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Umanità Nova, numero 27 del 4 settembre 2005, Anno 85

Controllo e intelligence
Stato di polizia: contro il terrorismo o contro la società?



Sbagliano anche i cittadini, quando lo fanno, a prendersela con la classe politica italiana (…) Piuttosto io manderei a casa proprio cittadini. (E. Luttwak, Il Mattino di Napoli, 10.5.05)

Le ulteriori misure di polizia proposte dal ministro Pisanu ed approvate dal governo sull'onda delle bombe di Londra (espulsioni più rapide anche senza il nulla osta del giudice, maggiori poteri nelle intercettazioni preventive e nell'accesso alle banche dati dei servizi telefonici, schede nominative per la telefonia mobile, estensione dei "colloqui informativi" senza avvocato in materia di terrorismo, prolungamento del fermo di polizia sino a 24 ore, permessi di soggiorno premiali per gli immigrati confidenti, impiego dell'esercito in compiti di polizia) ripropongono la questione del sapere di polizia, elemento centrale e fondante della polizia moderna. Come ha scritto M.Foucault: "Lungo tutto il XVIII secolo un immenso testo poliziesco tende a coprire la società grazie a una organizzazione documentaria complessa" costituita da testi, schede, fascicoli, registrazioni, filmati, etc. miranti a racchiudere l'identità, l'attività e persino i pensieri degli individui.

La polizia, fin dalla sua nascita, ha avuto bisogno di raccogliere informazioni su tutto e tutti, tanto che fu proprio la polizia ad introdurre e generalizzare la denominazione sistematica delle strade, delle piazze nonché la numerazione degli edifici, come elementi indispensabili all'identificazione standardizzata della persone.

Nel 1749, ad esempio, l'ingegnere del Genio Guillauté propose al capo della polizia francese un progetto di "polizia panottica" che prevedeva la suddivisione urbana in porzioni territoriali comprendenti una ventina di case, affidate alla sorveglianza di un agente di polizia che avrebbe dovuto conoscere tutte gli abitanti di tali zone; progetto oggi divenuto realtà con l'istituzione del vigile-poliziotto-carabiniere di quartiere. E, oltre alla numerazione di ogni casa e la denominazione di ogni via, ogni persona è stata quindi schedata attraverso un documento di identità obbligatorio da mostrare agli agenti del governo incaricati di vigilarne i movimenti.

In Italia, invece, tali storiche attività di polizia si affermarono più tardi, a causa del preponderante ruolo repressivo assegnato all'esercito, e nelle città italiane pre-unitarie l'operato della polizia era diretto soprattutto a mantenere e rafforzare la separazione tra la popolazione "fissa", o permanente, da un lato, e i marginali e fluttuanti dall'altro.
Fu il governo piemontese ad istituire per primo, nel 1829, un "libretto di lavoro" come documento obbligatorio per gli operai di Torino e successivamente di tutto il regno, valido anche come passaporto.

Sarebbero stati quindi Lombroso e gli altri fautori della "antropologia criminale" a fornire agli organi polizieschi gli strumenti per una politica della sicurezza fondata sulla criminalizzazione "razzializzante" delle allora dirompenti questioni sociale e meridionale, gettando le basi della schedatura dei "malfattori" e dei "sovversivi" introdotta e applicata sempre più massicciamente dopo i moti del 1894, razionalizzata durante il ventennio fascista e perfezionata in regime democratico.

Come risulta dalle memorie delle autorità di polizia dell'epoca, il pericolo sociale e politico percepito come più grave si aveva quando le "classi pericolose" diventando folla incontrollabile potevano essere affrontate solo con il cruento ricorso all'esercito, ormai strumento inadeguato - in quanto troppo brutale e troppo poco intelligente - per un efficace mantenimento dell'ordine pubblico.

Istituzione specializzata nella raccolta e nel trattamento delle informazioni sulla società per il suo controllo, la polizia può esercitare tale ruolo di difesa dell'ordine costituito, non solo perché dispone della forza coercitiva necessaria, ma in quanto detentrice e organizzatrice di un sapere specifico. Più potere può quindi produrre sapere e a sua volta più potere ancora, ma resta essenziale la capacità di raccogliere, trattare, gestire e interpretare le informazioni raccolte, per cui se pure aumenta la mole di queste, non è affatto scontato il fatto che tale compito diventi più semplice, anzi.

Tanto per fare due cifre, si tengano presenti i dati relativi alla mole quotidiana di comunicazioni in Italia: 300 milioni di sms, 150 milioni di e-mail, 200 milioni di telefonate.

Si veda, inoltre, l'utilizzo delle informazioni provenienti da delatori prezzolati o ricattati, collaboratori di giustizia, apparati privati di sicurezza, etc. che ormai sono il campo prediletto, quanto minato, della manipolazione, del ricatto politico e degli scontri interni di potere, sulla pelle di quella società che si vorrebbe difendere. 

Ma le misure "antiterrorismo" dei governi hanno anche un secondo riflesso, meno evidente, ossia quello d'incentivare ed istigare il collaborazionismo della "gente", ipocritamente definito come spontanea partecipazione democratica alla tutela della sicurezza pubblica. Come ha osservato Jane Jacobs "La pace della città - delle strade e dei marciapiedi - non è garantita principalmente dalla polizia (…) è garantita da un'intricata quasi inconscia rete di controllo volontario esercitato dalla popolazione", che comprende anche la supina e acritica accettazione dei diversi sistemi di sorveglianza su tutti gli individui, ormai felicemente spiati anche nei gesti più banali e privati. È il caso, ad esempio, della videosorveglianza: tale rete disciplinare, versione elettronica del modello panoptico, non attende che i delinquenti agiscano, ma li classifica e li colloca ancor prima della consumazione del reato, producendo una "docile popolazione deviante". Che poi la ormai estesissima rete di telecamere dislocate nelle nostre città si riveli generalmente inutile a prevenire gli atti di terrorismo o a scoprirne gli autori (tutt'al più ne garantisce la successiva spettacolarizzazione) risulta del tutto secondario: l'importante è produrre psicosi collettiva e autopolizia individuale.

KAS







































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