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Umanità Nova, numero 25 del 10 luglio 2005, Anno 85

Intervista ad un anarchico di Montevideo
La globalizzazione vista dall'Uruguay



Durante i lavori del settimo Congresso dell'Internazionale di Federazioni Anarchiche avevamo rivolto alcune domande sul tema della globalizzazione a Pepe, compagno uruguaiano già attivo negli anni '70, prima nelle lotte sociali poi nella resistenza contro la dittatura militare, il quale aveva presenziato all'incontro in qualità di delegato del Taller Anarquista di Montevideo oltre che di componente del collettivo redazionale di Alter, un'ottima rivista di riflessione e di analisi dalla grafica molto originale che si pubblica nella capitale del paese. Per vari motivi l'intervista è slittata nel tempo; la riproponiamo oggi per il suo carattere di attualità.

Domanda: Come è vissuta la globalizzazione nella tua area, quella che viene definita Cono Sur?

Pepe: Il processo di globalizzazione è iniziato 4, 5 anni dopo l'apertura democratica seguita alla dittatura militare. Già con il secondo governo democratico sono iniziate le relazioni tra Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile per costituire il Mercosur, il mercato comune dell'area geografica, che è poi diventato operante a partire dagli anni '90. Da allora si sono aperte le frontiere e con esse è iniziata quella prima forma di globalizzazione apertamente sostenuta dalla presidenza nordamericana, allora affidata a Clinton. Con il Mercosur gli USA si volevano assicurare la possibilità di un accordo complessivo di area favorendo la circolazione delle proprie merci.

Per l'Uruguay, il Paraguay ed anche l'Argentina il primo effetto è stato quello di una intensa ristrutturazione industriale con il conseguente licenziamento di massa dei lavoratori, sulla spinta della necessità di accrescere la competitività per far fronte ai prodotti delle multinazionali.

Quindi la globalizzazione è stata un'opportunità per il padronato per licenziare operai e soprattutto sindacalisti. Ma poiché i prodotti che arrivavano dall'estero erano comunque a prezzo più basso di quelli prodotti in loco le industrie non erano in grado di reggere la concorrenza ed hanno cominciato a chiudere con il conseguente aumento della disoccupazione.

A livello politico dicevano che la crisi era momentanea, che il mercato avrebbe risolto il problema, che le industrie chiuse erano solo quelle non competitive, che bisognava aspettare che la torta fosse cresciuta per la ripartizione degli utili...

Anche la sinistra istituzionale ha appoggiato il Mercosur, anche la centrale sindacale ha dato un appoggio critico (che oggi non è più tale: suoi rappresentanti sono all'interno degli organismi del Mercosur che si occupano delle problematiche sociali).

Insieme a queste modificazioni concrete si è sviluppata anche una cultura della globalizzazione che ha avuto lo Stato (o meglio le sue funzioni sociali) come obiettivo. Lo Stato ha sempre avuto una funzione di protezione dell'industria nazionale, funzione che andava smantellata per favorire l'ingresso indiscriminato delle logiche del mercato internazionale. Conseguenza logica l'avvio delle privatizzazioni che all'inizio ha riguardato le ferrovie (settore per altro limitato) e le linee aeree. Per il momento si sono salvate, grazie all'opposizione sociale crescente, l'energia elettrica, il telefono, l'acqua e il piccolo settore del petrolio, ma le pressioni in questo senso continuano. Per quanto riguarda le politiche culturali la globalizzazione cerca di imporre ovunque usi e costumi più o meno simili, per quanto riguarda l'Uruguay la mancanza di gruppi etnici originari rende questo processo ancora più agevole.

Domanda: Che relazione c'è tra Mercosur ed ALCA (Area del Libero Commercio Americano)?

Pepe: Secondo il pensiero di Clinton il Mercosur è un progetto regionale tra quattro paesi del Cono Sur con gli USA in veste di quinto protagonista. Con la presidenza Bush l'interesse degli USA si è spostato sull'ALCA che dopo il NAFTA (comprendente Messico, Canadà ed USA) rappresenta la prospettiva di conglobamento economico di tutta l'America Latina. A fronte di questa prospettiva la sinistra istituzionale e i sindacati si sono schierati contro l'ALCA in difesa del Mercosur, considerato un corpo più omogeneo nella trattativa con gli USA. In Brasile non si era mai parlato di Mercosur fino alla presidenza Lula che ha dimostrato un forte interesse affinché il Mercosur vada avanti.

I governi argentino e brasiliano spingono molto sul Mercosur mentre i governi retti dalla destra o dal centrodestra preferiscono la strada degli accordi bilaterali con gli USA.

Domanda: Kirchner in Argentina, Lula in Brasile, Chavez in Venezuela, il Frente Amplio in Uruguay: sembrerebbe che la risposta della sinistra ai processi di globalizzazione la porti al governo, ma è reale questa opposizione della sinistra alla globalizzazione?

Pepe: Nel caso uruguaiano non è reale per niente: gli economisti della sinistra ed il presidente del Frente Amplio hanno garantito che manterranno gli accordi siglati con il Fondo Monetario Internazionale e poiché le politiche di globalizzazione passano attraverso questi organismi... In realtà la sinistra istituzionale non vuole e nemmeno può fare chissà cosa: non ha più referenti sociali ed anzi è preoccupata che a livello sociale succeda qualcosa che la metta in difficoltà. La sinistra uruguaiana non ha un'alternativa alla globalizzazione; cerca solo di negoziare gli effetti attraverso il Mercosur. Come il governo brasiliano. Anche se il Brasile ha una costante politica di tipo imperialista o subimperialista aldilà della natura dei suoi governi. È un grande paese con molte capacità industriali e tecnologiche, e con molte risorse naturali: la geopolitica - cioè pensare la politica anche dal punto di vista territoriale - l'hanno inventata loro.

In Argentina il peronista di sinistra Kirchner ha compiuto delle mosse molto importanti a livello dei diritti umani anche se bisogna tener presente che su questi temi sono caduti due presidenti sotto la spinta dei movimenti sociali e che il timore che il movimento riprenda è sempre vivo.

Sul piano economico invece prima ha affermato che non avrebbe saldato il debito contratto con il FMI, poi dopo quindici giorni ha pagato a dimostrazione di non avere alternative.

Domanda: Su che terreni si muovono oggi i movimenti sociali sudamericani? su quali obiettivi?

Pepe: La situazione è molto diversificata. In Brasile per esempio il movimento dei senza terra (Sem terra) da un parere favorevole all'esperienza di Lula; con questo governo, dicono di riuscire ad andare avanti, di crescere ancora di più. Il governo Lula ha dato loro molti soldi e diversi dei loro dirigenti sono appartenenti al P.T., lo stesso partito del presidente. In realtà le occupazioni di terre continuano ma senza la forza che avevano sotto il governo precedente, quello di Cardoso. Il movimento continua ad essere significativo ma non sappiamo come evolverà; non si può dimenticare che i Sem terra sono comunque per uno Stato socialista.

In Uruguay i movimenti sociali sono tutti istituzionalizzati, da quello sindacale a quello universitario. Poi c'è il movimento dei senza casa che sono riusciti ad occupare terreni nella periferia di Montevideo per autocostruirsi la casa. È un movimento non organizzato, senza legami tra i suoi componenti: si mettono insieme tra le cinquanta e le cento famiglie, insieme occupano un terreno e costruiscono le loro case. A volte riescono ad organizzarsi anche bene lasciando spazi comuni, altre volte no. Comunque non riescono ad avere un coordinamento tra di loro e nonostante si tratti di un fenomeno che coinvolge 100.000 persone, rimane un fatto che riguarda direttamente solo i diretti interessati.

In Argentina il movimento che si è espresso con le assemblee di quartiere si mantiene ma con moltissima meno partecipazione. Quella che è stata un'esplosione grossissima contro il presidente Rua è cominciata a rifluire anche grazie ai grossi conflitti interni tra i vari gruppetti e partitini che vogliono imporre la propria dirigenza. Poi c'è il movimento dei disoccupati (i piqueteros) che è ancora un movimento molto forte ma anche con la caratteristica di essere legato allo Stato. E quest'ultimo infatti che versa contributi economici al movimento affinché vengano distribuiti tra i partecipanti con l'effetto di creare una situazione sostanziale di ricatto e quindi di controllo. Non a caso ci sono gruppi di piqueteros con orientamenti diversi: alcuni, ad esempio, stanno cercando di non accettare più questi contributi, ma non è una situazione molto facile; se non ci sono soldi è difficile mantenere i gruppi dei piqueteros. Alcune realtà li stanno sostenendo con forni per fare il pane ed altre attività simili (come le mense popolari) per mantenere le relazioni con i disoccupati.

Domanda: In Italia è stato dato molto rilievo all'iniziativa che si è sviluppata a Porto Alegre, soprattutto all'interno dell'area definita genericamente 'no global'. Cosa ha significato Porto Alegre per i vostri movimenti?

Pepe: Al primo incontro di Porto Alegre la sinistra istituzionale uruguaiana non ha partecipato e nemmeno la sinistra sindacale e i movimenti sociali istituzionalizzati. Quelli che sono andati erano persone che non avevano rapporti con le istituzioni, erano appartenenti a gruppi di base, che, al loro ritorno, hanno manifestato la loro soddisfazione e si sono impegnati a costruire relazioni ed attività. Con il secondo incontro l'aria è cambiata: tutta la sinistra e le ONG erano ben presenti. Si è costituito il Forum Sociale Uruguaiano con un contenuto molto istituzionale e teso al rinnovamento della sinistra: un discorso ben noto in Europa. Dal canto loro le componenti meno istituzionali e più autonome hanno cercato di sviluppare un'attività separata da quella istituzionale con la costituzione del Forum di Acà (cioè di qua, in contrapposizione a quello di là). Attività iniziata con l'incontro del 2002 che ha avuto una partecipazione molto ampia (oltre 2000 persone) e proseguita nel 2003 con un altro appuntamento che ha visto però il ridursi dei partecipanti a un migliaio. Un segnale di un suo esaurimento in parallelo con la crescente istituzionalizzazione di Porto Alegre che da espressione di democrazia diretta è divenuta una passerella di delegati istituzionalizzati, di dirigenti, di Lula, perdendo la sua connotazione di elemento di trasformazione sociale.

Domanda: Nell'immaginario sociale sudamericano ha avuto, nel passato, un grosso peso l'esperienza della rivoluzione cubana, del "foco" guerrigliero. Nel Messico è sorto, ormai da 10 anni, il movimento zapatista. Che tipo di immaginario sviluppa nei movimenti sociali odierni l'esperienza zapatista?

Pepe: All'inizio il movimento insorgente nel Chiapas è stato visto come una sollevazione indigena, poi, successivamente, è diventato come un punto di riferimento anche per quelli che non erano d'accordo. In Uruguay gli avvenimenti chiapanechi hanno avuto un ruolo molto positivo, soprattutto per i giovani. Quelli che hanno fatto le occupazioni delle scuole superiori dal 1996 in poi, quelli che hanno lavorato nei comitati di quartiere: si dichiaravano tutti zapatisti, facendo proprio l'immaginario dell'insurrezione del Chiapas. Ed anche la destra, il governo, accusavano questi giovani di essere zapatisti. Per quanto riguarda la sinistra istituzionale invece non ci sono stati pronunciamenti favorevoli, essa non ha in simpatia il movimento zapatista, nemmeno il MLN-Tupamaros che lo ha accusato di essere riformista, con contenuti vaghi e poco profondi.

Per noi anarchici in Uruguay lo zapatismo ha significato un contributo importante dal punto di vista ideologico: noi viviamo in un continente ove fino a poco tempo fa si pensava che la rivoluzione si potesse fare solo conquistando lo Stato, il potere mentre gli zapatisti hanno dimostrato che si può lottare per la rivoluzione rifiutando il potere. Questo rappresenta un importante contributo alla discussione sul tema del potere, discussione che ha visto coinvolti anche teorici marxisti che, sulla base dell'esperienza chiapaneca hanno cominciato a parlare di rivoluzione senza potere, senza Stato.

Domanda: Al Congresso dell'Internazionale oltre a te, che rappresentavi il Taller Anarquista di Montevideo, c'erano anche compagni argentini e venezuelani in rappresentanza della Federazione Libertaria Argentina e della Commissione di Relazioni Anarchiche di Caracas. Sappiamo tutti che il movimento anarchico in Sudamerica ha avuto un'importanza enorme, fondamentale, per la nascita e lo sviluppo del movimento operaio e dei movimenti sociali; non solo, ha dato un contributo alla vita del movimento internazionale che meriterebbe una migliore conoscenza almeno qui in Europa. Vorrei chiederti che tipo di possibilità di sviluppo ha, in questa fase, l'anarchismo e se ci sono similitudini con le esperienze europee.

Pepe: In tutta l'America Latina ci sono buone possibilità di sviluppo per le idee e le pratiche anarchiche. Le difficoltà si incontrano quando si vuole mettere "il cappello", si vuole cioè imporre il proprio marchio ideologico a movimenti sociali che, per loro natura, rifiutano le etichette.

L'esperienza argentina delle Assemblee di quartiere è di fatto un'esperienza anarchica, al di la del nome e questo perché la gente voleva decidere e non lasciava che capetti e dirigenti prendessero decisioni al loro posto. Anche l'esperienza zapatista è venata di anarchismo quando rifiuta il ruolo del partito nel condurre la rivoluzione. L'occupazione delle scuole secondarie nel 1996 in Uruguay è stata anch'essa una pratica anarchica, basata sul rifiuto della delega. In sostanza noi abbiamo delle pratiche che vanno avanti in senso anarchico perché la gente vuole decidere, lottare e partecipare in prima persona; non accetta più i partiti e non ha fiducia nemmeno più in quelli di sinistra, anche perché si sono date altre forme di partecipazione, dall'insurrezione zapatista in poi.

In questa situazione il ruolo degli anarchici è importantissimo nel sostenere questa impostazione, queste pratiche, criticando le dinamiche autoritarie e burocratiche e approfondendo i contenuti di libertà. Noi siamo, ci sentiamo partecipanti di questo processo, siamo "dentro": non portiamo il verbo, l'ideologia. Se riusciamo a fare questo l'anarchismo si potrà sviluppare in sintonia con lo sviluppo delle lotte sociali: senza lotte non ci può essere sviluppo. In mancanza di lotte si danno solo forme di resistenza, di propaganda, di agitazione, cose che facciamo quotidianamente, ma che sono diverse dai momenti di lotta.
Questa situazione è praticamente eguale in tutta l'America Latina, un continente alle prese con la necessità di trovare idee e pratiche diverse da quelle portate avanti, nel passato, dai movimenti sociali: negli anni '60 si doveva fare il partito, il gruppo guerrigliero, perché quello era il pensiero dominante nella sinistra rivoluzionaria. Oggi quel pensiero, per fortuna, è in crisi e per gli anarchici si aprono notevoli spazi d'azione.

Il pensiero si alimenta nelle lotte sociali e ciò vale anche per il pensiero anarchico, al di là di quelli che sono i principi: tutto si costruisce, perfino l'etica, nelle lotte dei movimenti sociali.

A cura di Max. Var.





































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