nonostante questo fondamentale problema rimanga irrisolto, in Italia assistiamo, come accennato prima, ad un evidente tentativo di "rimettere in pista" la scelta nucleare che viene presentata come la soluzione praticabile per rispondere a criteri di convenienza economica, compatibilità ambientale, sicurezza.
In realtà si tratta di pura propaganda perché, se è vero che le tecnologie sono in continua evoluzione è altrettanto vero che i problemi posti dallo sfruttamento dell'energia liberata dalla fissione nucleare sono tali da rendere relativo il concetto di sicurezza. Un incidente in una centrale atomica può provocare conseguenze disastrose sia per la gravità degli effetti in ambito locale sia per l'estensione degli stessi nel tempo ed in aree geografiche anche molto lontane dalla localizzazione fisica dell'impianto.
Il presidente del consiglio usa proprio quest'argomentazione per riaprire le porte al nucleare in Italia. In recenti dichiarazioni Berlusconi, infatti, affermava: «Noi subiamo la penalizzazione di centrali situate in altri stati (si riferiva in particolare a Francia e Svizzera) qualora, però, accadesse qualcosa di negativo, tutti i danni ricadrebbero sul nostro Paese e sui nostri cittadini: siamo sotto pena ma paghiamo molto di più l'energia».
Ma per chi non è accecato da spirito nazionalista o dal mito
del libero mercato come regolatore delle scelte economiche, l'unica
certezza derivante dalla costruzione di centrali atomiche in Italia
sarebbe solamente quella di aumentare la percentuale di rischio tanto
per i cittadini italiani che per i francesi e gli svizzeri, solo per
citare quelli del riferimento precedente.
Nucleare civile, nucleare militare
Inutile cercare di nascondere l'interesse delle applicazioni
belliche legate all'uso del nucleare cosiddetto civile, basti ricordare
le polemiche legate agli esperimenti, di qualche anno fa, effettuati
dalle forze armate francesi presso l'isola di Mururoa, o all'attuale
tensione internazionale legata ai programmi di Corea del nord, Iran e
Cina cui certo non mancano fonti di combustibili fossili. Citiamo gli
stati inseriti nella lista dei "cattivi" ma non dimentichiamo quelli
auto - classificatisi come "buoni", quelli che gli ordigni nucleari li
hanno già usati in passato, quelli che li tengono, oggi, pronti
nei loro depositi come minaccia per il mondo intero, o che, di tanto in
tanto, spargono un po' degli scarti di lavorazione, mi riferisco
all'uranio impoverito, in giro per il mondo.
La convenienza economica
Ma le contraddizioni dei liberisti energivori non finiscono qui, infatti, per quanto riguarda la convenienza in termini di costi al kW dell'energia atomica il trucco sta nel non considerare le spese di smantellamento degli impianti e dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Sia sufficiente l'esempio della Finlandia, un paese europeo che ha appena deciso di investire sull'atomo, uno di quelli che ci hanno ripensato. In Finlandia, per gestire i costi, previsti in tre miliardi di euro per un impianto da 1.600 megawatt, nel mercato sarà ritagliato un bastione di monopolio e di intervento pubblico. Lo Stato ha assicurato alla compagnia elettrica finlandese Tvo che acquisterà per 40 anni la corrente al prezzo di costo, qualunque costo sia. Le spese per lo smantellamento futuro saranno a carico dello Stato.
Le necessità dell'atomo hanno richiesto, fino a poco tempo
fa, il mantenimento del monopolio dell'Eléctricité de
France e la società atomica British Energy non ha retto la
competizione e ha dovuto fare ricorso ad aiuti di Stato autorizzati
recentemente da Bruxelles. Nel '98 in Europa 345 reattori fornivano il
23,8% della corrente. Oggi l'orientamento comune europeo è di
sfruttare quei 345 reattori fino allo stremo, per poi chiuderle quando
saranno giunte a fine vita, 30 anni circa (fonte Sole 24 Ore del
21/01/05).
Un piede nel nucleare
Per dirla tutta, comunque l'Italia, pur se per "interposta persona", ha più di un piede nel nucleare visto che compra energia dalla Svizzera e dalla Francia e, secondo recenti accordi, Enel partecipa con EdF al programma di sviluppo del nucleare di terza generazione acquisendo il diritto a 1.500-2.000 Mgw di produzione, quando il programma andrà a regime. Enel avrà anche diritto di poter costruire propri impianti, all'interno di centrali Edf, per coprire i picchi di domanda.
Diverse trattative sono in corso con paesi dell'Est europeo, dove i
processi di privatizzazione mettono sul mercato impianti vecchi,
recenti o da ultimare, certamente qualcuno di questi potrebbe
costituire un "appetitoso boccone" per gli speculatori del settore
energetico.
Quale società per il nucleare?
Chi aspira alla costruzione di una società libertaria ed autogestionaria non può dimenticare che la scelta nucleare determina un'organizzazione autoritaria, centralizzatrice, caratterizzata da elevati standard di militarizzazione del territorio, oggi ancora più di ieri in seguito al ricatto dei vari terrorismi.
Come prima sottolineato, la tecnologia per la produzione di energia atomica è strettamente legata a quella bellica finalizzata alla costruzione di armi di distruzione di massa. Infine, la gestione dei "rifiuti radioattivi" comporta indubbie responsabilità nei confronti delle generazioni future alle quali non si possono assicurare adeguate garanzie in termini di salubrità ambientale a causa dei tempi di decadimento degli elementi radioattivi che, rispetto alla durata della vita umana, risultano lunghissimi.
Abbiamo, quindi, sufficienti motivazioni di carattere scientifico, sociale ed etico per ribadire un secco no all'opzione nucleare.
MarTa