Umanità Nova, numero 26 del 17 luglio 2005, Anno 85
Se volete sapere che volto c'è dietro il passamontagna, è molto semplice: prendete uno specchio e guardatevi.
(Sub. Marcos)
Dover riguardare, per l'ennesima volta, le immagini della scena del
crimine, piazza Alimonda, non smette di provocare orrore e
inquietudine. Se nella memoria visiva collettiva rimane impresso lo
strazio di Carlo Giuliani a terra, la cifra della violenza esercitata
dallo Stato in quella piazza è data non tanto dalla sequenza del
suo assassinio, ma di quanto avvenuto attorno a quel corpo morente nei
momenti successivi: cariche contro quanti cercavano di soccorrerlo,
lancio di candelotti, manovre oscure di uomini in divisa e una ormai
accertata circostanza: intorno alle ore 17,30 di quel 20 luglio 2001,
in presenza di ufficiali di grado elevato della polizia e dei
carabinieri, qualcuno infierisce su Carlo Giuliani ferito invece di
aiutarlo, senza accertarsi se sia vivo o morto. Dopo che un ufficiale
della Polizia di Stato l'ha urlato davanti alle telecamere, accusando
teatralmente i manifestanti, un'incredibile versione risale la linea di
comando e viene accreditata in Questura intorno alle 18: Carlo sarebbe
stato ucciso da un sasso. Dura un attimo, l'evidenza la spazza via. Ma
quando i primi soccorritori sfilano il passamontagna scoprono una
profonda ferita in fronte sicuramente prodottagli mentre la piazza era
sotto il controllo delle cosiddette forze dell'ordine. Il passamontagna
indossato da Carlo risulta stranamente integro; con freddezza qualcuno
lo ha evidentemente sollevato per meglio fracassare la testa ad un
moribondo.
Più che sul momento in cui qualcuno ha preso la mira e ha sparato, non si rifletterà mai abbastanza su quella inumana freddezza, tipica di chi sa di poter contare sull'impunità garantita dal potere.
Tutto questo è emerso con chiarezza dalle controinchieste che hanno cercato di ricostruire le dinamiche della morte di Carlo Giuliani; controinchieste che si sono giustamente soffermate anche su quanti carabinieri erano davvero presenti sul Defender da cui si sparò contro i dimostranti.
Nel tentativo di fare luce su alcuni aspetti non chiari, si è persino ipotizzato l'utilizzo di rari proiettili in materiale plastico e ci si è interrogati se i piccoli fori d'entrata e d'uscita presenti nella testa del povero Carlo, come si può constatare osservando le foto dell'autopsia, fossero compatibili con il calibro 9 Nato "parabellum" delle pistole Beretta in dotazione ai carabinieri.
Non essendo dei tecnici balistici, abbiamo chiesto un parere ad un compagno esperto in materia, per la sua passione sportiva per il tirassegno; parere che modifica molte delle nostre convinzioni.
Ecco, sinteticamente, la sua opinione.
Pur non potendo escludere in modo assoluto tali ipotesi, queste appaiono estremamente improbabili.
Innanzi tutto i fori di entrata e di uscita praticati da pallottole blindate sono tendenzialmente "puliti" e di diametro leggermente inferiore al calibro, perché i tessuti vengono quasi "separati" dall'ogiva indeformabile e poi si richiudono parzialmente dopo il passaggio di quest'ultima per semplice ritorno elastico.
L'energia di queste munizioni è tale che, a pochi metri di distanza, in assenza di deformazione, trapassano facilmente un corpo umano e mantengono un'energia sufficiente per fare molta altra strada e rimbalzare, ammazzare qualcun altro, ecc. Per lo stesso motivo, chi viene colpito da questo tipo di proiettili non viene "arrestato" e quindi di solito non viene spinto platealmente all'indietro come si vede nei film, ma di solito si affloscia come uno straccio bagnato lì dove si trova e, se sta correndo in avanti o qualcosa di simile, continua la sua traiettoria per un breve tratto eventualmente ruzzolando in avanti.
Il motivo per cui in talune situazioni di conflitto (e in generale contro gli esseri umani) si utilizza questo genere di proiettili è paradossalmente "umanitario", ossia quello di limitarne gli effetti devastanti (un po' come i proiettili di gomma antisommossa): se il proiettile si deformasse o esplodesse o comunque cedesse tutta la sua energia cinetica al contatto con il malcapitato, ne devasterebbe i tessuti in modo tale che ogni eventuale ferita (colpo sbagliato) diventerebbe atroce e incurabile, ancorché non immediatamente letale.
Insomma, una pallottola di plastica o di altro materiale fragile avrebbe dovuto causare una ferita paradossalmente proprio diametralmente opposta a quella rilevata: se ha poca energia sarà una vasta ferita superficiale slabbrata, se ne ha molta il proiettile esplode dentro e fa un macello. I fori puliti e il trapassamento sono invece coerenti con il comportamento di un materiale pesante, duro e proiettato ad alta velocità.
Idem dicasi per la visibilità della vampa di fuoco, che proprio nel 9 mm è notevole e sicuramente visibile anche di giorno, specie se osservata da una posizione quasi frontale come nel caso del noto filmato.
Ovviamente questa precisazione non riporta in vita Carlo, ma ci
aiuta a ricostruire il contesto e le modalità in cui è
stata consumata la sua uccisione, nonché gli effettivi
responsabili; lavoro questo non superfluo, viste e considerate tutte le
energie sistematicamente profuse dagli apparati statali per depistare,
confondere, occultare e persino negare l'evidenza.
L'evidenza di un assassinio di Stato.
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