Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2005, Anno 85
Cesare Beccaria non poteva prevedere che l'istituzione carceraria stessa potesse essere una minaccia alla vita dei detenuti e per le comunità circostanti.
Il 30 giugno del 2002 è un giorno importante per la storia degli stati uniti d’America (USA): si raggiunse quota 2 milioni di cittadini reclusi con sentenza definitiva, 1 ogni 142 residenti negli USA si trova dietro le sbarre. Tuttavia questa è solo la punta dell’iceberg carcerario nord Americano: in realtà a questi 2 milioni di prigionieri andrebbero aggiunti 6,7 milioni di altri cittadini (3,1% del totale, 1 ogni 32) sottoposti a supervisione correzionale: arresti domiciliari, obbligo di reperibilità ed altre misure restrittive post carcerarie. Questi dati aggiornati al 2003 sono forniti in maniera molto accurata dal Dipartimento di Giustizia Americano (Ufficio Statistica) e dall’intramontabile FBI.
Analizzando i dati forniti dal governo americano si nota una crescita esponenziale della popolazione carceraria se si confrontano i 2 milioni di prigionieri attuali contro i 490.000 censiti nell’aprile del 1995. A livello globale la popolazione carceraria è valutata (per difetto) aggirarsi sui 8-10 milioni di prigionieri in continua crescita. Il trend Americano si riscontra anche a casa nostra, anche se nel caso Italia e molto più difficile trovare fonti ufficiali e governative sulla consistenza della popolazione carceraria, le varie organizzazioni per i diritti umani parlano di 55.136 detenuti nelle carceri italiane nel 2001 con un incremento di 2700 nuovi ingressi all’anno. Il sistema carcerario italiano ha come caratteristica il sovraffollamento, che significa 6311 detenuti in esubero rispetto alle capacità del sistema carcerario. Grecia, Turchia e Russia condividono questa condizione detentiva. Il governo italiano dovrebbe utilizzare 2000 miliardi (vecchie lire) previsti nella finanziaria 2005 per la costruzione di 23 nuove case circondariali.
L’aumento della popolazione mondiale rinchiusa in istituti di pena porta a delle considerazioni sulla qualità della vita dell’umanità stretta tra le mura del carcere e sull’aumentata possibilità di entrare nell’universo carcerario.
Il carcere ti priva: della libertà intesa come
possibilità di disporre del tuo tempo e dello spazio a tua
discrezione, degli affetti, del contatto con le persone care, dei
diritti civili e politici. Ma soprattutto il carcere è una
minaccia seria alla salute del recluso e della collettività che
accoglie l’istituto di pena.
Epidemiologia e Carcere
L’incidenza delle malattie varia grandemente se si confronta la popolazione carceraria con quella "libera", un esempio per tutti: l’infezione da HIV in alcune regioni dell’Africa dove ha il picco mssimo di incidenza, raggiunge il 10%, nelle carceri italiane il 30-40% dei detenuti e HIV+
Le malattie endemiche nelle carceri a livello mondiale maggiormente rappresentate sono AIDS, epatite C, epatite B, tubercolosi, tifo, papilloma, sifilide. Queste malattie sono causa di morte sia per la popolazione civile che per quella carceraria, ma la loro prevalenza è enormemente superiore in carcere come dimostrato da alcuni studi eseguiti in diverse parti del pianeta. Tra i prigionieri delle carceri texane uno studio del 2001 ha dimostrato che la tubercolosi ha un incidenza tripla rispetto alla popolazione di Huston. Spesso in carcere avvengono sovrapposizioni di diverse patologie che danno luogo al possibile sviluppo di varianti patogene di agenti infettivi che non riescono ad emergere nella popolazione libera, come nei casi registrati nella popolazione carceraria della Carolina del Sud nel 2003. Nell’agosto del 1999 si registrava un caso di un prigioniero HIV+ che contraeva la tubercolosi e quindi contagiava altri 30 prigionieri anche essi HIV+ e detenuti nel reparto speciale. Da questo primo focolaio intracarcerario l’epidemia di tubercolosi si diffondeva alla popolazione civile tramite infezione del personale non detenuto addetto alle pulizie del carcere. In questo caso l’utilizzo di reparti speciali per detenuti HIV+ ha funzionato come serbatoio di soggetti facilmente infettabili da parte del mycobacterium tuberculosis aumentandone la carica infettiva che quindi poteva sopraffare le difese immunitarie anche di individui sani come gli addetti non detenuti alle pulizie che esportavano il contagio al di fuori della prigione. La trasmissione della tubercolosi in carcere è uno dei maggiori problemi sanitari legati alla detenzione: ad Atlanta in Georgia si è calcolato che nel 2000 il 43% della popolazione affetta da tubercolosi aveva trascorso più di 15 giorni nel carcere cittadino. Inoltre 5 guardie carcerarie del penitenziario avevano funzionato da veicolo infettivo per l’esplosione tubercolare in città poiché erano infette dallo stesso tipo di micobatterio protagonista di un epidemia di tubercolosi esplosa tra i detenuti nel carcere di Atlanta nel 1997. Anche in questo caso il carcere favorisce il presentarsi di epidemie che possono colpire le comunità vicine al penitenziario. Uno scenario simile si è registrato a Baltimora nel 2003 quando una preoccupante impennata di casi di tubercolosi fu registrata in città. Lo studio epidemiologico ha dimostrato che nel 56% dei casi i pazienti erano entrati in contatto con persone che avevano scontato diversi periodi di reclusione nel carcere cittadino o con personale dello stesso. Il 20% erano pazienti che avevano contratto l’infezione in seguito al loro arresto. Esempi simili dove il carcere funziona come focolaio di epidemie (o macro amplificatore di specie patogene per l’uomo) sono descritti anche per altri agenti infettivi come la salmonella e lo staffilococco.
La pericolosità del sistema carcerario non risiede solo nella sua capacità di trasmettere le infezioni a persone sane che entrano nel sistema penitenziario o la sua capacità di esportare epidemie nelle comunità circostanti, ma nella capacità di fare emergere dal suo interno nuove varianti patogene.
Negli anni ottanta una severa epidemia di tubercolosi resistente ai comuni chemioterapici esplose nelle carceri russe e si diffuse nella popolazione civile. Più recentemente si è registrata un evento analogo in tre stati dell’Unione: Georgia, California e Texas. Nelle carceri di questi stati è comparso un nuovo agente infettivo conosciuto con il nome di MRSA, che sta per staffilococco aureus resistente alla meticillina. Al di la del nome questa nuova variante del comune staffilococco causa di patologie gastrontestinali e diarrea sembra che abbia imparato in carcere a resistere non solo alla meticillina ma a quasi tutti gli antibiotici più comunemente usati. L’11 marzo 2005 nella prigione di Battle Creek due carcerati di 71 e 43 anni sono morti per infezione da MRSA: i sintomi sono molto diversi da quelli di un comune staffilococco, poiché i due detenuti sono morti per insufficienza respiratoria dopo un decorso febbrile di pochi giorni. Entrambi erano entrati nel carcere in perfetta salute come registrato dall’amministrazione carceraria.
A riprova del pericolo sanitario per le comunità che ospitano le carceri vale l’esperienza fatta in Inghilterra nel 2003. Nel dicembre del 2001 un preoccupante aumento di casi di epatite A fu osservato nel Sud Yorkshire: i casi riportati si riferivano soprattutto a giovani maschi tossicodipendenti usi iniettarsi eroina. Nel novembre 2002 venne introdotta nella regione una campagna di vaccinazioni per limitare il fenomeno ma con scarsi effetti poiché venivano registrati comunque nuovi casi. Nel marzo 2003 la campagna di vaccinazioni venne estesa al carcere locale per un periodo di 4 settimane. Vennero vaccinati 1236 detenuti, 91% del totale dei quali i 2/3 erano tossicodipendenti. Nell’agosto del 2003 non si registravano più casi di infezioni da virus dell’epatite A. Questa esperienza prova l’esistenza di un nesso patologico stretto tra carcere e comunità e che il carcere somministra una pena biologica oltre a quella detentiva alla sua popolazione.
La facilità con la quale nel carcere gli agenti patogeni possono infettare sono dovuti a cause molteplici. Innanzitutto l’elevata concentrazione umana per metro quadro (fattore in comune con scuole, caserme centri sportivi), composizione delle popolazione carceraria (elevato numero di soggetti immunodepressi), il regime carcerario (scambio di siringhe, rapporti sessuali non protetti, bassissimi standard igienici, monitoraggio sanitario insufficiente, limitazioni legali per un efficace prevenzione sanitaria, mancanza di collaborazione delle amministrazioni carcerarie con il personale medico).
Anche se un miglioramento delle condizioni di detenzione potrebbe limitare la diffusione delle patologie legate al regime carcerario e alla sua presenza nel territorio, non sarebbe sicuramente sufficiente ridurre del tutto lo squilibrio che esiste tra mortalità in prigione e quella nel resto della società. La rimozione delle diseguaglianze economiche e sociali che spingono gli individui ad atti violenti, l’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, la sostituzione di un regime giuridico basato sulla repressione ed esclusione con un nuovo patto sociale basato sull’inclusione, dignità, solidarietà e partecipazione potrebbero portare all’estinzione del carcere.
Molly McGuire
Fonti utilizzate: