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Umanità Nova, numero 25 del 10 luglio 2005, Anno 85

Banana split. Afganistan: una guerra dimenticata
Sempre maggiore l'impegno delle truppe italiane



La tipica sagoma, a banana, dell'elicottero da trasporto CH 47 Chinook rimane legata ai fotogrammi della guerra in Vietnam dove le forze Usa lo impiegarono largamente per trasportare mezzi, armamenti e soldati sia vivi che morti.

Una di queste intramontabili macchine volanti è stata è stata abbattuta il 28 giugno in Afganistan, colpita da guerriglieri taleban nei dintorni villaggio di Shorak, a circa 150 chilometri a est di Kabul, al confine con il Pakistan. Diciassette sarebbero i soldati statunitensi morti, impegnati in nell'ennesima operazione antiguerriglia denominata Red Wing. Un altro Chinook era precipitato il 6 aprile scorso nella provincia di Ghazni, a sud ovest di Kabul, quando perirono 18 persone tra cui 15 militari Usa.

Ormai la conta dei militari Usa morti in Afganistan dall'inizio dell'anno si aggira, secondo le reticenti ammissioni dei comandi, attorno alle 50 unità, a conferma dell'estrema e crescente difficoltà in cui versa l'occupazione Usa e Nato; due soldati tedeschi del contingente Isaf erano morti soltanto due giorni prima nell'esplosione di un veicolo portamunizioni nell'Afganistan settentrionale.

In questa situazione, sinonimo di un altro e non meno grave fallimento politico-militare delle strategie statunitensi, s'inserisce il nuovo protagonismo europeo sotto le bandiere della Nato volto a soppiantare sempre più gli invisi occupanti Usa, ormai "costretti" a bombardare intere zone e a sparare sulla folla nel tentativo di non perdere del tutto il controllo del territorio.

Appare infatti sempre più probabile una prossima conclusione della missione statunitense denominata Enduring Freedom, iniziata il 7 ottobre 2001 come risposta all'11 Settembre, mentre i vertici di Washington, sempre più inclini ad abbandonare il presidente Karzai al suo destino, puntano ad ottenere truppe da Pakistan, India, Uzbekistan e Tajikistan. 

Con tale chiave di lettura si può meglio comprendere il rinnovato ed aumentato impegno delle truppe spagnole deciso dal governo Zapatero, l'annunciato incremento della presenza militare britannica e le recenti dichiarazioni del 20 giugno scorso del ministro italiano alla difesa, Martino, secondo il quale "i militari italiani rimarranno a lungo in Afganistan, forse un altro decennio" dato che "si tratta di costruire dal nulla lo Stato, gli ospedali, le scuole e questo lavoro richiede la presenza di garanzia delle truppe straniere, sulla cui necessità il presidente Karzai ha insistito più volte".

Che l'idea di costruire uno Stato in un contesto come quello afgano faccia sorridere chiunque conosca minimamente la storia e le caratteristiche di tale società, così come la favoletta dei militari costruttori di pace, ospedali e scuole, è fuori discussione, ma dietro la propaganda s'intuisce che in tale area di conflitto si sta giocando una partita tra interessi economici e mire imperialiste forse ancora più cruciale di quella irachena.

Eppure continua a mancare la necessaria informazione e la conseguente opposizione da parte di quanti hanno rifiutato e continuano a rifiutare le logiche e i crimini connessi alla cosiddetta guerra globale permanente al terrorismo.

In Italia questa incapacità risulta ancora più grave di fronte al maggiore coinvolgimento dell'apparato militare nazionale nel contingente Isaf-Nato, così come pressoché in solitudine stiamo denunciando da mesi su queste pagine, se si eccettua la voce davvero nel deserto di Emergency che da tempo mette in guardia sul crescente rischio per le organizzazioni di effettiva solidarietà con le popolazioni martoriate conseguente al ruolo sempre più diretto delle truppe Nato che vogliono accreditarsi come forze di "pacificazione e ricostruzione" affiancando reparti speciali e ONG.

Non si tratta di segreti militari, tutto è ufficiale e documentato, ma niente si sta attivando per quanto meno tentare di inceppare la macchina del consenso alla politica interventista italiana in Afganistan che, considerata la situazione sul campo, rischia di rivelarsi come puro avventurismo. Come è infatti noto, dal prossimo agosto all'aprile 2006, lo stato italiano assumerà la guida attraverso il Comando ITALFOR, dell'intero contingente Isaf-Nato operante in Afganistan comprendente circa 8.000 militari di diversa nazionalità che risponderanno agli ordini del generale Mauro Del Vecchio.

In agosto il contingente italiano, da 900 effettivi, passerà quindi a circa 2.200.

Inoltre dal 31 marzo, è italiana la leadership del Team di Ricostruzione Provinciale nel settore di Herat.

Nel mese di giugno è stato già completato il trasferimento del Comando ITALFOR, consistente in circa 600 militari del Reggimento di Supporto Tattico e Logistico della base di Solbiate Olona (Va), dove è dislocato il Corpo d'Armata di Reazione Rapida della Nato che dirige le operazioni dell'Isaf. 

Kabul è davvero dietro l'angolo, ma nessuno sembra accorgersene.

U.F.





































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