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Umanità Nova, numero 27 del 4 settembre 2005, Anno 85

Paura di Stato
Quale sicurezza per quale libertà



"Anarchici e pista islamica, c'è un legame" così titolava in settima pagina, su ben sette colonne, il quotidiano di Roma "Il Messaggero" del 30 luglio scorso. Poi più sotto: "Fermato un pachistano per la pentola – bomba di Ostia: la rivendicarono gli insurrezionalisti". L'intera pagina veniva dedicata ad un attentato avvenuto il 7 marzo di quest'anno nei confronti del tribunale di Ostia, per il quale è stato subito accusato un cittadino pachistano di 26 anni che dormiva all'interno del centro sociale "Vittorio okkupato" di Ostia, insieme ad altri immigrati e che è stato fermato nel corso di una perquisizione antiterrorismo.

Il legame consisterebbe nel fatto che quell'attentato era stato rivendicato, come scrivono i giornalisti, dalla fantomatica Federazione Anarchica Informale di cui viene anche allegata una scheda informativa.

Ecco quindi la quadratura del cerchio: anarchici ed islamisti uniti nella lotta! D'altronde, si sa, tra terroristi ci si intende…

Naturalmente nel giro di poche ore la "notizia" si mostrò per quello che era: ignobile spazzatura confezionata in quale bugigattolo di questura per dare ossigeno alle sparate propagandistiche del ministro di polizia o di qualche suo manutengolo: il pachistano è stato rilasciato e i presunti anarchici sono tornati nel cassetto in attesa di nuovi bisogni.

Ho voluto ricordare questo fatto, molto probabilmente sfuggito ai più, perché a me pare estremamente significativo degli obiettivi reali della campagna antiterrorista in corso d'opera: la criminalizzazione preventiva di ogni forma d'opposizione sociale, da perseguire anche con teoremi discutibili se non apertamente incredibili e con massicce dosi di terrore distribuito a piene mani.

Quando in una città come Roma si da credito ad una bufala come quella riguardante il presunto avvelenamento dell'acquedotto comunale e si sparge la paura, si ha un segnale ben preciso di quanto abbia lavorato la propaganda governativa per creare insicurezza e per dare credito unicamente alla propria voce. Lo stesso di può dire quando si presentano le bombe di Sharm el Scheik come dirette agli italiani, per accreditare la necessità della compattezza nazionale contro il nemico, quando gli stessi servizi segreti sono costretti ad ammettere, ovviamente sottovoce, che non tanto "noi" quanto la dittatura di Mubarak, alle prese con le lezioni truffa del 7 di settembre, ritrova nel mirino di una opposizione spietata, tesa alla conquista del potere.

A settembre poi partiranno le esercitazioni antiterrorismo a Roma, Milano, Torino e Napoli e, con esse, il can can mediatico di contorno teso ad accrescere l'insicurezza e a conferire alle forze militari e di polizia il ruolo di impavidi difensori dell'ordine civile.

Lo stesso dibattito, chiaramente drogato, che si sta tenendo su vari organi di stampa sul binomio "sicurezza – libertà" è significativo del clima che si va respirando.

Quando si dice che la sicurezza, individuale e collettiva, è il presupposto essenziale della libertà e che la sua tutela comporta necessariamente una limitazione della libertà stessa si da vita ad un cortocircuito logico di non facile soluzione. Diversamente che per il "sudoku" i pezzi non si incastrano e la somma non è la stessa. Infatti se per sicurezza intendiamo quella che ci consente di vivere in tutta tranquillità la nostra vita quotidiana senza sentirsi a rischio (a casa propria o negli spostamenti, o nella vita lavorativa e sociale) occorre interrogarsi su ciò che in realtà attenta ad essa. 

I migliaia di morti sulle strade a causa di mezzi inadatti, strade inidonee, seduzioni consumiste; i migliaia di morti sui posti di lavoro, a causa della stanchezza, dei ritmi, della mancanza dei mezzi e strumenti di protezione; i caduti del lavoro domestico, in massima parte donne, strette dai doppi impegni; sono solo alcuni esempi dell'insicurezza sociale che è alla base non della propria libertà, ma di quella di coloro che vivono sullo sfruttamento. 

Ma su questa insicurezza non ci sono campagne stampa, non ci sono esercitazioni: sono vittime sacrificali sull'altare del profitto e va bene così.

Sui contraccolpi invece di una politica neocolonialista, di cui il padronato italiano vuol raccogliere i frutti, occorre schierarsi, avere sicurezza, anche a scapito della libertà (o, meglio, di quella che ancora ci rimane).

Ecco le misure proposte da Pisanu e fatte proprie dal parlamento, DS compresi (e come dubitarne?), imperniate sul rafforzamento dei poteri di polizia, sull'ampliamento delle intercettazioni, sul controllo telefonico e telematico.

Quello che ci aspetta è chiaro, come è chiara la volontà istituzionale di andare avanti indipendentemente da ogni forma di reale e concreta opposizione politica e sociale.

Lo stanno a testimoniare le migliaia di denunce contro i militanti e gli attivisti del movimento di opposizione alla guerra, e l'arroganza con al quale viene trattato, proprio in questi giorni, il sindacato con il maggior numero di iscritti tra gli assistenti di volo dell'Alitalia.

Quanto durerà questa politica di aggressione e di compressione sociale non ci è dato sapere, quello che appare evidente è che solo nella capacità dei movimenti di far ripartire le lotte ed iniziative sta la chiave di volta della situazione, e non tanto nei subdoli ingranaggi delle primarie e delle loro sirene.

Max







































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