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Umanità Nova, numero 26 del 17 luglio 2005, Anno 85

Frontiere senza amore
Gerusalemme: testimonianza dal gay pride



Il gay pride mondiale doveva aver luogo a Gerusalemme: lo abbiamo saputo tre sole settimane prima del ritiro di Israele dalla striscia di Gaza. Un evento difficile da portare a termine in una città lacerata, folle di violenza, povertà e tensioni in varie direzioni; noi stessi non sapevamo se sostenere l'idea o schierarci contro. Il ministero del Turismo israeliano lo promuoveva con giustificazioni del tipo "il nostro paese è l'unica democrazia in Medio Oriente che può consentire ai diversi di esistere", in altri termini "vengano a Gerusalemme, ed anche i finocchi diventeranno sionisti". Ovviamente ciò non è vero: semplicemente la polizia di frontiera è troppo impegnata a dare la caccia alle altre minoranze per perder tempo a perseguitare gli omosessuali. Prova ne sia che quando degli omosessuali palestinesi tentano di sfuggire alle persecuzioni rifugiandosi in Israele, qui non fanno altro che acciuffarli e rispedirli indietro, anche se rischiano la vita.

Poi è cominciata l'opposizione alla marcia internazionale da parte dei religiosi, evidenziando come tre religioni non esitino ad unificarsi ed andare d'accordo nel comune odio per le minoranze. Da parte nostra cominciavamo a darci da fare per inventare un percorso per gli stranieri che sarebbero arrivati: presentarci ai check point con dei vibratori e peni artificiali giganti, fare in modo che la marcia passasse rasente al muro dell'apartheid di Gerusalemme orientale. Infine però è arrivata notizia che era stato disdetto, sicuramente dietro pressione dei gruppi integralisti che qui comandano. La scusa ufficiale è stata che la polizia avrebbe dovuto scortare l'evento, poiché l'omofobia dei cittadini di Gerusalemme è arrivata ad un punto tale che sarebbe stato pericoloso camminare senza scorta, mentre le forze erano insufficienti, dato il clima che precede il ritiro dalla fascia di Gaza, un momento in cui l'intera nazione è lacerata. Insomma, ancora una volta un'emergenza costringe a rinunciare a cose definite meno importanti.

Cancellato il pride mondiale viene convocato quello nazionale

L'unica organizzazione gay cittadina, piuttosto moderata, ha accettato di rinunciare purché in città si svolgesse il gay pride nazionale, alla sua quarta edizione. Anche la semplice parata nazionale qui è un impegno notevole, niente a che vedere con le passeggiate più o meno sponsorizzate che si tengono in altre parti del mondo. Gerusalemme è un luogo ove si può vedere e toccare per strada l'omofobia, abbastanza da far ricordare che la marcia è un fatto importante. L'anno scorso a Tel Aviv un gruppo di dimostranti anti-gay, con in testa due parlamentari, ha accolto i manifestanti con un lancio di uova e ortaggi vari. Non era divertente. Questi fanatici sono convinti che la loro città, capitale di Israele oltre che religiosa, è troppo santa per permettere a dei finocchi di corromperla, per cui diventano delle furie, nel clima di violenza che già pervade la vita di tutti i giorni, da far impallidire i ghetti delle città nordamericane.

La polizia cittadina ha consentito alla marcia, ma il sindaco vi si è opposto e la cosa è finita in tribunale, dove il legale della città si è rifiutato di difendere il primo cittadino, perché lo riteneva in torto, che quindi ha dovuto farsi difendere da un privato. Il giudizio si è tenuto a soli quattro giorni dalla data della marcia, cosicché riusciva davvero difficile fare progetti. Le uniche prove della presunta "immoralità" erano due foto dell'autrice di queste righe, ritratta al gay-pride dello scorso anno, l'una a torso nudo e con una kafia in testa, l'altra con addosso soltanto un tsitsit (un abito religioso con un buco centrale e delle frange). Il tribunale ha stabilito il torto del sindaco e lo ha condannato a pagare metà delle spese, ed ha giudicato legittima la manifestazione. Subito gli ultra ortodossi hanno indetto una sottoscrizione nei quartieri facoltosi affinché il primo cittadino, che comunque è molto ricco, non debba tirar fuori un soldo per la condanna.

Il ritiro da Gaza e la resistenza dei coloni

La situazione, con il disimpegno dalla striscia di Gaza e relativa opposizione, ha messo il paese sotto stato d'assedio, ma il cuore del conflitto è Gerusalemme. Vi è da dire che, sebbene favorevoli al ritiro delle truppe da Gaza, non possiamo che esprimerci contro il modo con cui il governo ha deciso di effettuarlo: il più antidemocratico e devastante perfino per questo paese, che ha visto di tutto. Non è possibile che il governo pretenda di estirpare quelli che fino a ieri nella retorica patriottarda sono stati osannati come gli avamposti della difesa nazionale così all'improvviso, qualificandoli di terroristi se tentano di resistere, senza offrire alcuna prospettiva, senza alternative, unicamente in esecuzione di un ordine di Sharon, contestato all'interno del suo stesso partito. Non solo: non vi è alcuna pianificazione sulla restituzione dei terreni occupati dai coloni su chi e come fra i palestinesi ne avrà diritto. E, da ultimo, Israele si riserva comunque la facoltà di intervenire militarmente in profondità nei territori da cui si sarebbe ritirata, con incursioni contro la popolazione palestinese. In pratica, ciò ha innescato la maggior campagna antigovernativa mai vista in questo paese, una resistenza su larga scala. Peccato che sia portata avanti da gentaglia razzista ed ultrareligiosa… Ed anche qui si manifesta un'altra contraddizione: i giovani – e sono molti, con alle spalle i genitori e tutto il loro ambiente – sono sparsi dappertutto a fare blocchi sulle strade cittadine e le principali vie di comunicazione; ma da anni questa – che era una pratica dei dissidenti, fra cui i gruppi anarchici – è stata criminalizzata, e chi è colto sul fatto è passabile di arresto e detenzione senza neppure un processo. Non si conoscono le cifre, ma il fenomeno è talmente generalizzato da essere in sé destabilizzante.

Ultimamente l'esercito ha deciso di radere al suolo un gruppo di edifici di coloni, perché venivano utilizzati dagli oppositori al ritiro nelle loro azioni, in ostacolo ai movimenti delle truppe. I coloni vi si sono asserragliati in loro difesa. Per due giorni la tensione è stata altissima, coi palestinesi che a loro volta sono intervenuti, e varie sparatorie, mentre un adolescente palestinese è stato sul punto di essere linciato da parte dei coloni. Quindi la striscia di Gaza è stata chiusa, questa volta per impedire i movimenti dei coloni, anziché, come al solito, quelli dei palestinesi, vietando anche l'accesso della stampa. Gli arresti sono stati centinaia.

Città militarizzata e fanatici religiosi

Entrando a Gerusalemme per la parata, si vedeva polizia di frontiera dappertutto, senza riuscire a capire bene il motivo della sua presenza. C'erano coccarde arancione appese nei posti più disparati: questo è il colore adottato dai resistenti al disimpegno a Gaza. Gruppi di giovani stazionavano ovunque: avevamo ricevuto l'avvisaglia che il gay pride sarebbe stato contestato, ma potevano esser lì anche per proseguire i blocchi stradali. Avvicinandoci al luogo dell'appuntamento sempre più frequenti erano manifesti e striscioni a carattere integralista su cui si leggeva: "Omosessualità = distruzione dell'unità familiare – Distruzione dell'unità familiare = distruzione del patriottismo nazionalista". C'era quasi da essere soddisfatti, a vedere che finalmente il nostro punto di vista era stato colto! Più avanti abbiamo incontrato un uomo dalla vistosa camicia arancione con su scritto: "Ti arrestano? Stai vincendo!", anche qui è pertinente una riflessione sull'appropriazione di parole d'ordine che sono connaturate a chi resiste al potere in prima persona.

Il titolo della manifestazione doveva essere "Amore senza frontiere" ma tutti hanno concordato di cambiarlo in "Frontiere senza amore". L'allusione era anche diretta alla polizia di frontiera. Siamo arrivati piuttosto tardi, appena in tempo per l'inizio della camminata. Normalmente in questi casi c'è gente che sfila ed i curiosi che restano ai margini, che fissano gli esseri strani che gli passano davanti. Ma questa volta c'erano anche gruppi di quelli che manifestavano contro i froci, e non si riusciva sempre a distinguerli dagli altri. Per esempio c'era un gruppo di finocchi religiosi, che avrebbe voluto entrare nel corteo, ma la polizia faceva di tutto per tenerli separati, pensando che fossero dei contestatori. Musiche assordanti venivano da ogni lato, facendo aumentare la tensione.

Assassinio in mezzo alla folla

Ad un certo punto il gruppo "Black Laundry", che sfilava con noi, ha tentato di indossare la camicia bianca ed il Kipa (copricapo religioso) e gli altri manifestanti sono accorsi per toglierglieli di dosso, con la polizia che si è messa in mezzo per separarli.

La manifestazione aveva appena mosso qualche passo che un grosso gruppo, che non aveva alcun segno di distinzione come manifestante, è balzato verso la marcia e la polizia si è frapposta con spintoni e scaramucce tutt'attorno. A questo punto ho deciso di togliermi la camicetta: avevo un conto in sospeso col sindaco. Addosso mi ero scritta: "Ho vergogna del sindaco, non del mio corpo". Quelli che mi stavano intorno hanno cercato di dissuadermi ma una donna si è fatta avanti a sostenere la mia idea. Un gesto del genere è considerato dappertutto in Israele, non soltanto a Gerusalemme, come piuttosto estremo, a meno che non sia un uomo a farlo. I "curiosi" assiepati lungo il percorso sono in generale gente osservante, tradizionalista, maschilisti che normalmente si divertono ad infastidire le ragazze.

Poco più avanti, quando entriamo in un parco, vediamo una persona che giace a terra in un lago di sangue; l'ambulanza non arriva, la gente sta intorno e non sa bene cosa fare; qualcuno prende fotografie. C'è molta confusione e non si sa se continuare la marcia dopo un accoltellamento, ma nel generale disorientamento tutti continuano a camminare, e si va avanti: sbandarsi ora potrebbe esser peggio. Devo ammettere che a questo punto sono diventata un po' paranoica: e se i fondamentalisti avessero fatto un patto e invece di tentare di impedire la parata o contestarla si fossero limitati ad accoltellare i partecipanti? A torso nudo ero un facile bersaglio. Ma il gruppo camminava, e io con loro, anche se non sapevo se chi mi fissava da lontano lo faceva per leggere o guardarmi le tette, se chi si avvicinava era dei nostri o lo faceva allo scopo di tirarmi una coltellata. 

Arrivati vicino al grande tempio i gruppi che contestavano la parata si sono fatti più fitti. La polizia di frontiera era lì per proteggerci, e vi sono stati momenti in cui si è sfiorata la rissa generale. La confusione fra chi era nel corteo e chi lo contestava era al parossismo, e la polizia non era certo in grado di distinguere gli uni dagli altri. A tutto si è sommato un matrimonio che in quel momento si stava celebrando. Davanti al tempio c'erano due membri del parlamento che tentavano un blocco seduti per terra e dicevano di esser lì a pregare per noi. Sono stati accerchiati da una trentina di poliziotti, e molti di noi non li hanno neppure visti. Più avanti c'era un intero edificio che sembrava una gabbia con tanti bambini urlanti a tutte le finestre: da lontano non si capiva cosa dicevano ma sembravano tante scimmiette alla ricerca della libertà. Ad un certo punto un grosso plotone di poliziotti, forse un centinaio, ha cominciato a correre in una direzione, con dietro cameraman e curiosi che volevano capire cosa era successo.

Poi ci hanno fatto entrare in un parco, finalmente in grado di rinchiuderci dentro un ghetto con i benpensanti assiepati all'esterno. Il gruppo "Black Laundry", se possibile aumentando ancora la confusione, si è messo a scandire slogan provocatori del tipo "Lesbiche pelose! chiamate la polizia" oppure "Sì all'occupazione, no alla pace" sotto uno striscione che diceva "Perché essere così negativi?". Una guardia di frontiera aveva deciso di fermare una donna col megafono, che apparteneva al gruppo e voleva raggiungerci nel parco, con ampia esibizione di metodi energici, compreso il sequestro del megafono. A questo punto un coro di lesbiche si è levato "Bravo soldato, picchia i dimostranti!", e la guardia ha mollato la presa andandosene confuso e frustrato.

Alla fine abbiamo saputo che gli accoltellati nella giornata erano nei fatti tre: due ragazze ed il padre spirituale di una di loro, tutti dalla stessa mano omicida.

Insomma, se nel 2006 qualcuno avanza ancora l'idea del gay pride mondiale a Gerusalemme, è consigliato di prepararsi leggendo queste note.

Liad
(libera traduzione di AEnne da una lunga corrispondenza)






































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